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- Scritto da Paolo Villa
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Benché non abbia mai raggiunto vette di popolarità pari a quelle di colleghi come Chang Cheh e King Hu, cresciuti come lui negli studi della Shaw Brothers, la figura di Li Han-hsiang riveste un ruolo di primo piano all’interno della storia del cinema di Hong Kong. Li divenne popolare con il suo raffinato intreccio di melò e musica, costumi e coreografie, uno stile che ha segnato per sempre un genere cinematografico tanto amato dal pubblico quanto poco percorso da altri registi: lo huangmei diao, basato sulle storie di amori difficili che hanno abitato e tuttora abitano i libretti dell’opera cinese. Noto in patria e all’estero, premiato più volte in festival pan-asiatici, Li è stato un maestro di semplicità e di quell’eleganza basate sulla cura maniacale del dettaglio, naturali e non affettate, che non traspaiono se non a uno sguardo approfondito ed attento; come spesso accade nei casi in cui si incontra un regista che attribuisce un peso fondamentale dell’opera al dettaglio della messa in scena, Li eccelleva nella direzione degli attori, e sotto la sua ala sono cresciute stelle di primissimo piano come Linda Lin Dai, Ivy Ling Po, Hu Chin, Brigitte Lin Ching-hsia e Tony Leung Ka-fai.
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- Scritto da Emanuele Sacchi
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Eternamente nascosto da un paio di occhiali da sole, eternamente in ritardo nella consegna di un film in concorso a un festival, impareggiabile quando si tratta di filmare l'amore, nella maniera più estetizzante, idealizzata e struggente che si possa concepire. Questo è Wong Kar-wai, figlio(l prodigo) del cinema di Hong Kong, ma nato diverso, come un piccolo genio che non riesce a omologarsi alla compagnia dei coetanei della scuola. Se la new wave del cinema di Hong Kong si concentra sulla riscossa dei generi cinematografici, come l'orgoglio wuxia dei primissimi Patrick Tam e Tsui Hark o la heroic bloodshed di Ringo Lam e Kirk Wong e poi di John Woo, Wong Kar-wai (che comincia proprio alla corte di Tam, scrivendo la sceneggiatura per Final Victory del 1987) conosce i generi cari a Hong Kong, ma li reinventa in uno stile contaminato dalla nouvelle vague francese; e infine, in ultima analisi, solo e soltanto wongkarwaiano. Nessun altro potrebbe affrontare dialoghi altrettanto ambiziosi e uscirne credibilmente vincitore, rendendo storie generazionali la quotidianità (così poco quotidiana) delle storie d'amore metropolitane di Chungking Express. O ancora trasportare nel wuxia quei tormenti d'amore che attraversano l'intero corpus dell'autore e che nella sua poetica sembrano precedere, accompagnare e forse seguire (nel 2046?) la storia dell'uomo.
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- Scritto da Emanuele Sacchi
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Parlare in termini di autore quando si parla del cinema di Hong Kong è sempre un azzardo, tanta è la complessa commistione tra esigenze commerciali e sviluppo di un proprio percorso personale per un regista. A maggior ragione lo è per Peter Chan, autentico emblema del “regista di Hong Kong”, tanto nei suoi pregi che nei suoi difetti. Chan Ho-sun, nato a Bangkok e cresciuto tra Hong Kong e Tailandia, ha attraversato tutti i generi possibili adattando la sua poetica di volta in volta, flirtando con le richieste della produzione e cogliendo il business del mercato, ma mantenendo un suo quasi impalpabile segno distintivo. Il segreto di questo sapiente mix è quello di aver mantenuto dei punti fermi nel proprio complesso iter, affidandosi per il primo periodo agli script dell'inseparabile Lee Chi-ngai, ricorrendo quando possibile agli stessi attori – Eric Tsang, Anita Yuen, Leon Lai, Takeshi Kaneshiro i più “fedeli” - e adottando la medesima leggerezza nella trattazione dei generi (commedia, melò, musical, horror, wuxia), rispettoso della forma e del canone ma sempre con la capacità di compiere un passo indietro e ritrovarsi nel proprio terreno ideale. Stile scintillante e accattivante ma sostanza profondamente ancorata nel substrato della gente comune di Hong Kong.
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- Scritto da Matteo Di Giulio
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Ronald Cheng Chung-kei è nato ad Hong Kong il 9 marzo 1972. Attore comico, figlio di un noto produttore musicale, comincia prima dietro le quinte come compositore, doppiatore e corista (di Alan Tam e Priscilla Chan). Un tour taiwanese come rockstar ne decreta la prima notorietà, quindi passa - forse costretto da una serie di sfortunati eventi - alla recitazione, prima in televisione e subito dopo con ruoli minori in produzioni cinematografiche medio-basse.
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- Scritto da Matteo Di Giulio
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Hai Chung Man asce a Hong Kong nel 1951, si laurea al Politecnico di Hong Kong e perfeziona gli studi alla School of Design di New York. Ritornato in patria, lavora come designer per un'agenzia di pubblicità. Nel 1982 il suo grande amico Teddy Robin lo convince ad abbandonare il lavoro precedente e a tentare la carta del cinema. Si lega subito alla Cinema City, per cui si occupa della direzione artistica, anche se per il debutto Once Upon a Rainbow firma (in collaborazione), per la prima e unica volta, anche la sceneggiatura. Meticoloso, attento ai particolari, Hai lascia il segno sin dall'inizio, creando atmosfere particolari (la commedia futuristica The Strange Bedfellow, l'avventuroso The Legend of Wisely) e disegnando dettagli ad hoc, soprattutto in ambito storico-fantastico: per A Chinese Ghost Story porta a casa il primo Hong Kong Film Award e ripete l'ottimo lavoro, anche se senza riconoscimenti, con il simile Golden Swallow.
Per tutta la prima fase della sua carriera si specializza in film in costume: per Saviour of the Soul vince un altro Hong Kong Film Award. Tra i suoi sforzi di maggior pregio il grande lavoro di ricostruzione per Once Upon a Time in China, Peace Hotel e A Terra-Cotta Warrior. Ma anche in ambito moderno Hai riesce a imprimere il suo marchio, firmando con la stessa cura lavori importanti (He's a Woman, She's a Man, C'est la vie mon cheri, Zodiac Killers) e prodotti di minori ambizioni (Pantyhose Hero, Full Throttle, Merry-Go-Round). Successivamente si lega a filo doppio alla U.F.O., cui concede la pressoché totale esclusiva dei suoi servizi: con il recente declino della casa di produzione diventa free lance e conferma la sua ottima vena in prodotti d'alto livello come Just One Look e la coproduzione panasiatica Three.
Con Comrades, Almost a Love Story, ovviamente premiato, porta la sua arte vicino alla perfezione assoluta. Con il suo stile riesce spesso a rubare il mestiere del regista, personalizzando con i suoi tratti tipici opere altrui. Parallelamente dimostra grande versatilità occupandosi di costumi, e anche in questo campo ben presto raggiunge ottimi risultati, arrivando a essere premiato per The Twins Effect. Risalta la sua abilità sartoriale anche nel doppio Royal Tramp e in Tempting Heart. Nell'arco di due decadi Hai Chung Man totalizza sedici nomination agli Hong Kong Film Award e quattro riconoscimenti, guadagnandosi un posto tra i migliori specialisti tecnici, al pari degli altrettanto quotati Eddie Ma o William Chang.
A sorpresa Hai tenta anche un'ulteriore carta, improvvisandosi regista con risultati insospettabili. Anna Magdalena e il simile And I Hate You So, entrambi prodotti dalla U.F.O. (ma co-finanziati dalla Giapponese Amuse, cui va a genio la protagonista Kelly Chen) e in sintonia con i canoni estetico-contenutistici della compagnia, rientrano invece, tanto quanto la collaborazione con Riley Yip per Lavender, in un discorso unitario a metà strada tra la leggerezza della commedia e la consapevolezza del melodramma emotivamente impegnato. Veterano fin dagli esordi, Hai Chung Man è una figura di spicco, presenza necessaria per completare e migliorare l'opera di ogni regista, elemento di primaria importanza nel contesto di un'industria che pur lavorando in fretta e senza budget rilevanti riesce sempre a fare bella figura, valorizzando i propri mezzi e nascondendo i difetti.
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- Scritto da Matteo Di Giulio
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Marco Mak è diventato, con il passare degli anni, uno dei principali montatori del cinema di Hong Kong. Dopo la necessaria gavetta, a cavallo tra anni '70 e '80, divisa tra montaggio e aiuto regia, Mak decide di concentrarsi esclusivamente su una carriera da tecnico. Grande professionista, premiato solo due volte con l'Hong Kong Film Award, per Once Upon a Time in China nel 1990 e per The Storm Raiders nel 1998, a fronte di altre sei nomination (A Chinese Ghost Story II, Swordsman 2, Once Upon a Time in China III, Full Alert, Time and Tide, The Legend of Zu).
La carriera professionale di Mak è legata a due nomi, Tsui Hark e Andrew Lau, che lo hanno eletto in periodi differenti a proprio montatore di fiducia. E' responsabile del taglio delle principali opere della Film Workshop, dirette da Tsui o da lui solo prodotte, a partire da A Better Tomorrow III fino al recente Black Mask II. La collaborazione con Lau e la sua BOB & Partners è invece cominciata più tardi, con Mean Street Story, del 1995, per proseguire fino a The Wesley's Mysterious Story. Capace, affidabile, Mak rappresenta uno degli aspetti vitali del cinema per cui lavora nell'ombra, uomo di fatica le cui intuizioni permettono però ai registi di dare senso a evoluzioni e idee, ardite o classiche che siano. Tra i suoi capolavori: riuscire a tenere sotto controllo il vorticoso turbine sentimental-fantastico di Love in the Time of Twilight, dare ritmo con tagli veloci al divertente The Chinese Feast, evitare la noia nel patinato Love Generation Hong Kong, sottolineare il brio di Your Place or Mine!, rendere ancora più frizzante il grottesco Maniacal Night. Anche quando scende di livello e approda a produzioni minori, lo standard qualitativo è altissimo: è il caso di film del calibro di Raped by an Angel 5: The Final Judgement, Fist Power o The Blacksheep Affair, nobilitati dal suo tocco. Non sempre gli riesce il miracolo, ma anche nei peggiori interventi piattezza e grossolanità non trovano posto nel suo vocabolario.
Parallelamente alla carriera da montatore, primo indiscusso amore, Marco Mak riprova, a tanti anni di distanza dalle velleità degli esordi, la strada opposta, dietro la macchina da presa. Il debutto, lo sdolcinato Love Correction, mélo scialbo con Athena Chu e Nick Cheung, non lascia il segno. Dimostrando più che altro l'incapacità di Mak di giostrare gli elementi leggeri della commedia: già il secondo film, The Blood Rules, cancella le cattive impressioni dell'esordio. E' un noir crudo, adrenalinico, con personaggi rozzi ma vitali, recitato degnamente da un cast di secondo piano (capitanato da Michael Wong e Suki Kwan) e girato con furore agonistico. E' proprio la regia propositiva, che inventa inquadrature e situazioni al limite, a colpire lo sguardo con soluzioni moderne, ritmo e tensione.
Accumulando esperienza, Mak, che cura ovviamente il montaggio di tutti i suoi lavori, riesce nel difficile compito di salire ogni volta di un gradino, sempre più in alto: Cop on a Mission è un torbido hardboiled su un undercover diviso tra carriera e corruzione; The Replacement Suspect, remake di Albino Alligator di Kevin Spacey, un riuscito esercizio di affidabilità; l'episodio dell'horror tripartito Haunted Office un tentativo di sporcare ulteriormente il proprio stile con fantasmi e brividi; il nostalgico The Wall, seppure datato, una riproposizione compiaciuta e piacevole di stereotipi classici del cinema d'azione cantonese degli anni '80. Se non è tutto oro quello che luccica, come dimostra l'orribile incidente di percorso a nome The Peeping, torbido thriller erotico patinato e prevedibile, c'è anche in faretra materiale sufficiente per un capolavoro, ancora oggi assolutamente e ingiustamente sottovalutato, A Gambler's Story. Black comedy, dramma umano, bildungsroman sui generis, è un trattato di bassa popolarità a lungo mascherato da gambler movie senza pretese. Dai tempi del più ambizioso Too Many Ways to Be No. 1 un prodotto non riusciva a colpire, sfruttando recitazione di altissimo livello (ancora Suki Kwan, spesso usata da Mak come musa, e un indimenticabile Francis Ng, perdente e sfortunato) e senso del grottesco, le corde profonde di sentimento e coinvolgimento totale. Prima dell'atteso XanDa, epica dissertazione marziale prodotta dal mentore Tsui Hark bisogna anche tenere conto di una regia in condivisione con Wong Jing, Colour of the Truth, spin-off improprio di Infernal Affairs che al film di Lau ruba uno dei protagonisti, Anthony Wong, e ne mantiene alta la dignità di poliziotto in missione, tra dialoghi calzanti e scene action di ottima fattura.