The Midnight After

Diciassette passeggeri si trovano, per le coincidenze più strane, sullo stesso mini-bus, che, dopo aver attraversato il tunnel che porta ai Nuovi Territori a nord di Hong Kong, resta improvvisamente l'unico veicolo in circolazione. La città è misteriosamente deserta, come se un contagio o una maledizione avessero debellato l'umanità.

Sviscerata, ribaltata e svuotata da tonnellate di pellicola spese per interrogarsi sulla sua peculiare identità, Hong Kong vive (sempre) più al cinema che in una realtà in cui rischia di smarrirsi, di confondersi nell'incertezza. Che cos'è oggi Hong Kong? Cina? Un'ex-colonia? Ambedue e allo stesso tempo nessuna delle due? Non poteva essere che il più nostalgico tra i registi del porto profumato a tornare su questi temi, a riflettere sul presente e sul futuro di una città-stato che si dibatte impazzita senza una direzione precisa, come una gallina decapitata nel mezzo di una caotica stia.

Fruit Chan, il cantore dell'handover e del traumatico passaggio di consegne dalla Gran Bretagna alla Cina - esorcizzato in una trilogia che ha segnato un'epoca (Made in Hong Kong, The Longest Summer, Little Cheung) - guarda avanti (un futuro nebuloso) e insieme alle proprie spalle (un passato glorioso, anche nelle sue miserie) come un Giano Bifronte. Per interrompere il suo esilio volontario – negli ultimi dodici anni Chan ha girato solo cortometraggi o film su commissione – sceglie la trasposizione di un romanzo pubblicato a puntate sul web, Lost on a Minibus from Mongkok to Taipo, di Pizza. Il surrealismo scatologico di Public Toilet trova così un suo contraltare in un'allegoria apocalittica e insieme farsesca, un episodio di Ai confini della realtà ambientato in una Hong Kong deserta – paradosso e magia del cinema insieme, per un luogo che non dorme mai – in cui riunire paure e fobie di un'umanità smarrita. In cui interrogarsi sulla fine e su un possibile, ma non certo, nuovo inizio.

Fukushima, le illusioni politiche, ma soprattutto il fallimento di più generazioni incarnate in un manipolo di sopravvissuti di un mini-bus: improbabili come eroi, assai più credibili come uomini pieni di debolezze e tendenti all'immoralità. Quasi delle cavie di un esperimento alla Lost (osservate da misteriosi uomini mascherati, forse protettivi o forse diabolici) più che l'equipaggio di una nuova Arca di Noè. Chan comunque non cede alle facili spiegazioni o a spettacolari deus ex machina, cari al gusto hollywoodiano, e preferisce procedere per accumulo di simboli e immagini suggestive, flirtando con la magia e la superstizione (come nell'episodio di Tales from the Dark che ha preceduto The Midnight After), quasi aggrappandosi a quei retaggi come all'unico brandello di identità di un popolo espropriato di una patria che non ha mai avuto (ma che ha comunque sentito come sua). E l'ultima sequenza, un magistrale carrello all'indietro sui sopravvissuti, seguito da una panoramica sulla metropoli, sintetizza in pochi essenziali frame l'amarezza di una riflessione, il cui profondo pessimismo è solo in parte mitigato dal farsesco involucro.

Hong Kong, 2014
Regia: Fruit Chan.
Soggetto/Sceneggiatura: Chan Fai-hung, Kong Ho-yan, Fruit Chan, dalla web novel "Lost on a Minibus From Mongkok to Taipo" di Pizza.
Action director: Jack Wong.
Cast: Simon Yam, Lam Suet, Kara Hui, Chui Tien-you, Sam Lee, Janice Man.


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