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Cercasi regista disperatamente.
C’è un romanzo malese che segnalo, è uscito da noi per Metropoli d’Asia, si intitola Malesia Blues ed è scritto dall’esordiente Brian Gomez; e che nelle giuste mani diventerebbe su grande schermo una black comedy eccezionale. Inutile scomodare Tarantino, anche se con quel materiale narrativo si divertirebbe come un matto, a Hong Kong l’industria deve giocoforza accontentarsi, e questo non è per forza un male. Poco cerebrale per Jeff Lau, troppo ironico per Gordon Chan, il trattamento sarebbe perfetto per i fratelli Pang. Non a caso ricorda una versione migliore, di gran lunga migliore, dello sgangherato e dimenticabile Nothing 2 Lose, diretto tanti anni fa dal solo Danny.
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Di Beyond Our Ken è molto significativo il titolo cinese: The Revenge of the Princesses. Il suo regista, Edmond Pang, è un nome emergente, a metà tra ciarlatano cantonese e autore all'europea. Rapido nelle intuizioni, sa cogliere l'attimo e sfruttarlo a proprio vantaggio, sia che voglia girare una commedia scanzonata, sia che si accinga a commuovere in un mélo raffinato. Il ricorso alla musica come apologia diegetica nell'episodio più sentito di Trivial Matters, con Stephy Tang e Gillian Chung che si abbandonano nel finale ad un karaoke purificatore cantando Goodbye, Puppy Love di Danny Chan, la dice lunga.
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My Kung Fu Sweetheart ha come protagonista Cecilia Cheung. Ed è inutile fare finta di niente, visto che è tra le starlette coinvolte nello scandalo sessuale delle foto hard con Edison Chen. L'antefatto: Chen, giovane dongiovanni impenitente, porta a riparare il suo computer, che contiene un notevole numero di fotografie erotiche che lo vedono direttamente coinvolto. Peccato che il tecnico decida di divulgarle online visto che le controparti di Chen sono tutte stelle di primo piano, tra cui la Cheung, Gillian Chung, Vincy Yeung, Rosanne Wong, Amanda Strang, Maggie Q e Bobo Chan. Al di là dei quesiti morali e scandalistici della vicenda, che ha portato anche a diversi arresti, sarebbe interessante capire cosa comporterà, in termini pratici, per le persone coinvolte.
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Hidden Heroes si poggia completamente sul talento comico di Ronald Cheng, uno dei pochi nomi nuovi che hanno scosso lo star system. Certo, ci sono i soliti giovani talentosi che emergono dal nulla, ma non si può parlare di ricambio generazionale, le superstar sono sempre le stesse di dieci / quindici anni orsono. Mancano ormai le mezze figure, i caratteristi, gli anonimi che ben rappresentano il cittadino medio, l’hongkonghese tipico. Attori come Jordan Chan, come Simon Yam, come Alex Fong, come Sandra Ng, grandi interpreti capaci di essere sia protagonisti che abili spalle. In questi termini Cheng, lanciato da Vincent Kok, che crede ciecamente in lui, va rivalutato. Non più come scialbo emulo di Stephen Chiau, paragone che lo mette inevitabilmente fuori gioco, ma piuttosto come forza comica da sfruttare non in termini di uragano demenziale a sé stante ma in base alle situazioni. Adattato a contesti ogni volta diversi Cheng funziona meglio che come primadonna.
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Quesito da un milione di dollari: un regista come Sam Leong è un autore? Nei quattro film che ha girato sinora si riconosce un filo comune, uno spirito facilmente inquadrabile. In un vecchio articolo apparso su un catalogo dell'Hong Kong International Film Festival il critico locale Cheng Yu afferma, in riferimento all'opera erotica dell'ex attore Lui Kei (Women of Desire, Starlets for Sale), che questi possa essere considerato il più autore dei registi degli anni settanta, visto che nelle sue pellicole impiega sempre un'unica troupe, gli stessi attori, e che i suoi lavori sono esteticamente uguali, indipendentemente da genere e storia.