Come è iniziata la tua carriera?
Quando avevo diciassette anni, un giono il mio miglior amico venne da me e mi disse che aveva intenzione di inviare una lettera alla compagnia Cheung’s Film, appena fondata dal regista Chang Cheh, per partecipare a un bando ed essere messo sotto contratto. Mi ha chiesto se volessi provarci insieme a lui e io gli ho detto di sì. Tutto quello che ho dovuto fare è stato consegnare al mio amico due mie foto e lui ha fatto tutto il resto in vece mia. Due settimane più tardi ho ricevuto una lettera in cui mi si chiedeva di presentarmi per un provino; il mio amico ricevette la stessa lettera. Erano state inviate circa duemila lettera per pochi posti disponibili: solo trecento giovani ragazzi avrebbero potuto farcela. Durante il colloquio ho incontrato il regista Chang Cheh, che mi rivolse un’unica battuta: «Sei molto alto per avere appena diciassette anni…».
Dopo due settimane, un uomo venne a trovarmi a casa mia e mi annunciò che dovevo presentarmi per un provino filmato. Ho firmato la lettera per l'accettazione prima di correre a scuola. Il test aveva luogo in un vecchio studio cinematografico, il famoso Wah Tak Studio. C’erano solo dieci aspiranti attori quel giorno. Ho fatto alcuni esercizi di combattimento con diversi cascatori e più di un provino in cui recitavo da solo. Sono passate altre due settimane, quindi lo stesso uomo è venuto a trovarmi di nuovo e mi ha consegnato una cartolina per incontrare il regista, Chang Cheh, il quale voleva vedermi per propormi di firmare un contratto in veste d’attore per la Cheung’s Film Company.
A firmare il contratto eravamo solo in sei. Dopo averne discusso con i miei genitori, ho deciso di accettare il lavoro e così è cominciata la mia vita nel mondo del cinema. Anche se a raccontarla oggi sembra che sia stata una passeggiata, in realtà è stato difficile farcela… ne hanno presi solo sei su duemila! Ho lavorato sotto contratto per la Cheung’s Film Company per tre anni, comparendo come comparsa o caratterista solo in film diretti da Chang Cheh. Erano tutti film di kung fu e arti marziali. Dopo due anni in cui la compagnia si era trasferita a Taiwan, Cheh decise di tornare in seno agli Shaw Bros Studios, e io l’ho seguito, firmando un nuovo contratto direttamente con loro.
Hai lavorato per molti anni come caratterista nei film di arti marziali prodotti dagli Shaw Brothers. Cosa ricordi di quel periodo?
Lavorando per la Cheung’s Film e per gli Shaw Bros partecipavo quasi solo a film di arti marziali. Di questi pochi non erano in costume, ma comunque erano ricchi di scene d’azione. Quei giorni erano felici e piacevoli, ho imparato molto riguardo la lavorazione cinematografica sotto gli Shaw perché all’interno dei loro studi c’erano tutti i tipi di reparti dedicati alla produzione dei film. Dato che vivevo nel dormitorio degli Shaw finivo per avere accesso a tutte le aree degli studi ed ero libero di curiosare in sala montaggio, in sala doppiaggio, dove si sviluppavano i negativi, e così via. Guardavo e cercavo di imparare il più possibile, a quei tempi ero solito ripetermi: «Finalmente posso dire di sapere cosa voglia dire girare un film». Diversi altri giovani che come me risiedevano all’interno dei quartieri Shaw erano sempre interessati a parlare di produzione, di sceneggiature, di regia. Così è nato il nostro interesse a lavorare dietro le quinte, dietro la macchina da presa.
C’è un regista che ha influenzato il tuo lavoro? Un «maestro» che ti ha aiutato a indirizzare la tua carriera sia come attore che come regista?
L’unico regista che posso dire abbia influenzato il mio modo di recitare è stato Chang Cheh. Questo è sicuramente dovuto al fatto che lui è la persona che mi ha introdotto all’interno dell’industria cinematografica. Prima di entrare a far parte del mondo del cinema guardavo molti film, e anche dopo non ho mai smesso. Ogni regista ha il suo stile e anch’io, così facendo, ho pian piano sviluppato il mio personale modo di girare.
Hai lavorato con Chang Cheh e Chor Yuen, due nomi illustri del genere wuxiapian. Che ricordo hai di loro?
Come ti ho detto, Chang Cheh è stato il mio insegnante, colui che mi ha spinto a lavorare nel cinema. Chor Yuen mi ha invece insegnato i rudimenti del linguaggio cinematografico, le basi del mio futuro mestiere di regista. Entrambi avevano le loro opinioni in merito ai film d’azione, molto diverse direi, e tutti e due avevano un modo unico, molto particolare, di illustrare una forte vena romantica nei loro film cappa e spada.
Nei primi anni ottanta hai scelto di variare e di provare nuove strade e nuovi ruoli, lavorando non più solo come attore ma anche come organizzatore, come direttore di produzione, come sceneggiatore e aiuto regista. Mi spieghi come sei giunto a questa decisione? Di tutti i ruoli che hai ricoperto quale pensi ti si addica di più?
Dopo aver maturato una certa conoscenza dei processi produttivi che stanno dietro alla creazione di un film, ho cominciato a dedicarmi anche alla sceneggiatura, a quattro mani con Derek Yee. Il nostro primo progetto fu The Legend of the Owl, un film che è stato prodotto a Taiwan nel 1980. Ne ho approfittato anche per lavorare come aiuto regista della pellicola, visto che conoscevo bene lo script e che avevo imparato a padroneggiare a sufficienza i diversi aspetti di come si gira un film.
Dopo il buon risultato ottenuto con The Legend of the Owl ero soddisfatto del mio operato, per cui mi sono sentito pronto a intraprendere una strada tutta mia. Ho preso parte ad una giovane compagnia di produzione indipendente e ho deciso di impegnarmi come direttore di produzione e ancora come assistente alla regia per la maggior parte dei film che loro hanno finanziato. Con le mie idee aiutavo a concepire e a rifinire le sceneggiatura; in più dato che avevo una lunga esperienza di scene d’azione come attore, per diverse opere prodotte da questa compagnia ho ricoperto anche il ruolo di coordinatore degli stunts e delle arti marziali.
Dopo aver maturato per tre anni esperienza con loro, mi sono detto che ero pronto a debuttare come regista, che ero preparato per mettermi alla prova, e così ho iniziato a lavorare sullo script che avrebbe portato al mio primo film. La carriera di regista è quella che mi ha sempre affascinato e stimolato di più, il ruolo che sin dall’inizio avrei voluto ricoprire.
Il tuo debutto registico, Love with the Perfect Stranger, ha riscosso grandi consensi sia presso il grande pubblico che da parte della critica, tanto da guadagnarsi due premi importanti alla cerimonia di consegna degli Hong Kong Film Award di quell’anno. Sei soddisfatto del film? Puoi raccontarmi nel dettaglio come è nato e come si è sviluppato il progetto?
Nel momento in cui ho avuto sufficiente fiducia nei miei mezzi da decidermi a tentare la strada come regista, ho speso un anno intero a occuparmi della sceneggiatura di Love with the Perfect Stranger. Trattandosi del mio primo film da regista ho chiesto a Derek Yee di aiutarmi nel doppio ruolo di interprete principale e di produttore esecutivo. Gli Shaw Bros mi hanno concesso l’opportunità di far partire il progetto e di avverare le mie velleità di regista. Abbiamo scelto Pauline Wong come protagonista feminile; anche lei come me era al debutto.
Siamo stati costretti a lavorare con un budget ridotto perché eravamo quasi degli esordienti: un team di produzione giovane, un regista debuttante, Derek alla prima esperienza come produttore esecutivo e anche l’attrice principale era al suo primo ruolo in assoluto. Proprio ciò ci ha spronati a metterci il massimo impegno, a spendere tutto il nostro entusiasmo e a sforzarci duramente perché credevamo nella nostra idea di partenza. Fortunatamente, quando è uscito, il film ha sorpreso positivamente molti, diverse persone non si capacitavano di come Jamie Luk, un attore abituato ad avere a che fare solo con le arti marziali, potesse aver scritto e diretto una commedia romantica di quel tipo. Nessuno di loro se lo sarebbe mai aspettato.
Love with the Perfect Stranger ha vinto due premi alla quinta edizione degli Hong Kong Film Academy Awards, per la miglior sceneggiatura e per la miglior interpretazione femminile. Abbiamo raccolto tre premi in totale quell’anno; la pellicola è stata anche nominata tra i 10 migliori film della stagione, ed è piacuto tanto da essere incluso tra i film rappresentativi del panorama cinematografico locale all’Hong Kong International Film Festival di quell’anno.
Come ti sei trovato con i due protagonisti (Derek Yee a Pauline Wong) di Love with the Perfect Stranger? Più in generale, come collabori con i tuoi attori? Come li scegli?
Quando Love with the Perfect Stranger era in fase di produzione, Derek Yee era già una star di successo, con un nome di richiamo; al contrario Pauline Wong non era niente di più di un volto nuovo per l’audience che bazzicava allora i cinema. Derek si è sempre comportato in maniera estremamente professionale, mentre Pauline era dotata di un'incredibile purezza e di un proprio modo di fare che ne metteva in risalto il grande talento: lei ha sempre seguito alla lettera tutte le direttive che le davo per indirizzarla alla recitazione che volevo. In questo modo è riuscita a donare al film un aspetto fresco e originale, che ha colpito chiunque andasse a vedere la pellicola quando il film è uscito al cinema.
In generale scelgo gli attori sulla base dei personaggi che ho scritto, che fanno parte delle mie sceneggiature. Ho sempre bisogno di essere in costante contatto con loro, di discutere e di comunicare molto, sia prima che durante la lavorazione. Di regola bastava comunque che si attenessero alla sceneggiatura, in cui preferisco scrivere dettagliamente tutte le istruzioni così da rendere agli artisti la vita molto semplice, senza sorprese.
Il tuo legame con Derek Yee è molto forte; avete lavorato insieme diverse volte e da quanto mi hai detto finora è facile suppore che siate buoni amici. Come vi siete conosciuti? Ora che lui è tornato a dirigere film di successo e che è di nuovo un nome di punta dello star system, cosa ne pensi dei suoi film, sia di quelli recenti che di quelli precedenti?
Io e Derek ci siamo conosciuti quando, davvero molto giovani, negli studi degli Shaw Bros abbiamo cominciato a lavorare insieme. Entrambi dormivano presso i cameroni comuni per cui abbiamo avuto molto tempo per stare insieme, per parlare dei reciproci interessi e per scoprire gradualmente la nostra uguale passione per il cinema. Abbiamo scritto la nostra prima sceneggiatura insieme, e dopo quell’esperienza siamo riusciti ad accapparrarci insieme un premio per il miglior trattamento.
Il suo stile e il suo modo di dirigere è molto differente dal mio, è molto più pesante, si vede molto di più. Mi piacciono i suoi film e in più di un’occasione lui ha chiesto il mio aiuto, coinvolgendomi nelle sue produzioni sotto diversi ruoli.
Nella tua carriera di filmaker hai deciso di dirigere pellicole di diverso genere, senza mai focalizzarti su un unico tipo di film. C’è un’opera che preferisci o che ricordi con maggior piacere? C’è un particolare tipo di film che preferisci dirigere?
Mi piacciono le atmosfere allegre, mi diverte vedere la gente che ride, ragione per cui ho privilegiato nella mia carriera pellicole con una sfondo di gioia, di felicità. Ho una certa predilezione per le commedie, in special modo per quelle romantiche. Ma contemporaneamente non disdegno neanche le pellicole d’azione, in cui posso mettere a disposizione il mio passato di attore marziale. Inoltre sin dagli esordi ho imparato come produrre film action, per cui dirigendoli mi trovo spesso a mio completo agio.
Se escludiamo Love with the Perfect Stranger, sono film come Guests in the House , King of the Stanley Market e The Case of the Cold Fish che potrei scegliere come le mie produzioni preferite. Mi farebbe piacere che la gente cogliesse la possibilità di riguardarli, ancora oggi, così potrebbero avere un’idea precisa dei miei gusti cinematografici e di quello che cerco di creare quando mi trovo dietro la macchina da presa.
The Case of the Cold Fish è uno dei tuoi film che più mi hanno colpito: è ironico, interessante, una vera «boccata d’aria fresca» nel panorama un po’ asfittico del noir d’azione di metà anni novanta. Puoi parlarmi di questo film, di come è nato e di come si è svolta la sua lavorazione?
The Case of the Cold Fish è stato riconosciuto come uno dei migliori otto film dell’anno da parte dell’associazione dei critici di Hong Kong nel 1993. E’ stato anche prescelto nel cartellone dell’Hong Kong International Film Festival e, successivamente, è stato selezionato da diversi festival stranieri, come l’Hawaii Film Festival, l’Helsinki Film Festival e due altre manifestazioni statunitensi di quell’anno.
The Case of the Cold Fish è stato girato in un piccolo villaggio di pescatori che si chiamava Tai O e che si trovava nelle isole Lantau, prima che fosse costruito il nuovo aereoporto. L’intero film è stato girato lì nell’arco temporale di poco più di un mese; io e la troupe ci siamo trasferiti a vivere lì durante il periodo delle riprese. E’ stata un’esperienza memorabile,estremamente piacevole.
Anche se la sceneggiatura completa è stata ultimata prima che iniziassimo a girare, io e Danny Lee, produttore del film, insieme allo sceneggiatore, abbiamo continuamente rimaneggiato il trattamento, ogni giorno tra una ripresa e l’altra, a Tai O. Tutti gli attori coinvolti hanno svolto in maniera eccellente il proprio lavoro: Michael Wong e Michael Chow erano appena rientrati a Hong Kong dagli Stati Uniti e dall’Australia, dove risiedevano, e hanno potuto mettere in mostra il loro inglese e il loro humour influenzato dallo spirito dei paesi in cui hanno vissuto. Questo fattore ha contribuito a rendere originale e a elevare il film sopra la media. Anche il doppiaggio con la voce over aggiunta in seguito è stato un’ottima idea, ha concorso in maniera fondamentale, incrementando il grande successo del film.
My Will, I Will ha goduto di una cast eccellente, con Chow Yun Fat and Carol Cheng a dividere le scene. Trovo che sia una commedia romantica molto intrigante. Tu cosa pensi del film?
My Will I Will mi è sempre piaciuto moltissimo. Anche lui va annoverato tra le mie regie che ricordo con maggior piacere. Le due big star sono state ingaggiate subito dopo che avevo ultimato lo script. Entrambi hanno accettato di buon grado di prendere parte al progetto dopo aver letto il copione, e devo ammettere che sono stati tutti e due bravissimi, hanno fatto un lavoro eccellente e si sono impegnati a fondo. Vederli recitare è sempre stata una grande soddisfazione, una sorpresa continua, Chow e Carol formano una coppia perfetta per una love story. E’ stata un’esperienza meravigliosa avere a che fare con entrambi, sia dal punto di vista professionale che da quello umano. Ambedue avevano sempre colto l’occasione per suggerire valide idee nuove per rendere le scene ancora migliori di quanto lo fossero in origine, su carta, di come le avessi immaginate io mentre le scrivevo. Mi hanno aiutato molto.
Com’è andata con Amy Yip in Robotrix? Ai tempi era la regina del gossip, sempre sulle prime pagine dei giornali scandalistici…
Amy è una persona fantastica, una donna stupenda. Alla gente è sempre piaciuto chiacchierare a sproposito e inventare pettegolezzi sul suo corpo, ma lei non ci ha mai fatto grande caso ed ogni volta era pronta sul set con il sorriso sulle labbra. Abbiamo lavorato in grande sintonia per Robotrix, perché lei si è sempre comportata da grande professionista, rischiando in prima persona grande parte delle scene pericolose. In quel film Amy ha girato senza controfigura quasi tutte le sequenze d’azione e di combattimento, non c’è mai stato il minimo motivo di disaccordo tra di noi, né tra lei e le altre due sexy protagoniste, con cui ha diviso la scena con gran senso del mestiere.
Allargando il discorso, Robotrix è tutt’ora considerato un «cult movie» qui in occidente, da parte dei fans del cinema di Hong Kong. Sei soddisfatto di come è venuto il film? Puoi svelarmi qualche dettaglio relativo alla sua creazione?
Robotrix è stato un nuovo test per me, una prova impegnativa. La compagnia di produzione aveva messo insieme, per l’occasione, tre starlettes sexy provenienti da Hong Kong, da Taiwan e dal Giapponese. In teoria l’idea di base è che questo espediente avrebbe dovuto rendere il film appetibile per tutti e tre i mercati. Bisognava quindi spingere su elementi forti, per conquistare il pubblico di paesi diversi, ed eravamo tutti d’accordo che a dare mordente sarebbero stati il sesso e l’azione, che questo fosse il miglior modo per rendere esportabile la pellicola e garantire un buon incasso interno. Quando il film è uscito sono iniziate a girare un sacco di voci, di pettegolezzi, ma ciò poco importa visto che avevamo ottenuto il nostro scopo: si parlava tanto di Robotrix, indipendentemente dal suo valore artistico e dal fatto che fosse un film bello o brutto, e la gente era incuriosita e lo andava a vedere. Il che si è tradotto in incassi lusinghieri e tanti soldi nella casse della compagnia di produzione. Proprio quello che ci interessava in partenza.
Se guardi indietro e rifletti sulla tua carriera, hai qualche rimpianto o qualche progetto mai completato o rimasto irrealizzato in un cassetto?
Il passato è passato, mai voltarsi indietro, altrimenti ci saranno sempre dei rimpianti che ti lasciano insoddisfatto. Al momento la situazione del cinema di Hong Kong è di generale debolezza, e il volume di film prodotti è molto basso. Anche se ho nel cassetto diverse idee e alcune sceneggiature già pronte che vorrei portare su grande schermo, mi rendo conto che non è il momento adatto per proporle ad un produttore e per rischiare economicamente. Le cose sono difficili, per cui attendo con pazienza la mia prossima occasione di tornare a girare un film tutto mio. Proprio in quest’ultimo periodo passo gran parte del tempo lavorando in Cina, dove ci sono diverse chance per un regista della mia esperienza. Ciò nonostante Hong Kong rimane la mia base operativa, e detto in tutta sincerità non smetto mai di guardare ai mercati europei e americani, riuscire a sfondare lì oggi come oggi sarebbe un gran colpo, equivarrebbe a colpire il bersaglio più ambìto.
Visto che me ne hai appena accennato, cosa ne pensi della situazione attuale del cinema di Hong Kong e della crisi che sta attraversando?
Come ti dicevo la situazione non è rosea, Hong Kong produce troppo poco ogni anno. Nel 2005, per esempio, hanno visto la luce solo una cinquantina di film, una miseria rispetto al passato. Credo che l’anno prossimo potrebbe anche andare peggio e il numero di pellicole destinate al grande schermo diminuire drasticamente. In queste condizioni i film a basso budget non hanno la minima speranza di sopravvivere, perché non hanno la benché minima possibilità di godere di una distribuzione decente. Tutte le case di distribuzione concentrano i propri sforzi e i propri capitali per progetti costosi, importanti, e neanche così hanno la garanzia di un ritorno al box office che li ripaghi di quanto hanno sborsato. Se continua così ho paura che l’industria cinematografica di Hong Kong si troverà presto con le spalle al muro, in un vicolo cieco senza via d’uscita.
Puoi anticiparmi a quali progetti stai lavorando ora e quali sono i tuoi impegni per il futuro prossimo?
Ora sto lavorando ad alcuni progetti televisivi girati direttamente in digitale ad alta definizione. Faccio la spola tra Shanghai e Hong Kong. Si tratta di produzioni locali, interamente cinesi, finanziate da compagnie mainlander. E’ un nuovo modo di affrontare il mercato e di girare film. Secondo me questo sarà presto l’unico modo possibile per continuare a produrre pellicole, e infatti non a caso gran parte dei registi e delle compagnie hongkonghesi si stanno rivolgendo alla Cina. Potete vedere come anche personaggi importanti come Jackie Chan, Stanley Tong, Tsui Hark o Wong Kar-wai si stiano dirigendo sempre di più verso la Cina, per ridurre i costi e aprirsi ad un mercato enorme in espansione. Praticamente tutti i registi di rilievo di Hong Kong occhieggiano alle strategie produttive locali e spostano i loro set qui, a Shanghai, a Pechino… Se pensi che addirittura alcune grande major hollywoodiane ed europee hanno cominciato a fare sopralluoghi in territorio cinese per tagliare le spese e ottenere lo stesso ottimi risultati grazie alle troupe locali, allora non resta che immaginare che sia proprio la Cina l’ultima possibile scappatoia per l’industria hongkonghese, e che oggi sia l’unica soluzione possibile per restare in piedi.
Memorie di un veterano: Jamie Luk
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- Scritto da Matteo Di Giulio
- Categoria: INTERVISTE