Il contesto è quello della (o meglio, vagamente ispirato alla) Cina della dinastia dei Song Settentrionali, e la storia trae spunto dagli attriti di due distinti dipartimenti di polizia imperiale: uno ufficiale, che lavora alla luce del giorno, e l’altro invece - la “Divine Constabulary”, nella versione internazionale del film - che si muove in segreto e nel sottosuolo.
Il "la" alla narrazione è dato dalla misteriosa scomparsa di un conio dalla zecca imperiale, caso che si complica in seguito a una serie di omicidi di personalità di spicco, facenti parte del sottobosco legato alla vita di corte e ai suoi affari. Nel mezzo di un tale ribollire di trame e sottotrame, Mastro Zhughe (un saggio e barbuto Anthony Wong), riflessivo e forte dell’umile calma che lo distingue dai funzionari del dipartimento investigativo ufficiale, è la mente della Divine Constabulary.
Accanto a lui, i quattro agenti del titolo, un poco irrequieti ma dotati di poteri oltre l’ordinario: la chiaroveggente, l’uomo dalle braccia d’acciaio, lo scaltro assassino e il feroce mezzo-licantropo. Parimenti oltre l’ordinario è l’oggetto della loro detection, la minaccia da combattere per riportare l’ordine nella corte e nella capitale, che finisce per metterli a confronto con morti viventi, magia arcana, trappole e trasformazioni.
Attraverso scene d’azione degne di nota (anche se girate con un dinamismo forse figlio di un virtuosismo formale che perde di efficacia nella resa schermica), principi e imperatori, funzionari corrotti, badge imperiali, potenti incantatori, intrighi di palazzo, intrecci di romanticismo e tradimento, Gordon Chan e Janet Chun - coppia inedita ma a giudicare dal risultato non azzardata - architettano un interessante revival del genere fantastico cinese. Come già aveva fatto Gordon Chan nel suo precedente Mural o con il più riuscito remake di Painted Skin del 2008, i due registi riprendono un filone cinematografico in parte interrotto dagli anni Novanta, gonfiandolo di effetti speciali in computer grafica (che stuzzicano la fantasia, nel loro essere poco accomodanti come finitura estetica) e confezionandolo secondo i canoni narrativi e ritmici del blockbuster di marca hollywoodiana. Certo, il wuxia venato di fantasy dei tempi che furono sembra lontano e non poco, sia dal punto di vista dell’impatto emotivo che del livello di immaginazione stimolata, oltre che nel suo mix calibrato di momenti alti e bassi; tuttavia The Four si innalza comunque al di sopra di quanto siamo stati abituati a vedere (o meglio, a non vedere) uscire al cinema in Cina e a Hong Kong negli ultimi lustri. Anche nelle sue scelte più canoniche e meno rischiose, la pellicola arriva a mettere in scena alcune interessanti idee visive e tematiche, oltre a un riuscito amalgama di personaggi (tra i quali meritano una menzione i due villain principali, interpretati da Jiang Yiyan e Wu Xiubo), che si vorrebbero conoscere più in profondità. E l’occasione dovrebbe arrivare presto: The Four è infatti solo il primo capitolo di una futura trilogia.
Hong Kong/Cina, 2012
Regia: Gordon Chan, Janet Chun.
Soggetto/Sceneggiatura: Gordon Chan, Maria Wong, Frankie Tam, Wen Ruian (romanzi originari).
Action Director: Ku Huen-Chiu.
Cast: Deng Chao, Crystal Liu, Ronald Cheng,Collin Chou (Ngai Sing), Anthony Wong.