Quella della Cinema City è stata un'esperienza molto particolare all'interno della storia della commedia cantonese. Per certi versi un'anomalia entusiasmante, un raro caso di (futura) major nata per esprimere le esigenze creative di un gruppo di autori illuminati, riunitisi in società per consolidare la propria posizione sul mercato. Il workshop nasce per volontà di due attori, le stelle della commedia Karl Maka, anche regista, e Dean Shek, e di uno sceneggiatore affermato, solo saltuariamente attore, Raymond Wong. I tre si affidano alle loro capacità e a quelle di una serie di registi, attori e tecnici - spesso stranieri e pagati a peso d'oro - di comprovata fiducia, siano essi persone di comprovata esperienza come John Woo o Eric Tsang o professionisti formati in casa come Clifton Ko o Ringo Lam.
La neonata compagnia, che parte con Laughing Times di John Woo - con Shek nella sua tipica imitazione di Charlie Chaplin -, ha precisi intenti e un programma di marcia ben definito per pervenire ai suoi obiettivi. Il target sono le famiglie piccolo-borghesi, il mezzo per raggiungerle commedie generalizzate che accontentino lo spettatore medio in cerca di una distrazione allegra, i terminali pratici una serie di volti riconoscibili e di situazioni standardizzate che frullano in un solo colpo miti orientali e successi occidentali. Aces Go Places mixa senza particolari pudori, per stessa ammissione di Maka1, James Bond, il poliziesco e la parodia (finto) hi-tech di Mission Impossible e sfrutta la popolarità di Sam Hui, appena staccatosi dal fratello Michael. La pur giovane casa di produzione raggiunge subito ottimi risultati, soprattutto al box office, dove si instaura al fianco dei morenti Shaw e della crescente Golden Harvest. La formula vincente prevede anche un sistema capillare di distribuzione2 e la concentrazione delle opere più importanti nei periodi strategicamente redditizi. Grazie a questo sistema nascono le commedie corali di capodanno, ossia quelle pellicole con cast all star che difficilmente falliscono, vista la forza dei nomi in cartellone. Il processo creativo prevede un trust di cervelli dove il regista o lo sceneggiatore sottopone il proprio progetto ai produttori, che nello stesso momento esprimono i loro dubbi e apportano le necessarie modifiche affinché l'idea possa essere approvata.
In poco più di due lustri di onorata carriera la Cinema City arriva a imporre il suo livello medio qualitativo e le caratteristiche di una comicità tutto sommato corretta, che pur giocando su equivoci tipici della pochade e situazioni al limite della bêtise, rientra sempre in modelli universalmente recepibili. Tra le fonti di ispirazione è facile ritrovare tanto Michael Hui - e i suoi stessi referenti, come le farse scollacciate di fine anni '60 - quanto la commedia sociale degli anni '50, rimescolate in maniera sgangherata ma non raffazzonata. Soprattutto agli inizi il modello di base è invariato: una sequela di gag a raffica con l'ultima, di solito la più importante e la più riuscita, cui spetta il privilegio di passare in primo piano e di chiudere in bellezza. Un'altra caratteristica ricorrente è la serializzazione dei prodotti di maggiore riscontro - come The Happy Ghost o la succitata saga Aces Go Places - e la riproposizione di filoni e sotto generi - le love ghost stories; le pellicole chasing girls -, con il pubblico che si affeziona ai personaggi e corre al cinema per seguirne di film in film le evoluzioni e la maturazione.
Nella palestra Cinema City, che ben presto estende il suo ruolo da outsider a major, si formano tante delle future star della commedia e tanti registi destinati a grandi cose. In quest'ultima categoria si segnalano Johnnie To e Clifton Ko, ma anche Tsui Hark, comprato dalla New Wave con un'intuizione che si rivelerà geniale, e i succitati Ringo Lam, i cui primi prodotti sono da rivalutare, e John Woo, che nella sua variante comica è - inaspettatamente? - a suo agio e vitale. Gli stessi Mak, Shek e Wong si prestano spesso dietro e davanti alla macchina da presa, spesso anche solo per brevissime apparizioni speciali, una sorta di marchio che sancisce l'autenticità del prodotto (rispetto alle tante imitazioni che iniziano in fretta a circolare). Nel parco attori si distinguono Alan Tam spesso in coppia con l'inseparabile amico Eric Tsang; Chow Yun Fat nella versione mattatore - ma non solo -; Cherie Chung; Carol Cheng; John Shum; Richard Ng; Teddy Robin, anche regista; George Lam; Sylvia Chang: in pratica la crema della recitazione hongkonghese per tutti gli anni '80. Dopo quasi dieci anni in cui la Cinema City è stata sinonimo di commedie di successo, e poco prima della diaspora di Raymond Wong, messosi in proprio nel 1989 con la sua Mandarin, Karl Maka decide di ampliare gli orizzonti produttivi della compagnia, concedendo ai due insoddisfatti John Woo e Ringo Lam il passaggio definitivo all'azione: la coda nera porta a un ultimo intenso sussulto commerciale fino al collasso definitivo e al termine delle operazioni nel 1991. Né Maka né Dean Shek torneranno a recitare con continuità, e solo con il nostalgico Winner Takes All di Clifton Ko, nel 2000, si riuniranno come attori, ma senza troppo successo, i tre vecchi compagni d'avventura.
Note:
1. «Prendete un mercato qualsiasi [...] e studiate la lista dei film di maggiore successo: c'é sempre un James Bond. [...] Riprendi la lista e vedi che i film della Pantera rosa hanno successo dappertutto. [...] Perfetto, aggiungiamo Bruce Lee. Quindi James Bond più la Pantera rosa più Bruce Lee. Mescolate bene e avrete un grande successo.» Olivier Assayas - Mak Kar, la formule miracle in AA.VV. - Made in Hong Kong (Cahiers du Cinema #362-363, 1984).
2. E' un sistema molto simile a quello adottato dalla Golden Harvest, che si affida a coproduzioni e a collaborazioni mirate con piccole compagnie spesso legate al regista o allo sceneggiatore. Con la grande differenza che il distributore principale - e spesso il vero finanziatore - delle pellicole Cinema City è la Golden Princess, colosso commerciale che incredibilmente non impone scelte alla casa di produzione controllata.
Fantasia al potere: l'esperienza Cinema City
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- Scritto da Matteo Di Giulio
- Categoria: LA COMMEDIA ALL'HONGKONGHESE