Alle soglie del '900, le diatribe intestine a una dinastia sono la trasfigurazione della decadenza di un intero paese: si avvicina il compleanno dell'imperatrice-madre, giorno in cui lei vuole svagarsi e non pensare alle faccende di stato, eppure i giapponesi sono alle porte e reclamano la Corea e parte delle città portuali cinesi. Il giovane imperatore, in balia degli eventi, propende per la guerra, ma la madrina dell'impero trama alle sue spalle per umiliarlo e vendicarsi dei soprusi subiti dagli emissari del figlio. La città proibita è un universo a sé stante di stordente bellezza, tra intarsi dorati, draghi di pietra, arazzi e mobili antichi - un universo chiuso e opprimente, dove l'apparente quiete è solo un abile inganno che nasconde le maglie di incessanti trame e sotterfugi. Gli eunuchi sono macchine-da-raggiro che agiscono in vista di un potere annichilente, per cui sono disposti a mettere in gioco tutto, dispiegando inganni e malie in grado di soddisfare la fazione che servono. La brama di predominio diventa un gioco perverso in grado di elevarsi al di sopra di qualsiasi morale, indifferente o (il che è ancora più drammaticamente sintomatico) inconsapevole delle ripercussioni che questo atteggiamento può avere sulla popolazione.
Li Han-hsiang ci consegna uno spietatissimo squarcio di storia universale, tra bassezze e aneliti idealisti, voglia di rivalsa e semplice egoismo. Un teatrino in cui tutti hanno ragioni e sogni in abbondanza, ma in cui le chiavi per il bene comune sono ineluttabilmente perse. Senza facili scappatoie - non esistono figure totalmente positive, tutte pervase da un profonda negatività di fondo - lo svolgersi della trama è anche il disintegrarsi di qualsiasi illusione: le pulsioni primordiali di vergogna, paura e rabbia sono destinate a insinuarsi persino nella città imperiale, che dovrebbe essere al contrario sede indiscussa di virtù e saggezza ultraterrene. In mani meno accorte il progetto avrebbe potuto trasformarsi in fredda anedottica pseudo-filosofica: Li riesce invece nella titanica impresa di gestire con coerenza le decine di comparse, i set mastodontici e le sottigliezze della trama - tra intrensigenza estetica, ricostruzione puntuale del particolare e un invidiabile sguardo d'insieme; ad aiutarlo, una schiera di volti più o meno noti, tutti estremamente credibili. Lisa Lu (anni dopo riutilizzata da Bertolucci in un ruolo complementare nell'incompleto L'ultimo imperatore) è capace di raggelare con uno sguardo; Miu Tin, volto sprezzante per vocazione, le tiene testa nei panni del suo eunuco personale. Da applauso le interpretazioni di Shum Lo, un eunuco servizievole, e soprattutto Kok Li-yan, raggrinzito ma combattivo consigliere sull'orlo della dipartita. La migliore sorpresa è però ritrovare l'eterna coppia di decine di film d'arti marziali, Ti Lung e David Chiang, in ruoli all'apparenza inconsueti, eppure profondi e ricchi di sfumature. Ti Lung è un imperatore temuto quanto solo nominalmente al potere, fragile e completamente prono all'invadenza materna; David Chiang è un giovane eunuco che impara ad aprezzarne gli slanci emotivi più sinceri, cercando in tutti i modi di preservarlo da un tragico fallimento. Insieme cercano di ritrovare un'infazia ormai sfuggita, ma vissuta solo nominalmente - l'uno costretto a sentirsi addosso il peso di un paese sconfinato, l'altro subito rapito nelle ragnatele di meschinità imperante (semplice e struggente insieme la scena in cui si lasciano andare al gioco, il primo a cavalcioni del secondo, sorpresi infine dall'eunuco della madre).
The Empress Dowager è film complesso e stratificato. Difficile accettarlo completamente da subito, a partire dai primi minuti: ma superato lo straniamento iniziale non si può che rimanerne ammaliati e intrappolati.
Hong Kong, 1975
Regia: Li Han-hsiang
Soggetto / Sceneggiatura: Li Han-hsiang
Cast: Lisa Lu, Ti Lung, David Chiang, Miu Tin, Ivy Ling Po
The Empress Dowager
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- Scritto da Stefano Locati
- Categoria: FILM