Come la località scozzese, Aberdeen è anche il nome di un porto, il primo punto di approdo dei coloni britannici nella zona che sarebbe divenuta Hong Kong nel lontano XIX secolo. Da Aberdeen e dai suoi pescatori discende la famiglia Cheng e le colpe dei padri gravano come un fardello insostenibile sulle generazioni successive.
Le storie parallele dei diversi rami della famiglia Cheng si scompongono e ricompongono nell'affresco corale di Pang Ho-cheung, che - dopo essersi cimentato nel suo (particolarissimo) 8½ con Vulgaria - sembra affrontare ora il suo personale America Oggi. Divertendosi a divertere, a spiazzare e sovvertire le attese.
Chiunque si aspetti una riflessione post-handover, suggerita dal titolo che allude all'epoca coloniale, rimarrà deluso: il fil rouge che unisce i diversi personaggi non ha nulla di politico e ha tutto di esistenziale. Una riflessione sull'effimero e sul sostanziale, sul rimosso del passato e sull'incertezza del futuro, sulla tendenza, quasi la spinta, di una società che corre nella direzione sbagliata a privilegiare gli aspetti più superficiali e calpestare anche i più ovvi tra i legami affettivi.
Personaggi come l'ecografista di Eric Tsang e il performance trainer di Louis Koo diventano in qualche modo redimibili solo nel particolare universo di Pang Ho-cheung, spregiudicato sul piano etico e pruriginoso sul piano sessuale. Le sue tipiche incursioni nello scurrile, quasi una cifra stilistica, caratterizzano anche la sua opera forse più ambiziosa, con la fellatio ancora una volta ossessione ricorrente per definire gli equilibri dell'eterna guerra dei sessi. Quella che vede perdente la modella-attrice vicina alla quarantina interpretata da Gigi Leung (tale anche nella vita), da un lato esaltata nella sua smagliante forma fisica dalla macchina da presa - che cerca il medesimo effetto di v(oy)e(u)rismo di Altman con Julianne Moore - dall'altro crocifissa dallo script, che insiste sadicamente sull'inevitabile decadenza delle grazie femminili. Spietate leggi della natura acquisite e non discusse, come la relazione adulterina di Tsang con l'avvenente e giovane infermiera, o come l'incomprensibile (per il padre) aspetto della piccola Chloe, che il genitore, profeta del successo, non riesce ad accettare. Una costruzione complessa, che si serve di suggestive sequenze oniriche vicine a Gondry per estetica e amore per il surreale, e in cui si sente forse troppo la mano del demiurgo, che convince e avvince fino al momento di tirare le somme.
Pang sceglie infatti di affidarsi al simbolismo di un ordigno inesploso della seconda guerra mondiale e di una balena spiaggiata e morente, in un binomio che in qualche modo esemplifica vizi e virtù del suo cinema: tanto è inattesa e geniale la prima intuizione, quanto ovvia e banalizzante la seconda. Ma Pang Ho-cheung è tutto questo, il giullare di Trivial Matters e l'autore del piano sequenza di Exodus, il raffinato autore di romcom (Love in a Puff) e il nerd mai cresciuto (AV). Aberdeen è il suo passo più ambizioso, che non cancella le impronte più marcate della sua poetica, ma ribadisce una volta di più il suo enorme potenziale, destinato a brillare come l'ordigno ritrovato una volta che Pang per primo avrà accettato l'onere della crescita e della maturazione. E il fatto che il cinema, come la vita, è una questione di prendere fiato, trattenere il respiro e infine espirare.
Hong Kong, 2014
Regia: Pang Ho-cheung.
Soggetto/Sceneggiatura: Pang Ho-cheung.
Cast: Miriam Yeung, Louis Koo, Gigi Leung, Eric Tsang, Ng Man-tat.