Di Beyond Our Ken è molto significativo il titolo cinese: The Revenge of the Princesses. Il suo regista, Edmond Pang, è un nome emergente, a metà tra ciarlatano cantonese e autore all'europea. Rapido nelle intuizioni, sa cogliere l'attimo e sfruttarlo a proprio vantaggio, sia che voglia girare una commedia scanzonata, sia che si accinga a commuovere in un mélo raffinato. Il ricorso alla musica come apologia diegetica nell'episodio più sentito di Trivial Matters, con Stephy Tang e Gillian Chung che si abbandonano nel finale ad un karaoke purificatore cantando Goodbye, Puppy Love di Danny Chan, la dice lunga.
Allo stesso modo parla chiaro la scelta di Amandoti di Gianna Nannini come canzone portante del suo primo film drammatico: sentita per radio durante la permanenza al Far East udinese, subito incamerata e messa da parte in immaginario jukebox cinematografico.
E' lo stesso espediente che un autore dai tratti simili, Riley Yip, aveva adottato nel suo film d'esordio, selezionando per Love Is not a Game, but a Joke Happy Family, un pezzo melodico di Biagio Antonacci. Le melodie italiane come esotica variante del cantopop? Entrambi i registi, strada facendo, torneranno sui loro passi, scegliendo successivamente la tradizione autoctona, tanto che in Just One Look sono le hit di Sam Hui, ammazzaclassifiche degli anni '70, a spopolare. Segno che il cantopop può anche uscire di scena ma prima o poi, in un modo o nell'altro, sa come rientrare sul palcoscenico principale.
Se il percorso inverso – un autore cinese che canta in un film italiano – ancora manca all'appello, è curioso come il legame tra musica popolare hongkonghese e cinema non sia mai stato in discussione, neanche nei momenti più globalizzati della produzione dell'ex colonia. Negli action schiacciasassi e più impersonali di Benny Chan o Stanley Tong si intravvede talvolta un techno-rock ugualmente anonimo, ma non manca mai la voce dolce della popstar di turno – Nicholas Tse o Aaron Kwok – a sottolinearne la drammaticità. Ekin Cheng, nel bolso The Legend of Speed di Andrew Lau, riesce addirittura ad improvvisare un motivo armonioso su una base house incalzante. Il binomio è meno peggio di quanto possa sembrare e ravviva senza stonare il contesto high tech e high speed di una pellicola talmente digitale da sembrare finta. Lo stesso effetto straniante è regalato dalla canzone cantata a più voci in Gen-X Cops, dove il succitato Tse, Sam Lee e Stephen Fung danno vita ad ossimoro un po' hard rock un po' lirico. Sentirlo mentre lo schermo esplode, letteralmente, di fiamme e dinamite ha paradossalmente un suo senso.
Questi ritocchi musicali, al giorno d’oggi, non sono altro che un aggiornamento dei motivetti fischiettabili resi celebri da Sam Hui, e in misura minore dai Wynners o dai Beyond, questi ultimi in ritardo di un decennio rispetto agli altri due ma maggiormente impregnati di cultura (ed elettronica) anni ‘80. Il formidabile tema di Aces Go Places riprende James Bond e lo trasforma in una filastrocca allegra; ma è soprattutto per i film di cui è protagonista il fratello Michael Hui che Sam sforna il meglio, con hit al fulmicotone dove si alternano chitarre psichedeliche e coretti wah wah. Il pregio di Sam, inoltre, è la penna salace con cui scrive testi più impegnati di quanto il sottofondo scanzonato farebbe pensare: la colonna sonora di The Private Eyes inneggia alla frustrazione dei lavoratori, stanchi di essere sfruttati; quella di Games Gamblers Play parla senza mezzi termini di soldi e differenze sociali. Poco prima dell’handover ha osato sfidare le paure collettive, con Could not Care Less about 1997, invitando gli hongkonghesi a cogliere il momento positivo e a godersi la vita senza dare troppo peso all’imminente riannessione.
Gli unici rivali maschili di Sam erano i Wynners, lanciati da un programma tv di successo, The Wynners Special, quindi da tre film girati in gruppo: Let's Rock (1975), Gonna Get You (1976) e Making It (1978). Sono gli albori del cantopop come è inteso oggi e della figura dalla popstar a 360° – si includa nell’elenco almeno anche Chelsia Chan, acuta voce da usignolo femminile –, capace di cantare, presentare e recitare, indistintamente. La carriere di Alan Tam e Kenny Bee, grandi protagonisti su grande schermo – senza dimenticare Anthony Chan, interprete più defilato ma regista sopraffino –, ne sono l’evidente dimostrazione. Il legame tra musica e cinema si fa da qui più complesso e stratificato che mai. Tutti i divi del pop arrivano prima o poi davanti alla macchina da presa e spesso se ne impossessano: Andy Lau, Leon Lai o Eason Chan cavalcano le generazioni e sfruttano la multimedialità delle loro possibilità commerciali per sfondare e rimanere sempre sulla cresta dell’onda. Manifesto programmativo della vita di una star dietro le quinte sono instant movie come Beyond’s Diary o Musical Singer, in cui Anita Mui generosamente concede al suo primo ballerino, Russell Wong, i fatidici quindici minuti di gloria.