A Hong Kong, in intuibili studi cinematografici non meglio precisati in cui tutto funziona alla bell´e meglio, si sta girando un film, anzi, molti film. Gli episodi narrati infatti sono un´antologia del gran calderone di avventure del famoso regista Li Han-hsiang, che dal suo ufficio scrive regolarmente una rubrica sulle memorie di tanti anni di carriera...
Liberamente tratto (così per lo meno si dice) da Effetto notte di François Truffaut (in un periodo in cui comunque era di moda fare film sul fare cinema, e avendoci provato in molti, ognuno a modo proprio, non è che ogni film metalinguistico sul cinema debba avere come padrino Truffaut!), Passing Flickers è una giostra allegorica e sboccata sulla quotidianità dei set: i giovani attrezzisti sfaticati, le attricette pettegole e capricciose esposte al pubblico ludibrio e alla pubblica bava, le nuove star piene di sé senza reali meriti, veterani ridotti a fare particine da rintronati e sempre più sporcaccioni con le attrici giovani, le amanti dei magnati del cinema che convincono il paparino a far dirigere loro un film e poi, sebbene stridulamente e in gonnella mozzafiato, dimostrano effettivamente di saperci fare, e naturalmente anche i registi maiali, quelli burloni, quelli seri e quelli eccentrici (che non disdegnano di scritturare indiani da mettere in prima fila)... Tutto questo e molto ma molto altro riesce a stare dentro la pellicola di Li Han-hsiang, ancora una volta categorizzabile come fengyue, cioè misto di softcore, opulenza decadente ricca di charm, e farsa molto leggera se non scollacciata e turlupinoquiante, genere che è diventato rappresentativo, quasi, della carriera di questo regista, che pure ha saputo fare altro e infinitamente meglio, e che però da un certo punto in poi, autolesionista a oltranza e incoraggiato dello star system a fare sempre peggio, si è riparato dietro alle donnine nude, sempre più cinicamente e polemicamente, senza disdegnare la volgarità come reagente per il pessimismo. Passing Flickers è spesso ridicolo e spietato, stupido e terribile, schifoso e vero: in una delle scene iniziali una povera attrice deve girare una scena di sesso, ma c'è un problema di trucco. Allora è costretta ad aspettare per un tempo infinito sdraiata come una vacca al macello, in attesa di essere conciata, nuda e immobile, fino a quando non arriva il truccatore che giustamente deve incipriarle il seno e le natiche, considerando che su su, sull'impalcatura dei riflettori, sono appostati da tempo dei giovinastri squittenti che si stanno divertendo un mondo. Scena offensiva, certo, scena sciocca, vero, ma quante ne succedono nella realtà di cose così, se non peggio? La sensazione è ancora una volta quella secondo cui Li Han-hsiang, facendo il gioco di botteghino e produttori, con quattro-sei-otto tette sfoderate e traballanti qua e là, qualche paio di gambe e qualche vecchiaccio sudato che spinge e molleggia, si sia scagliato nella maniera più secca e cruda possibile contro quella che sembra essere la maniera dei cinematografari, con cui tutt'ora il cinema prospera e sopravvive.
E comunque le donnine discinte si esauriscono più o meno entro la prima metà del film. Poi prende il sopravvento invece il puro divertimento ridondante e didascalico, sovraccarico anche, di mettere in scena il maggior numero assemblabile di ambientazioni all'interno di un unico film, con precisione maniacale nei dettagli dei set, ripresi con un'abilità che la sa infinitamente più lunga del semplice orchestraggio di softcore da quattro soldi!
Il meglio avviene in un bordello e su un set innevato; nella casa di piacere, a dir la verità proprio come faceva dichiaratamente Antoine Doinel in Effetto notte, la troupe cinematografica va a riposarsi e a rilassarsi dopo aver lavorato tutto il giorno: in un'impalcatura labirintica fatta di stanze stracolme e corridoi, le ragazze si danno un gran da fare e, per esempio, il tecnico luci cerca di orientare una lampada che gli faccia meglio godere tutta la faccenda, mentre un altro sfaccendato si rivela sotto l'effetto di droghe e viene cacciato a calci proprio dalle prostitute, perché c'è da aspettarsi veramente di tutto da questa gentaccia del cinema, che il giorno dopo avrà un mal di schiena tutto gagliardamente orgoglioso di esistere! Nel set bianco di neve invece, un gruppo di attori all'interno della sezione di una casetta, tenta di cenare dando l'idea di ristorarsi con qualcosa di caldo, facendo credere che fuori faccia un freddo tremendo, e in realtà sudando a più non posso, ricreando un quadretto che è puro tocco di malizia ed eleganza lubitschiana. In altri momenti la cinepresa vola leggera e snodata tra i grovigli di set intarsiati come presepi, tra giochi di luce e chiaroscuri colorati. In altri, inquadrature oziosamente buffe ci permettono di assistere ad un serissimo (e ben congegnato) combattimento in costume storico dalla prospettiva delle gambe nude e agghindate di soli tacchi a spillo della signorina regista... E non manca il wire work, che all'inzio del film manda al creatore un'attrice, e verso la fine trasporta su un tetto un regista, nella realtà fintissima del film dentro il quale si gira un film... Insomma in un'ora e mezza, dentro Passing Flickers succede davvero di tutto, e se ne esce frastornati, elettrizzati, contenti, divertiti e un po' meravigliati.
Hong Kong, 1982
Regia: Li Han-hsiang
Soggetto / Sceneggiatura: Li Han-hsiang
Cast: Lau Wing, Dai Leung Jun, Choh Seung Wan, Guk Fung, Lee Din Hing
Passing Flickers
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- Scritto da Valentina Verrocchio
- Categoria: FILM