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Cynthia Khan (vero nome Yeung Lai Ching o Yang Li Ching, a seconda delle traslitterazioni) è una di quelle star minori venute alla ribalta per una concatenazione fortuita di eventi, ma che ha saputo guadagnarsi un piccolo posto nel cuore degli appassionati dei film d'azione. Nata nel dicembre del 1968 a Jiayi (Taiwan), da piccola si dedica alla danza, sua grande passione. Recita in parti secondarie in film locali, ma la grande opportunità arriva quando Michelle Yeoh, reduce dai successi di Yes, Madam e Royal Warriors, abbandona le scene per dedicarsi al matrimonio. Dickson Poon (allora marito della Yeoh e boss della D&B) la recluta come sostituta, unendo i nomi delle due attrici marziali più in voga all'epoca: Cynthia Rothrock e Michelle Khan (nome con cui era inizialmente nota Michelle Yeoh). In the Line of Duty III e In the Line of Duty IV la lanciano nell'empireo dei polizieschi moderni con protagoniste femminili. Cynthia è sicuramente meno carismatica della Yeoh, dominando meno le inquadrature, ma ha dalla sua una simpatia elettrica che si trasforma rapidamente in durezza prima delle scene di combattimento. Volto insolito, non smaccatamente bello, ma particolare, riesce a ritagliarsi uno spazio autonomo, con ruoli da protagonista spigliata e autoironica: spazio purtroppo delimitato dal sottogenere donne con pistole e da produzioni non sempre all'altezza. Middle Man, Forbidden Arsenal e Sea Wolves (a volte presentati come seguiti della serie In the Line of Duty) continuano a girare attorno ai soliti stereotipi. Con il declino incipiente del genere, Cynthia cerca di aprirsi nuove strade, ma riesce a mettere a segno solo un pugno di interpretazioni in film da retrovia in costume. Lo strambo Deadend of Besiegers ha qualche elemento di interesse, ma è incostante. Zen of Sword e The Thirteen Cold Blooded Eagles (quest'ultimo rilettura di The Avenging Eagle, del 1978) la vedono in ottima forma, ma sono funestati da budget non esattamente luculliani, mentre The Invincible Constable è una rilettura farsesca (fortunatamente) dimenticabile. Infine in Blade of Fury, decisamente superiore quanto a meriti filmici, è relegata in secondo piano, anche se l'intenso finale contribuisce a salvare la giornata. Il tentativo di allontanamento prosegue con It's Now or Never, in cui si prende in giro nella parte di una bulletta convinta di essere un'esperta di arti marziali, e con la commedia corale Pink Bomb, su un gruppo di scombinati hongkonghesi in vacanza in Thailandia: il mercato la richiede però nei soliti panni d'eroina pura, e Cynthia cavalca gli ultimi vagiti del sottogenere con annoiata fierezza. Appena decenti risultano Madam City Hunter e The Avenging Quartet, meno digeribili A Serious Shock! Yes Madam! (nonostante le buone premesse del soggetto, su due poliziotte innamorate dello stesso uomo) e Though Beauty and Sloppy Slop (nonostante la presenza di Yuen Biao, si tratta di una rilettura disarticolata di Police Story III Supercop, anche se l'assurdo titolo lascerebbe presagire tutt'altro). Addirittura disarmante l'ultimo periodo, con pochezze del calibro di Yes Madam 5. Fortunatamente Cynthia Khan sembra capire l'antifona, in un trend discendente che non poteva che peggiorare, e ha preferito arroccarsi nel piccolo schermo. Un peccato non le sia stata data la possibilità di esprimersi appieno in qualche ruolo diverso dal solito: così rimane solo uno dei tanti volti (simpatici, ma per nulla indispensabili) del sottobosco del cinema bis locale.
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Nata nel 1962 a Ipoh, in Malesia, Michelle Yeoh è votata al movimento fin dalla più tenera età, prima come atleta (soprattutto nuotatrice), poi come ballerina. Studia danza alla Royal Academy of Dance di Londra, sognando per il futuro di partecipare a qualche balletto e di insegnare a sua volta danza; ma nel 1983, iscritta a sua insaputa dalla madre a un concorso di bellezza, è incoronata Miss Malesia, allettante trampolino di lancio per il mondo dello spettacolo hongkonghese. Dopo aver girato uno spot insieme a Jackie Chan, firma un contratto con la nascente D&B di Dickson Poon e Sammo Hung, che in breve tempo la catapulta in ruoli da protagonista. The Owl and Dumbo la vede in una parte marginale e stereotipata, ma è l'occasione per vedere da dietro le quinte gli spericolati stunt messi in scena da Sammo Hung e compagni, ai quali si appassiona. Allenandosi duramente, giunge preparata alla prova dei fatti per Yes, Madam, del 1985, e Royal Warriors, del 1986. I due film - buoni incassi, apripista del subgenere donne con pistole - hanno poca storia, un montaggio serrato e discrete coreografie opera di Corey Yuen e Mang Hoi, elementi sufficienti a iscriverla nel firmamento delle icone marziali. Tenace e caparbia, Yeoh si lancia a capofitto in tutti gli scontri, con movimenti fluidi e sulle labbra un imprevedibile, beffardo sorriso a stemperare la violenza. Durante Magnificent Warriors, in cui ritorna a lavorare con David Chung (regista di Royal Warriors), pellicola debitrice a Indiana Jones per il registro altalenante tra avventura e commedia, si ferisce a una gamba ed è costretta a prendere parte a un film più tranquillo e sicuramente meno riuscito, Easy Money. Il primo periodo della sua carriera si conclude però per altri motivi, nella forma di un matrimonio col suo giovane mecenate, Dickson Poon, che la preferisce a casa e ospite invidiata agli eventi mondani. Il periodo coniugale non è comunque tra i più felici, e dopo tre anni e un divorzio l'attrice è pronta al grande rientro sulle scene. Sarà d'ora in poi accorta nel scegliersi le parti e nel costruire le basi di un successo stabile, dimostrando un'invidiabile abilità imprenditoriale, oltre alla solita verve. Police Story III Supercop, terza fatica di Jackie Chan quale poliziotto funambolo nella moderna Hong Kong, si rivela un successo formidabile (miglior incasso dell'anno in patria), con eco duratura tra i fan. Michelle Yeoh riesce in effetti a rubare in più d'una occasione la scena alla star dello show, dimostrando un carisma inusuale per un film d'azione di poche pretese emotive. Da qui in poi è un crescendo: The Tai-Chi Master la vede al fianco di Jet Li, Heroic Trio ed Executioners di Anita Mui e Maggie Cheung. Project S, sorta di spin off del film con Jackie Chan, la vede per la prima volta protagonista assoluta, ma ha una storiella debole e poche idee a sostenerlo, mentre Holy Weapon e Wonder Seven, pur nella loro caotica e vertiginosa incompiutezza, contribuiscono a diffondere il suo nome. Con otto film in due anni e l'acuirsi di un vecchio problema alla schiena, Michelle ha bisogno di una pausa: peccato che proprio durante le vacanze sulla neve si rompa i legamenti di una gamba, sottoponendosi a un intervento chirurgico. Il peggio deve in ogni caso ancora venire: nel 1995, durante le riprese di Ah Kam, Michelle calcola male i tempi di uno stunt e cade di testa da altezze vertiginose. Si teme il peggio, ma fortunosamente se la cava con alcune lesioni minori e tre settimane d'ospedale. Nel film di Ann Hui, l'attrice malese ha per la prima volta modo di mettersi alla prova in un ruolo drammatico, descrivendo con pochi tratti essenziali il suo personaggio, destino vuole proprio una stunt-woman. Forse proprio a causa della sequela di incidenti, il progetto successivo non include scene d'azione. The Soong Sisters è un controverso ma intenso ritratto della Cina repubblicana pre-rivoluzionaria, architettato da Mabel Cheung e Alex Law. Michelle Yeoh regala un'interpretazione defilata, in sottrazione, eppure toccante, dimostrando di avere della stoffa anche come attrice tout-court (non a caso giunge la nomination quale migliore attrice non protagonista agli Hong Kong Film Award). Nel frattempo il vecchio film con Jackie Chan è doppiato in inglese e lanciato sul mercato statunitense, e anche se non è propriamente un successo, permette a Michelle Yeoh di sbarcare a Hollywood per barcamenarsi nel mondo di 007. Tomorrow Never Dies e soprattutto Crouching Tiger, Hidden Dragon la accreditano così come l'unica vera donna d'azione attualmente in attività. Le cose iniziano però a incrinarsi: la sovraesposizione mediatica del film di Ang Lee permette a Michelle Yeoh di fare il grande salto e diventare produttrice di sé stessa, tanto che nella primavera del 2000 fonda la sua casa di produzione, la Mythical Films: i primi passi non sono però granché promettenti. The Touch è un pasticcio ineguale che punta al mercato internazionale, ma si arena nella noia. Silver Hawk è persino peggio, dimostrando solo la simpatia dell'attrice (talvolta istrionica tra i suoi cocciuti sorrisi, tutt'altro che finti o manierati), in una selva snervante di rivolgimenti anti-climatici. È da vedere se con l'annunciato progetto in costume Hua Mulan, Michelle Yeoh riuscirà a correggere il tiro. Intanto, scorrendo la sua carriera, è impossibile non notare un paradosso avvincente. Da un lato la risibile qualità di molti dei film a cui ha partecipato: dall'altro lo status di icona - d'azione, ma non solo - raggiunto nel tempo. Un paradosso entro il quale Michelle ha saputo muoversi con scaltrezza e innocenza; l'unico rimpianto è che fino ad oggi non abbia sfruttato sino in fondo la capacità scenica di cui è senza dubbio dotata.
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Attore giovane, volto emergente, debutta al cinema sul finire degli anni '90 dopo aver accumulato esperienze televisive. Da principio, anche con minutaggio limitato, si propone come cattivo: è particolarmente credibile nel ruolo del giovane genio criminale (Sharp Guns), del piccolo mafioso abituato alle scorciatoie (A War Named Desire), del viscido opponente capace con ogni mezzo di mettere i bastoni tra le ruote dell'eroe di turno (senza necessariamente essere un malavitoso, come in Afraid of Nothing, the Jobless King di Joe Ma). Lentamente acquista visibilità e guadagna anche ruoli, pur sempre da comprimario, caratterizzati meno negativamente, come in Everyday Is Valentine o Cop on a Mission, dove è l'amico fidato dell'undercover in crisi. Il primo regista a offrirgli un'occasione importante è Herman Yau, che lo trasforma in capro espiatorio nel teso From the Queen to the Chief Executive, dove è uno dei condannati a pena indefinita per cui si battono gli attivisti politici. Faccia simpatica, fisico che si presterebbe bene all'azione, sembra poter salire sullo stesso carro degli outsider tipo Patrick Tam, Terence Yin, Michael Lam, in attesa di una possibilità per emergere del tutto e dimostrare il proprio valore. Invece, dopo un inizio di carriera promettente, alternando produzioni di livello medio-alto e low budget, Lee torna troppo presto ai margini del sistema. Poco casualmente riesce a ritrovare spazi da protagonista solo nel digitale gonfiato per il grande schermo, perlopiù sotto il triste marchio della B&S Film Workshop: ma i risultati, come si può facilmente immaginare vista la povertà, tematica e realizzativa, dei progetti in cui è coinvolto (titoli programmatici come Don't Let the Sun Go Down, Modern Cinderella o Psychedelic Cop), sono deludenti. Nel frattempo, tra l'ennesim ruolo come villain (The Wall, dove è un triadoso figlio di papà; Devil Face, Angel Heart) e qualche comparsata di basso profilo che gli consente di sopravvivere nel mondo dello spettacolo (My Troublesome Buddy), David Lee è costretto a sprecare sempre di più il suo talento in pellicole che non valgono neanche parzialmente la sua bravura.
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Nata in Cina nel 1963, Anita Mui comincia presto la sua carriera nel mondo dello spettacolo, come cantante: a 6 anni vince un concorso per giovani talenti e inizia a incidere dischi. Ben presto il suo nome si impone anche presso il grande pubblico. Come tante colleghe, Anita flirta con il cinema e la televisione, componendo le colonne sonore di film e sceneggiati. Debutta su grande schermo nel 1983, con un ruolo minore in Mad Mad 83. Per Behind the Yellow Line di Taylor Wong l'anno dopo vince un Hong Kong Film Award come miglior attrice non protagonista. Pur ricevendo numerose offerte non si concede del tutto al mondo del cinema, preferisce piuttosto privilegiare la carriera musicale, cui dedica studio (danza, canto) e attenzione, e scegliere pochi copioni purché degni del suo innegabile talento.
Carismatica, dal fascino elegante, non particolarmente bella ma dallo sguardo magnetico, la Mui, soprannominata dal pubblico «la cento volte mutevole» per la sua capacità di stupire le platee con look e stili sempre diversi, oltraggiosa e al tempo stesso tradizionale, è per certi versi la risposta orientale a Madonna, con la medesima facilità nel lanciare trend e imitatori. Una donna matura, di grande classe, amata dalle migliaia di fans e dai colleghi - come Andy Lau, che le è sempre stato vicino -, coinvolta raramente in scandali (fece notizia un fattaccio in un karaoke di Tsim Sha Tsui, dove fu schiaffeggiata da un boss mafioso per cui non aveva voluto cantare; episodio ricostruito fittiziamente in Tragic Fantasy - "Tiger of Wanchai") e impegnata contro molti malcostumi (era in prima fila durante la manifestazione contro l'ingerenza delle triadi nello show business).
Consacrata come cantante, ottiene a cavallo tra anni '80 e '90 la palma di primadonna anche nelle vesti di attrice. E' stupenda e memorabile in Rouge di Stanley Kwan, per cui vince l'Hong Kong Film Award e il Golden Horse taiwanese. Vi interpreta - accanto a Leslie Cheung - una donna di Shanghai, tradita, che torna come fantasma dopo il suicidio per ritrovare l'amante che non ha avuto il coraggio di compiere l'estremo gesto con lei. In A Better Tomorrow III di Tsui Hark è una pasionaria che inizia il giovane Mark Gor (Chow Yun Fat) al culto delle armi, finendo per rubargli la scena. In Eighteen Springs di Ann Hui (da un romanzo di Eileen Chang), per cui vince ancora un premio come miglior non protagonista, e in Saviour of the Soul, dove dà vita a un doppio personaggio (l'epica eroina e la sua gemella demenzialmente impazzita), dimostra grande versatilità in caratterizzazioni non per forza positive.
Famosa in occidente per il dittico The Heroic Trio / Executioners, incarna l'idea della protagonista per eccellenza, star da melodramma, amante vulnerabile, adeguata alla modernità del cinema che rappresenta (come nel divertente Who's the Woman, Who's the Man, in cui irretisce con la sua estrema sensualità un giovane cantante ignara del fatto che sia una donna en travesti). Versatile, dotata di grande auto-ironia (ai limiti del masochismo, come quando appare al fianco di Jackie Chan), di charme, è spiritosa e scatenata nella commedia (in Justice, My Foot e The Mad Monk incontra Stephen Chiau, tenendogli testa), adeguata con arti marziali e scene d'azione (The Moon Warriors), abile con le pistole (My Father Is a Hero) e sopraffina interprete di drammi coinvolgenti (in Kawashima Yoshiko di Eddie Fong riesce a smussare gli angoli di una controversa collaborazionista).
Il suo ruolo migliore è probabilmente la cantante contesa negli anni della guerra sino-giapponese da due focosi spasimanti - un rivoluzionario e un ufficiale nipponico - nello splendido Au revoir, mon amour di Tony Au, inno nostalgico e lancinante all'amore impossibile e doloroso. Negli ultimi anni limita i suoi impegni cinematografici, ma il suo status non è mai in discussione: in Wu Yen si mangia le due emergenti Cecilia Cheung e Sammi Cheng ed è l'unico motivo per pagare il biglietto; in July Rhapsody è l'intensa moglie in crisi con il marito (insegnante tentato da una sua giovane studentessa); in Dance of a Dream e Let's Sing Along torna spiritosamente come commediante, sbarazzina e simpatica. Glaciale, divina, inarrivabile, femme fatale d'altri tempi, Anita Mui, scomparsa per un cancro all'utero a soli quarant'anni, è, e rimarrà nel ricordo collettivo ancora a lungo, la vera regina dello spettacolo cantonese, la cui fama si è propagata per vent'anni senza eguali in tutto il Sud Est asiatico.
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Nata a Vancouver nel 1978 da padre hongkonghese e madre taiwanese-giapponese, Karena Lam, cresciuta in Canada, è indubitabilmente l'ultima stella di una certa grandezza emersa nello star system cinematografica. Muove i primi passi come cantante - due dischi tra il 1994 e il 1999 -, timidamente, tra il Canada e Taiwan. Recita in una serie tv taiwanese, alla cui selezione aveva partecipato solo per fare compagnia a un amico. Notata da Derek Yee, fa un provino per July Rhapsody di Ann Hui; dopo i primi tentennamenti i produttori la scelgono e le offrono la possibilità di interpretare una ragazza ribelle che tenta il suo maturo insegnante (Jacky Cheung) in crisi con la moglie (Anita Mui). Scelta vincente, visto che porta a casa quattro premi (due Hong Kong Film Award e due Golden Horse, in entrambi i casi come miglior esordiente e come migliore interprete non protagonista). La sua carriera cambia prevedibilmente orizzonti: si trasferisce in pianta stabile a Hong Kong e decide di impegnarsi a tempo pieno come attrice. Torna subito in un ruolo esattamente opposto, in Inner Senses di Law Chi Leung (prodotto da Yee), dove è una timida aspirante suicida, disperata perché tormentata dai fantasmi, in cerca d'aiuto presso uno psicologo di cui si innamora. Sbarazzina, non particolarmente attraente, è un simbolo aggiornato della gioventù d'oggi, modaiola, lucida, consapevole dei suoi mezzi e delle sue possibilità. In Tiramisu di Dante Lam è parte in causa nell'ennesimo binomio amoroso tra uomo (Nicholas Tse) e fantasma: il mélo e la ghost story si fondono con ritmi videoclippari, fotografia patinata e una grandinata di effetti digitali. In breve Karena Lam diventa il fulcro di una nuova generazione emergente di stelle: spesso contrapposta a Angelica Lee - si incontreranno presto nel thriller soprannaturale Koma -, incontra i gusti del pubblico, per l'ennesima volta, in Truth or Dare: 6th Floor Rear Flat, seconda prova di Barbara Wong. Qui interagisce con la créme della meglio gioventù attoriale, da Lawrence Chou a Cyrus Wong, da Candy Lo a Samuel Leung, in una commedia spensierata e per nulla oltraggiosa, buonista e conciliante dietro la patina di gossip e maledettismo. Fa un ulteriore passo verso la consacrazione presso il grande pubblico come coprotagonista, con ruolo decisamente defilato, di Heroic Duo, poliziesco non irresistibile diretto da Benny Chan. Sotto contratto per la nuova major Edko, di cui è l'ultimo testimonial di rilievo, Karena ne rappresenta anche l'immagine da festival. Con il recente The Floating Landscape di Carol Lai, prodotto da Stanley Kwan e presentato a Venezia, si cimenta in un ruolo difficile, una ragazza hongkonghese in trasferta in Cina per ritrovare i luoghi cari del fidanzato da poco defunto. A suo agio sia nella commedia che, soprattutto, nella tragedia rarefatta, la Lam, nonostante la giovane età, è indicata dai colleghi come esempio di maturità e professionalità. Apprezzata dai coetanei e allo stesso modo dal pubblico adulto, forse non ancora del tutto versatile e non sempre a suo agio quanto la fama così presto - ma meritatamente - raggiunta richiederebbe, la Lam è ormai pronta al grande salto di qualità, unica possibile alternativa (drammatica) nello stardom prossimo venturo al carisma di Charlene Choi, alla simpatia di Miriam Yeung e alla verve di Cecilia Cheung.
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Cantante pop, nasce in Canada nel 1982, arriva subito al grande successo con il duo Twins, in coppia con l'inseparabile Gillian Chung. Le due colleghe / amiche spopolano come cantanti in mezza Asia, conquistano le classifiche di Hong Kong, Taiwan, Cina, Corea e Giappone e diventano in breve il simbolo della casa discografica EEG. Il passaggio al cinema è immediato e obbligatorio, previa militanza televisiva presso la RTHK: Charlene debutta in un brevissimo cammeo nella commedia surreale What Is a Good Teacher e acquista minuti e personalità qualche mese dopo grazie alla conduttrice radiofonica GC Goo-bi, nell'ultimo dei tre episodi di Heroes in Love. E' un debutto fulminante, che le vale la nomination come miglior esordiente all'Hong Kong Film Award: in Oh! My G, breve scheggia mélo, la Choi si confronta alla pari con l'altrettanto vivace Lawrence Chou. Subito Joe Ma ne intuisce il talento e il potenziale commerciale e la scrittura per il dramma Funeral March, che la rivela al grande pubblico. La sua interpretazione misurata e l'immagine dimessa che ne deriva fanno a pugni con il suo look di ragazzina trendy, aggiornata, ribelle ma non troppo. Immagine che invece la contriddistingue nelle altre prove su grande schermo, incursioni sempre più frequenti che non inficiano comunque la carriera, altrettanto prolifica, di popstar affermata.
Quello di Charlene è solo uno degli ultimi casi di divisione della carriera, di pluralità artistica - partecipa nel frattempo anche a un paio di serie televisive (tra cui la celebrata Monkey King - Quest for the Sutra, al fianco del comico Dicky Cheung) e diventa con la collega Gillian Chung testimonial di diversi prodotti in spot e servizi fotografici -, di talento prestato ai diversi media. Recita con la partner in affari in diverse pellicole: in Summer Breeze of Love è praticamente se stessa, una teenager frizzante, con la testa fra le nuvole, persa tra smanie consumistiche, primi amori e mode giovanili. Con Just One Look di Riley Yip perde minuti ma da comprimaria si presta bene al delicato affresco corale fatto di musica, cinema e nostalgia. La scena è tutta sua in My Wife Is 18 di James Yuen, scatenato remake del classico Shaw The Merry Wife, e in Diva - Ah Hey, quasi autobiografico, in cui ritrova il suo mentore Joe Ma. Il pubblicizzato The Twins Effect, clamoroso incasso estivo, segna l'ingresso delle Twins nel cinema di serie A, costoso, patinato, hi-tech, ricco di effetti speciali. Ma paradossalmente appiattito, povero di sentimenti, meno spiritoso: dell'atmosfera da blockbuster risente anche la Choi, la cui verve è visibilmente contenuta e la cui innegabile carica di simpatia purtroppo smorzata. Good Times, Bed Times ne conferma l'appeal commerciale, anche in solitaria: ormai uscita dal ruolo di piccola peste, forte di una recitazione in crescita, fatta di espressività e smorfie allegre, di sguardi immaturi e ammiccamenti, l'attrice / cantante si prepara per imporsi al box office. L'horror The Death Curse dell'emergente Cheang Pou-soi potrebbe essere il definitivo trampolino di lancio.