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Figura misteriosa, principalmente sceneggiatore (o sceneggiatrice) legato al giro di Wong Jing / Andrew Lau, passato anche alla regia. Presumibilmente uno pseudonimo dietro cui si cela qualche personaggio illustre dell'industria (lo stesso Wong Jing?), se non addirittura un nome di comodo utilizzato a più riprese da diverse persone, sorta di controparte hongkonghese del classico Alan Smithee americano. Curiosamente nella filmografia firmata da Not a Woman - in cantonese Bat Shut Lui Yan, un nome che è un programma in un panorama, generalizzando, sostanzialmente misogino: il che non esclude che si possa trattare di una donna con forte senso dell'(auto)ironia - si sviluppa un filo conduttore ben riconoscibile, il che avvalora l'ipotesi di un'unica personalità o di direttive ben precise da seguire per poter usufruire del nome. Inizia come sceneggiatore al servizio di Wong Jing, scrivendo I'm Your Birthday Cake di Raymond Yip e Blind Romance di Tam Long Cheong, ambedue interpretati dall'allora compagna di Wong, Chingmy Yau. Con Cop on a Mission passa al noir, con risultati migliori, anche grazie alla regia dell'emergente Marco Mak, che ritroverà nel meno personale (e più sciatto) The Peeping, thriller morboso ispirato a un vero scandalo cronachistico - gli affari a luci rosse di una sensuale esponente del parlamento taiwanese -, bieco tentativo di riportare in auge gli eccessi del Cat. III senza la reale volontà di osare. Con Beauty and the Breast torna alla commedia, con piglio più aggressivo e maggiore originalità, sfruttando in maniera grottesca la scia del successo di La Brassiere: l'idea è di mettere in panni imbarazzanti (a due cinici playboy cresce un procace seno) i protagonisti Daniel Wu - un attore con cui, potrebbe non essere una coincidenza, si trova a lavorare spesso - e Francis Ng. Infine scrive i tre frammenti dell'horror collettivo Haunted Office e per uno degli episodi decide a sorpresa di cimentarsi in prima persona dietro la macchina da presa, dimostrando la necessaria padronanza dei mezzi tecnici pur senza spiccare quanto a personalità e idee. Esponente di un cinema schietto, tipicamente popolare, di media caratura quanto a temi e budget, Not a Woman dimostra di trovarsi a suo agio nella factory di Wong Jing, senza particolari esigenze stilistiche né tantomeno eccessive pretese artistiche o autoriali. Penna versatile quanto basta per potersi barcamenare senza troppe difficoltà tra i diversi generi - con una propensione all'azione e al thriller - e funzionale alle esigenze a basso costo dei suoi produttori, è un esempio di produttività agile e capacità di adattamento. E in più c'è il mistero legato all'identità nascosta a farci guardare con maggiore curiosità al suo operato.
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Produttore dell'ultima generazione, Ng Kin Hung è un vero artista del low budget: con la sua Buddy Film Creative Workshop, capace di mettere insieme una pellicola con poco o niente, appartiene a quella categoria di produttori astuti e non privi di istinto commerciale, a metà tra serie a e serie b, sempre sull'orlo del colasso finanziario e sempre in grado di uscirne senza troppi patemi. Ng ha il grande merito di puntare su registi e tecnici che considera affidabili, legandosi a loro in un rapporto di reciproca fiducia: è il caso dello sceneggiatore Edmond Pang, del promettente regista Chung Shu Kai e del sottovalutato Billy Chung, valorizzato dopo un inizio di carriera poco promettente a base di Cat. III trucidi e cheapies di poco conto. A partire da Killer il binomio Ng - Chung diventa sinonimo di una certa qualità, soprattutto in campo noir e poliziesco: sono sì film medi, o di poco superiori, ma confezionati con precisione e senza montarsi la testa, come Undercover Blues, versione bassa di The Mission di To, o The Cheaters, un action a base di truffe borsistiche sulla falsariga di Downtown Torpedoes di Teddy Chan. Riciclando attori passati nel dimenticatoio (Jordan Chan, Rachel Lee, Julian Cheung), starlette di medio calibro (Sherming Yiu, Ellen Chan), veterani (Mark Cheng, Ray Lui, Ti Lung) e abili caratteristi (Wayne Lai, Simon Loui, Amanda Lee, Chapman To), Ng si ritaglia una piccola scuderia di volti che fa ruotare con intelligenza. Senza troppa esperienza e nonostante un leggera preferenza per l'azione, per quanto possibile spettacolare, dimostra di saper spaziare tra i vari generi (l'horror Esprit d'Amour; il dramma generazionale High K; la commedia agrodolce Happy Family), serializzando e riciclando, senza particolari imbarazzi e con discreta originalità: solo nella commedia patinata (soprattutto nella variante sexy, come Salon Beauty) evidenzia i limiti della mancanza di attori di peso e rischia di stonare nella cartolina laccata para-televisiva (i troppo simili Perfect Match e Blue Moon). Ng, che ha cominciato a metà anni novanta come direttore di produzione per la Mandarin e che in una sola circostanza (con risultati non memorabili: Last Ghost Standing, horror comico irrancidito) si è concesso il lusso di sceneggiare, ha però la necessaria umiltà e le conoscenze giuste cui associare il proprio nome: come Herman Yau, incontrato sul set di The Untold Story III, cui ha prodotto tutti gli ultimi lavori (rimanendo anche coinvolto in un piccolo scandalo sentimentale, durante le riprese di Nightmares in Precint 7 e Killing End, quando i paparazzi gli additano una breve relazione con l'attrice Rachel Lee), o Raymond Wong della Mandarin. In tempi di magra è costretto a passare al digitale e a lavorare con la B&S Film Creation Works House di Takkie Yeung, ma è solo una parentesi - qualitativamente scadente -, visto che dopo Give Them a Chance di Herman Yau è ora sul set di una produzione di medio lignaggio, Killer 2 (regia di Steve Cheng), per la Universe.
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Vincent Kok era in Canada per completare gli studi universitari quando, nel 1991, ebbe la fortuna di incontrare il regista Clifton Ko, che ha avuto il grande merito di credere in lui e di stimolarlo fino a farne emergere l'incredibile talento nella sceneggiatura. Già i primi lavori di Kok, tutti poi diretti dallo stesso Ko, come Beyond's Diary o Daddy, Father, Papa si attestano su un buon livello, un gradino oltre la media. Sul set di All's Well End's Well, commedia corale baciata dal successo, avviene il secondo decisivo incontro per la sua carriera, quello con Stephen Chiau, di cui sarà di qui a poco stretto e insostituibile collaboratore.
Dopo un paio d'anni di lavori alimentari, tra softcore spiritosi (Crazy Love), horror sanguigni (Vendetta) e azione fine a se stessa (Satin Steel), Kok si propone anche come attore. Caratterista spigliato, valido in ruoli di contorno, conferma la sua predisposizione per la commedia: non ha mai grandi parti - tra le eccezioni: l'allievo cuoco che spodesta Chiau in The God of Cookery e il partner di Leslie Cheung in Okinawa: Rendez-Vous - ma rimane impresso per la demenzialità con cui recita, costantemente sopra le righe. Ogni tanto prova anche a riciclare la sua penna per blockbuster studiati a tavolino - Hitman con Jet Li, Armageddon di Gordon Chan - ma sono le poche note stonate di una carriera limpida.
Sottovalutato autore sui generis, Kok passa presto alla regia, dove dimostra conoscenza dei fondamentali tecnici e poca timidezza. In Only Fools Fall in Love sfrutta due grandi attori come Lau Ching-wan e Wu Chen-lien e li spinge ad odiarsi / amarsi in un mélo-commedia in costume piuttosto divertente. Affila la lama con Forbidden City Cop, in assoluto uno dei migliori Stephen Chiau, dove alla leggerezza di battute e caricature tipiche del famoso comico si alternano momenti satirici intelligenti e per niente banali, come la premiazione improvvisata dove si straparla di inquietudini del post-moderno. Cause We Are So Young è meno irrazionale, ma altrettanto scatenato, cambiano solo protagonisti - un gruppo di attori emergenti, sconosciuti, carini e deliziosamente in parte - e pulsioni - il mélo tardo giovanile di Feel 100%. Con Gorgeous Kok, che ha scalato tutte le possibili vette - stima dell'industria in toto, affidabilità al botteghino, conoscenza dei propri limiti, capacità di anticipare gusti e mode del pubblico -, arriva a dirigere una commedia disegnata sulla superstar Jackie Chan. Cast spaventoso - Shu Qi, Tony Leung Chiu-wai e l'mmancabile Stephen Chiau in un divertente cammeo - per rivitalizzare il divo Chan e salvarne l'immagine dopo le ultime stanche apparizioni firmate Stanley Tong e Sammo Hung: operazione perfettamente riuscita.
A sorpresa, ma non troppo, Marry a Rich Man, film natalizio del 2002, con la coppia Sammi Cheng-Richie Ren (che tanto bene aveva fatto in Summer Holiday di Jingle Ma) spazza via ogni possibile concorrente e recita il ruolo di campione assoluto d'incassi. Un'altra commedia per tutti, capace di assecondare il momentaneo bisogno di (sor)ridere del grande pubblico cantonese, che sfrutta bene location esotiche (Milano) e i due simpatici protagonisti. Qualcuno della vecchia guardia ha storto il naso leggendo un appiattimento di toni e scrittura, ma è innegabile che vendere il proprio talento con così tanta classe sia operazione tutt'altro che facile. Gli immancabili brontoloni insoddisfatti non dovrebbero essere rimasti delusi dalle ultime eccellenti produzioni di Kok, che ha puntato molto su 2002 di Wilson Yip (al lancio del quale ha contribuito ai tempi di Teaching Sucks!), sci-fi superiore alle media - anche se con un cedimento imprevisto nel finale -, e sull'originalissimo You Shoot, I Shoot di Edmong Pang, grande outsider del 2001.
Ormai uscito allo scoperto, Kok sembra scegliere la carriera da regista. Conferma la sua professionalità al box office con una commedia di capodanno di grande successo, My Lucky Star, in cui ottiene buoni risultati dall'improbabile coppia Tony Leung Chiu-wai - Miriam Yeung. In un ruolo di contorno si mette in luce l'estro comico di Ronald Cheng, di cui Kok si fa portavoce, costruendo attorno al suo umorismo stralunato l'ennesimo outsider stagionale, Dragon Loaded, dallo spirito scanzonato e vignettistico e dalla struttura frammentata in totale libertà creativa. Il regista è soddisfatto della risposta del suo protagonista a tal punto che il loro prossimo passo, il già annunciato Super Model, prevede ancora il palcoscenico interamente a disposizione di questa giovane star in fieri.
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Nato nel 1949, Johnny Mak comincia giovanissimo la carriera nei ranghi dell'emittente televisiva RTV come produttore e regista: arriverà fino ai vertici. Firma qualche poliziesco per il piccolo schermo che come quelli dei colleghi (Patrick Tam, Ann Hui) lascia il segno e gli permette di affacciarsi al mondo del cinema avendo già un nome. Nonostante sia un ottimo regista (e un valido sceneggiatore) limita la sua esperienza dietro la macchina da presa ad una sola prova, Long Arm of the Law, passo obbligatorio per chi voglia comprendere cosa sia il poliziesco cantonese. E' una sintesi drammatica di timori politici, intemperanze grottesche e violenza disinibita: tutti temi che ricorrono nell'opera di Mak. Il quale come produttore si offre più volte ai suoi ammiratori, sempre con coerenza, sempre senza risparmiarsi. Pur non dirigendo in prima persona, si tratta di un autore a tutto tondo, così influente da saper infondere la sua personalità in pellicole altrui. Gli piace inventare filoni; comincia con i bargirl pictures, ossia pellicole incentrate sulla gioventù ribelle femminile che non riuscendo a trovare un posto nella società finisce per rifiutarne morale e abitudini e per isolarsi in un sottobosco (spesso criminale) fatto di night club e prostituzione. E' una lezione, quella dei vari Lonely 15 e Midnight Girls, che hanno ben presente sia Lawrence Ah Mon prima di girare Gangs che Andrew Lau quando mette in cantiere il fortunato Young and Dangerous. Mak sa bene che il suo ruolo implica il dover tenere conto di modi e mode contemporanei. In periodo di horror produce i due efficaci Possessed; quando dopo i due Swodsman impazzano i wuxia mette in cantiere The Sword of Many Lovers, con Leon Lai, Sharla Cheung e Michelle Reis. Inventa il soft-core con Sex and Zen, il cui successo è tale da sbarcare finanche nei cinema occidentali, seppure tagliato. Spopola A Better Tomorrow e lui produce Tragic Hero e Rich and Famous, due film consequenziali, che del successo di John Woo ripropongono Chow Yun Fat. Sono uno diretta filiazione dell'altro ma per uno strano caso escono al cinema in ordine invertito perché il secondo viene considerato più redditizio. Per le mani di Mak passano anche Ringo Lam, non ancora approdato al noir, e Clarence Ford. The Iceman Cometh è un originale pastiche dove tradizione e modernità si confrontano di continuo: due guerrieri Ming si ritrovano nel futuro per portare a termine un feroce combattimento. Ma sono altri i nomi di fiducia cui Mak ricorre come esecutori: il fratello Michael, cui affida i progetti più sentiti, David Lai e Taylor Wong (il tosto Sentenced to Hang). Tre discreti sequel del suo capolavoro Long Arm of the Law, interessanti ma molto meno politicizzati del primo, ribadiscono l'affidabilità al box office delle sue idee. Mak è sistematico nel ritornare sui luoghi del successo, e quasi scaramantico nel circondarsi di volti noti (Kent Cheng, Ray Lui, Tsui Kam-kong, Amy Yip). Quasi per caso arriva a contatto con Poon Man-kit, autore di un buon dramma, City Kids '89, remake di un vecchio film con Bruce Lee. To Be Number One è il frutto di due menti in sintonia: mastodontico, sovraccarico e senza barriere, inizia il meta-genere dei cosiddetti big timers, biografie accurate (meglio dire agiografie, vista la simpatia nei confronti dei protagonisti) di grandi criminali realmente esistiti. Lo stesso boss Ng Sik-ho, che nel film diventa Limpy Ho, viene assunto quale consulente durante le riprese. Con il doppio Lord of East China Sea - due film separati al momento dell'uscita cinematografica a causa dell'estrema lunghezza, ma in realtà un unicum inscindibile - si raggiunge il limite ultimo di recepibilità (e infatti è un flop colossale). Questa volta si passa in rassegna la vita di Du Ye-sheng, pescatore ambizioso che arriva a controllare Shanghai negli anni trenta. Al di là di retoriche difficili da comprendere per un occidentale (il tentativo di scagionare l'eroe dalle accuse di collaborazionismo con i giapponesi) resta un lavoro intenso ma fin troppo dilatato, importante per come ricostruisce il clima generale e per come porta lo spettatore indietro di tre generazioni. Queste pellicole sembrano più costose di quanto non siano, molto eleganti nella forma, quasi barocche ma sempre efficaci. Dopo qualche anno di silenzio il categorico The Island of Greed, ascesa di un mafioso taiwanese, ribadisce il tipo di cinema che piace a Mak, ma è troppo tardi. Questa volta è il pubblico ad essere un passo avanti.
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Come nel caso di Frankie Ng, anche quelle di Lee Siu-kei sono braccia rubate dal cinema al mondo della malavita. A differenza però dell'ex collega, Lee punta in alto, e si dedica subito a più ruoli, non limitandosi a recitare. Lanciato da Stephen Chiau - il che avvalora la tesi di chi vorrebbe il popolare comico implicato in giri ai limiti del losco - in Fist of Fury 1991, questo omaccione corpulento, il cui viso incute un certo timore reverenziale, non ha mai preteso ampio minutaggio, preferendo la quantità (di pellicole in cui compare) alla qualità (delle partecipazioni). Come Frankie Ng assurge ad una certa riconoscibilità con la serie Young and Dangerous, in cui interpreta uno dei pezzi grossi della gang Hung Hing, Brother Kei. Ma con Andrew Lau aveva già lavorato qualche anno prima in Raped by an Angel e To Live and Die in Tsimshatsui. Ottenuta una certa fama, Lee impazza in pellicole minori (indifferentemente commedie, drammi, horror: le espressioni sfoggiate sono sempre le medesime) e in quasi tutti i film dove si parla di triadi (con più spazio del solito nel dramma carcerario Chinese Midnight Express, del 1997). Continua a frequentare i set di Stephen Chiau (The God of Cookery, Lawyer, Lawyer), cui produce alcune pellicole (The Lucky Guy di Lee Lik-chi, The Tricky Master di Wong Jing).
Dopo un lungo apprendistato come organizzatore, passa alla produzione, specializzandosi in pellicole erotiche a basso costo, meglio se violente o grandguignolesche. In questa fase, quasi senza volerlo, ha il fiuto per lanciare alcuni registi interessanti come Steve Cheng e Marco Mak e per ridare credibilità ad un vecchia volpe in via d'estinzione come Billy Tang. Non pago dei suoi successi, comincia a proporre sue sceneggiature, confermando i suoi gusti verso il Cat. III spiccio e il poliziesco di livello medio-basso: ovviamente il risultato non è niente di memorabile (Chinese Erotic Ghost Story o The Legendary "Tai Fei", spin-off della serie Young and Dangerous dedicato al lurido capobanda interpretato da Anthony Wong). Per chiudere il cerchio, Lee Siu-kei si improvvisa anche regista, peraltro dimostrando meno limiti che nelle altre circostanze. The Fruit Is Swelling e Indecent Woman sono il simbolo di una volgarità poco repressa, ma anche di una discreta capacità di sintesi e di un ritmo che non annoia. Soprattutto il primo titolo, sorta di remake dell'americano Big a tinte forti - qui è una ragazzina che diventa grande e fa innamorare di sé un istruttore di nuoto cui concederà le proprie grazie - stupisce per una sintassi coerente e per un'ironia non particolarmente fuori luogo (oltre che per un paio di sequenze davvero molto esplicite!). Nel 2001 rallenta le sue attività, prima dirige il modesto noir The Young Ones, da lui scritto, poi torna alla produzione con Electical Girl di Bowie Lau e Fing's Raver, entrambi interpretati dalla bomba sexy Sophie Ngan; mentre come attore si fa notare solo per l'ennesimo cammeo nel recente successo di Joe Ma, Love Undercover. Per la sua ultima regia, Holy Terror in the Village, annega nella povertà e rinuncia alla pellicola in favore del digitale (mal) prodotto dalla B&S Film Workshop.
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Nato nel 1957 a Hong Kong, ma la sua famiglia è originaria del Guangdong, Manfred Wong ha alle spalle studi classici in scuole cattoliche, terminati anzitempo, a un passo dalla laurea in Comunicazione (presso il Baptist College). Il richiamo della televisione, dove viene assunto come copywriter, lo cattura subito, e nel 1972, un vero prodigio, comincia a scrivere, come giornalista, per diverse testate, alternandosi tra riviste e quotidiani. Nel 1977 è sceneggiatore presso la RTV (la prima emittente via cavo di Hong Kong), dove si specializza in melodrammi in costume (Dragon Strike e Reincarnated i suoi due hit del periodo). Al cinema arriva nel 1979, iniziando dal basso, ma guadagnando posizioni molto velocemente. Preferisce occuparsi delle mansioni creative, che gli permettano di mettere su carta le sue mille idee, sceneggiando film importanti e non badando troppo ai genere: svaria senza problemi dal wuxiapian (Duel to the Death di Ching Siu-tung) alla commedia (Twinkle Twinkle Little Star), firmando uno dei mélo fantastici più belli del cinema di Hong Kong: Dream Lovers di Tony Au. Finché ne ha la possibilità, arrotonda lo stipendio facendo la comparsa in numerose pellicole prodotte dallo studio per cui lavora. Debutta come regista nel 1985 con Crazy Seventeen, una commedia rivolta soprattutto ai giovani che incassa discretamente. Dopo un altro film dietro la macchina da presa, A Tale from the East, Wong capisce però che la sua vera vocazione è la produzione.
A partire dal 1990, anno in cui è produttore (esecutivo) di ben tre film (Rebel without a Cause, Widow Warrior e Horror School), comincia sul serio la scalata ai vertici dell'industria cinematografica. Fondamentale l'incontro con due persone che sono sintonizzate sulla medesima lunghezza d'onda, Wong Jing e Andrew Lau, con cui fonda una propria casa di produzione, la B.O.B. & Partners. L'inizio dell'avventura è con il botto, e si chiama Young and Dangerous, ossia la serie più prolifica degli novanta (che comprende episodi ufficiali e spin-off, come Portland Street Blues e City of Desire, focalizzati sui personaggi minori). Manfred Wong, che è autore del soggetto e della sceneggiatura, trae ispirazione dal suo grande amore per i fumetti, adattando per il grande schermo Rascals, un popolare manga di Cow Man e Dicky Yau. Dal prototipo nasce un fenomeno di costume che travolge come un ciclone il mondo del cinema, che si affretta a tributare alla creatura di Andrew Lau e Wong i propri omaggi a suon di imitazioni più o meno riuscite. Il parto dell'opera è stato alquanto travagliato, come ricorda spesso lo stesso Manfred, cui alcuni finanziatori avevano da principio bocciato il progetto per l'assenza sostanziale di star (Ekin Cheng non era ancora considerato affidabile al botteghino) e per la pericolosità insita nell'idea di glamourizzare le triadi. Giunta oggi al settimo episodio (Born to Be King), la serie dei giovani e pericolosi ha risentito di una certa stanchezza creativa, e anche il pubblico si è disaffezionato alle gesta dei cinque anti-eroi urbani. Ma Wong ha saputo rilanciarsi, ancora con la solida regia di Lau a fare da spartiacque, con The Storm Riders, un'altra trasposizione dalla carta alla pellicola (ancora un comic locale di successo, tradotto anche in Italia). Il risultato è un wuxiapian fantasy innovativo per la forma più che per i contenuti (piuttosto tradizionali): fanno sensazione gli effetti speciali digitali, utilizzati per la prima volta in maniera massiccia a Hong Kong, impiegati in senso anti-realistico, per accentuare la potenza delle immagini e non per giustificarne l'incredibilità. Gli interpreti sono praticamente gli stessi di Young and Dangerous, con l'aggiunta - scelta commerciale da non sottovalutare - di Aaron Kwok. Da qui in avanti il binomio Andrew Lau - Manfred Wong (spesso è un lavoro a tre, visto che Wong Jing non esita a inserirsi tra i due appena fiuta l'odore dell'affare) comincia a sfornare prodotti in serie, tutti ricompensati dal pubblico con incassi generosi.
Ma la sensazione è che il giocattolo, ai primi tempi strepitoso (tanto da meritarsi gli spassionati complimenti di registi autorevoli come Ann Hui e di una critica quasi unanime), si sia incantato. A Man Called Hero e The Duel riprongono in maniera sterile gli stessi effetti speciali: ma l'effetto novità è sparito e subentra la noia, visto che le storie non sono particolarmente originali. Meglio allora il ripiego dei due su progetti a prima vista minori, come Best of the Best, action movie divertente con un cast composto interamente da giovani popstar, o come la commedia sentimentale Feel 100% (compresi due seguiti, tutti diretti con mano leggera da Joe Ma), ennesimo fumetto portato al cinema da Wong. Con la crisi economica che ha sconvolto il Sud Est Asiatico, la B.O.B. ha vissuto momenti difficili, ed è riuscita a risollevarsi solo grazie alla joint venture con la Star East Net - una delle cosiddette società dot.com che hanno impedito il tracollo finanziario del cinema di Hong Kong -, interessata a espandere i propri interessi produttivi da internet al cinema. C'è solo da sperare che la sterilità di una globalizzazione che ha convinto molti produttori a investire in progetti appiattiti sulle possibilità di esportazione (in Giappone, in Corea e negli Stati Uniti) non coinvolga Manfred Wong, dalla cui intelligenza e dal cui fiuto ci si aspetta di più della solita riproposizione di clichés e stereotipi in mediocri action hi-tech come For Bad Boys Only di Raymon Yip.