Prendete gli Spinal Tap e fateli diventare i Take That, poi convertiteli al cantopop: avrete qualcosa che somiglia da lontano agli Alive, la boy band senza arte né parte al centro del mockumentary che segna l’esordio dietro la macchina da presa dell’attore Daniel Wu (Born Wild di Patrick Leung, One Nite in Mongkok di Derek Yee, più lo scheletro nell’armadio della versione hongkonghese di Jackass).
La definizione mockumentary, in realtà, è nel caso specifico parzialmente impropria, dal momento che gli Alive sono esistiti realmente, sebbene abbiano ballato per una sola stagione e non abbiano mai realizzato un album: Wu racconta, di fatto, la propria esperienza con la band, integrandola con scene drammaturgicamente forti e palesemente ricostruite – si intuisce abbastanza chiaramente quando gli attori «recitano» se stessi – e speziandola addirittura con alcune sequenze animate.
L’idea di mettere insieme una boy band di attori, promossa in prima istanza dallo stesso Wu, si scontra con una solenne indifferenza mediatica, complice lo scarso appeal dei suoi compagni d’avventura: degli Alive, infatti, il solo Wu ha un curriculum d’attore di primo piano, mentre gli altri – Conroy Chan, Andrew Lin e Terence Yin – si barcamenano fra produzioni di serie Z e ruoli di contorno. Inoltre, l’inesperienza dei quattro circa le regole non scritte dello showbiz li induce ad affidare le sorti della loro carriera in pectore a un pittoresco plotone di imbonitori, venditori di fumo e improbabili consiglieri (la sequenza con i quattro alle prese con lo stilista deputato a trovare il look giusto per loro e finisce sempre per agghindarli in improbabili mise, è tra le più divertenti del film), i quali contribuiscono in maniera determinante ad affossare il progetto sul nascere. Ulteriore dettaglio, affatto secondario: i quattro non sono – eufemisticamente parlando – granché portati per il canto.
Eppure, nel loro viaggiare costantemente sottotraccia, nella loro mai rinnegata attitudine downbeat, costretti come sono stati a misurare l’immensamente grande delle loro ambizioni con l’immensamente piccolo delle loro possibilità di successo, gli Alive un piccolo segno del loro passaggio l’hanno lasciato, al di là della relativa persistenza nella memoria collettiva del loro «storico» primo singolo Adam’s Choice. La rincorsa al successo di questi quattro uomini senza qualità è infatti, ben oltre le discutibili qualità del film di Wu, lo specchio per nulla deformante del vuoto di idee che si cela dietro l’industria dello spettacolo honkonghese, che qui ovviamente può fungere da efficace sineddoche per un analogo discorso su scala planetaria: parcellizzata essenzialmente in musica e cinema ma soggetta a frequenti e non sempre giustificate tracimazioni dall’uno all’altro medium, reiterativa fino allo sfinimento, perlopiù derivata da pratiche di provenienza occidentale (spesso le più deteriori), zona franca soprattutto per i mediocri e i privi di talento. Il ritratto che emerge da The Heavenly Kings è spietato e senza appello, ma quello di Daniel Wu rimane soprattutto un onesto e tutto sommato innocuo divertissement sospeso fra rievocazione nostalgica e satira, ma senza reale mordente.
Hong Kong, 2006
Regia: Daniel Wu
Soggetto / Sceneggiatura: Daniel Wu
Cast: Daniel Wu, Andrew Lin, Terence Yin, Convoy Chan, Jo Kuk