Il poliziotto Tsim raccoglie la testimonianza di un guardone, Kwan, che parla di un complotto delle donne per eliminare silenziosamente gli uomini. Il rapporto sparisce e Tsim è costretto a raccogliere nuovamente la testimonianza, ma nel frattempo Kwan ha cambiato versione e confessa il suo crimine.
Cosa fanno le donne quando vanno in bagno insieme? Una domanda che gli uomini si sono sempre posti e che Pang Ho-cheung ha pensato di sviluppare nel più assurdo dei thriller basati su una sindrome da complotto. Un incipit micidiale - a partire dagli occhi della Regina Elisabetta un carrello all’indietro allarga il campo su degli uomini-rana che picchiano un prigioniero in una stazione di polizia – traccia il solco di un’opera che vuole aprire gli occhi su ciò che si ritiene assurdo o inverosimile. Nel regno dell’incredibile è possibile l’impunità, proprio perché nessuno crederà a ciò che è impossibile - è quel che in buona sostanza recita il protagonista del film.
La tesi complottistica su cui poi si concentra l’andamento di Exodus, sempre più prevedibile ma non meno avvincente, sembra quasi uno scherzo misogino, non nuovo all’indole di Pang: un gigantesco MacGuffin che si serve di quanto di più vicino a noi per lavorare sull’invisibilità e sulla quotidianità dell’indicibile. La colonna sonora dell’italiano Gabriele Roberto e gli ambienti disadorni di una Hong Kong deserta e quasi post-apocalittica aiutano a comprendere la dimensione onirica della seconda parte, che quantitativamente rappresenta la quasi totalità dell’opera ma nasce in contrasto a un prologo brutale e sanguinoso, dove ciò che segue è asettico e impeccabile. Una suggestiva mescolanza tra il piano del reale e dell’irreale (il rosso sangue dell’inizio sostituito dal rosso dei “vestiti che uccidono”, dove i cadaveri restano fuori campo), che Pang traduce in movimenti di macchina fluidi, con pochi stacchi e molte inquadrature dall'alto, che schiacciano i personaggi fino a renderli microscopici parassiti. L’opera di un autore talentuoso e furbo, che si diverte a suggerire e far discutere, beffardo come gli occhi della Regina su cui si apre la strana storia di Exodus e si chiude quella di Hong Kong. (es)
Occhi azzurri, occhi di donna, il viso della regina da giovane, un uomo in costume da bagno, con tanto di pinne e maschera da sub, un altro, un corridoio in una stazione di polizia, un altro uomo per terra, colpito a martellate dagli uomini-sub, un poliziotto si affaccia, respinto, altri uomini-sub si aggiungono e aggiungono martellate al disgraziato per terra, che tenta di fuggire, senza successo. Fugge la telecamera, invece, se ne va, piano piano, senza disturbare, sul tappeto della musica. Questo è l’incipit meraviglioso di Exodus, dopo il quale la camera di Edmond Pang incomincia a riprendere di sbieco, oscillando nel silenzio, gli ambienti dove si muove il suo protagonista: l’agente Tsim Kin-yip (Simon Yam, più in forma che in Eye in The Sky, in più di un senso); passano davanti agli occhi gli uffici della polizia, il suo appartamento, freddi e inseriti in una Hong Kong raramente vista così deserta, asettica e inospitale.
La storia comincia con Tsim, polziotto ligio al dovere, che in vent’anni non ha fatto carriera per poca omologazione o voglia, che trascrive la deposizione di Kwan (Nick Cheung, quasi irriconoscibile e sorprendentemente bravo), arrestato perché sorpreso con una videocamera in un bagno per donne. Il sospetto però insiste a sostenere che stesse solo raccogliendo prove per documentare il complotto di un gruppo, nemmeno tanto ristretto, di donne per eliminare tutti gli uomini. Tsim non riesce a credereci, registra la cosa da bravo impiegato e se ne va a casa, dove la moglie Ann (Annie Liu, volto fresco e ben calzata nella parte) lo aspetta, insieme con il solito tran tran della quotidianità di coppia, tra piccole bugie e piccole felicità. Nel cuore della notte, tuttavia, Tsim riceve una telefonata dal commissariato: la deposizione di Kwan è scomparsa e ora il sospettato ha radicalmente combiato la sua versione dei fatti. L’uomo che prima pareva così convinto del complotto anti-maschile planetario, ora si dice solo un guardone e rinnega ogni sua parola. Contrariamente ad ogni evidenza, il mistero avvolge le sue spire nella mente di Tsim, che incomincia a investigare su una serie di fatti e coincidenze piuttosto singolari.
Per chi ha amato gli esordi di Pang, forse uno dei talenti più cristallini nel panorama del cinema hongkonghese del nuovo millennio, Exodus può risultare una spiazzante sorpresa. Spiazzante, e però gradita, visto come il regista riesca a uscire dalla commedia a volte nera a volte becera di You Shoot, I Shoot e Men Suddenly In Black e contemporaneamente a staccarsi dal dramma calligrafico di Isabella per confezionare un noir atipico che si costruisce come una riflessione sulla verità e la verosimiglianza, a momenti spietata e a momenti dolce e sorridente. Passa ancora per il rapporto tra uomini e donne la poetica di Pang, come già in Men Suddenly In Black e Beyond Our Ken, e stavolta mira più a fondo, mira alla psiche: il suo gusto non comune per il beffardo rimane, al fianco della volontà di andare a sondare la materia dei sentimenti da vicino e senza sceneggiarli in parola. Forse è questo il piccolo limite di un film per il resto riuscito in modo eccellente: ritrarre i sentimenti non è da tutti, e forse Edmond Pang non ha ancora raffinata questa capacità nelle sue corde, complici anche le musiche dell’italiano Gabriele Roberto (premiato anche per Memories of Matsuko), belle ma davvero troppo ingombranti. Si intercettano, però, tracce che fanno scommetere che il talento del regista potrà essere messo a frutto anche in questo campo, in futuro, e Exodus per lui è un passo avanti, l’ennesimo di un regista che non sa stare fermo. (pv)
Hong Kong, 2007
Regia: Edmond Pang Ho-cheung.
Soggetto / Sceneggiatura: Edmond Pang, Vincci Cheuk, Jimmy Wan
Cast: Simon Yam, Annie Liu, Nick Cheung, Irene Wan, Eric Tsang