Quesito da un milione di dollari: un regista come Sam Leong è un autore? Nei quattro film che ha girato sinora si riconosce un filo comune, uno spirito facilmente inquadrabile. In un vecchio articolo apparso su un catalogo dell'Hong Kong International Film Festival il critico locale Cheng Yu afferma, in riferimento all'opera erotica dell'ex attore Lui Kei (Women of Desire, Starlets for Sale), che questi possa essere considerato il più autore dei registi degli anni settanta, visto che nelle sue pellicole impiega sempre un'unica troupe, gli stessi attori, e che i suoi lavori sono esteticamente uguali, indipendentemente da genere e storia.
E' una provocazione, ma non troppo, visto che l'ipotetica poetica di Lui prevede temi, situazioni e personaggi ricorrenti, importanti per la definizione di un discorso unico. Il paradosso consiste allora nell'identificazione come tali dei pochi autori che l'ex colonia (e i critici festivalieri) hanno incoronato. Partendo da una simile premesse sembra davvero difficile estendere il discorso a Ann Hui, Patrick Tam o Wong Kar-wai, tanto per citare tre nomi illustri. Ann Hui inizia in un contesto ribelle (The Story of Woo Viet, Boat People) che non prescinde, con il solo limite di budget evidentemente inadeguati, dalle possibilità commerciali al box office. Non è un caso che dopo pochi film la major per eccellenza, gli Shaw Brothers, la metta sotto contratto. E infatti proprio quando si allontana dai generi e tenta un discorso meno contingente la regista manca più clamorosamente il bersaglio. Discorso simile per Patrick Tam, che narrativamente non ha mai cercato di uscire dagli schemi, e per Wong Kar-wai, che solo di recente grazie alla fama acquistata fuori patria può permettersi vezzi che agli esordi, quando recuperava tradizioni e violenza del passato recente, non gli erano propri.
Partendo dal presupposto che una risposta univoca a un quesito simile probabilmente non esiste, l'autore hongkonghese è quel regista che, a dispetto dei generi di cui forzatamente non può prescindere, impone le sue scelte e le palesa agli occhi della platea. Non tanto Fruit Chan, se non quello dei primi due film, men che meno Jingle Ma o Gordon Chan, che morirebbero dalla voglia di ascendere al trono, ma piuttosto umili artigiani consci delle proprie possibilità e con la giusta voglia di raccontare storie interessanti, come Jeff Lau, Joe Ma o Chor Yuen. E Wong Jing? Avrebbe tutti gli elementi per essere incluso nella categoria: lavora con attori che predilige e vuole valorizzare (Andy Lau, Chingmy Yau, Eric Kot), ha un'idea ben precisa di cinema come divertissement che concretizza in una proliferazione seriale di temi ritornanti (il gioco d'azzardo e le scommesse, lo spirito da strada dei suoi eroi popolari, la comicità inventiva e multimediale che prende spunto da qualsiasi referente potenzialmente utile, la dialettica metacinematografica con i rivali come Wong Kar-wai e la grande ironia nel mettersi in gioco anche auto-fustigandosi e esponendosi come attore in prima persona), crea una factory con decine di imitatori - illustri, come Andrew Lau, o meno blasonati, come Raymond Yip e Aman Chang - che ne esportino il verbo. Sicuramente i grandi registi del passato, come Chang Cheh, Lo Wei, Ho Meng Hua, non avevano il tempo materiale di porsi il problema, costretti tra un set e l'altro, tra una produzione e una sceneggiatura, tra un litigio con il tirannico produttore del momento o con la star da accontentare. Da cui deriva meno presunzione nelle loro opere rispetto a tanti colleghi odierni; che spesso si pavoneggiano, inventano, citano, in maniera futile, con il solo scopo di compiacere il proprio ego, risultando nei casi peggiori ridondanti e spocchiosi. Per quanto ottimi registi, non sono esenti da questo difetto registi affermati come Johnnie To, l'ultimo Tsui Hark o Peter Chan, né emergenti quali Cheang Pou-soi, Edmond Pang o Barbara Wong.
L'assunto iniziale merita quindi una nuova prospettiva: abbiamo sempre considerato la prima New Wave, fin dal nome, la svolta del cinema hongkonghese moderno. Eppure le commedie degli ultimi due / tre anni riscoprono soprattutto il cinema cantonese degli anni '60, così come facevano le pellicole raffazzonate ma inventive targate Cinema City (si prendano ad esempio o The Happy Ghost). Il realismo di Yim Ho e Allen Fong non era più efficace di quello degli anni '50, dove il melodramma sociale, poi ripreso anche da Lung Kong, Tong Shu Shuen e dal succitato Lui Kei, regnava sovrano. Il mélo mandarino a cavallo tra anni '50 (Cathay) e '60 (Shaw) è stato tra i migliori al mondo. E se la New Wave e il suo contorno di autori educati in occidente fosse allora una mezza bufala, come affermavano sdegnati i critici locali nei primi anni '80? Non tanto per gli (splendidi, ma rari) risultati (non televisivi), quanto per l'effettiva portata rivoluzionaria all'interno di una cinematografia circolare, che continua a riscoprirsi e ad aggiornarsi, senza eccezioni. Molti registi di allora si lamentavano del fatto che i film cinesi delle decadi precedenti fossero tutti uguali. Immagino che l'esasperazione dovuta alla monotonia degli anni '70 abbia influito, ma gli anni '50 e '60 sono periodi vitali, immaginifici, la cui varietà, di generi, forme e idee, non può essere messa in discussione. Tralaltro c'era anche una netta differenza tra cinema alto e cinema popolare, tra lingue e dialetti, tra attori e star system all'opposto, tra registi colti e mestieranti partiti dal nulla, senza basi accademiche, tra direttori e tecnici stranieri e cantonesi.
E' a partire dal furore della nuova onda che - e secondo me si tratta di errore piuttosto grossolano - il concetto d'autore ha cercato di cambiare, di mutare verso un'idea occidentale. E' lì che si è deciso che la tradizione non andava più bene, né formalmente né a livello sostanziale: certo ne sono nate cose pregevoli (il poliziesco, per esempio) ma qual che si è rischiato di perdere aveva un valore inestimabile. L'omaggio di Dick Cho - uno che viene dal softcore più spinto, e non può essere una contraddizione - con il divertente Those Were the Days è un polemico modo di rileggere due mentalità a confronto. Una rilettura a posterori che implicitamente premia gli artigiani senza ambizioni - oggi gente di talento come Clifton Ko, Clarence Ford, Derek Chiu, Leong Po Chih, Cha Chuen Yee, Billy Chung; ieri precursori ammirevoli come Kuei Chi-hung, Chan Wan, Ling Yun, Ching Gong, Wa San, Wong Tin Lam - talmente innamorati del cinema da essere disposti a scendere a compromessi, a mediare, a cercare di portare a termine senza bizze da primadonna la propria passione.