Li Han-hsiang non è un autore comico. Neanche lontanamente. Ma le sue pellicole possiedono una vena caustica che trascende una qualsiasi categorizzazione e sfocia in un discorso ampio che prevede necessariamente anche la commedia. E' quindi un discorso inverso rispetto alla concezione di una poetica ben precisa: non un regista che si muove all'interno di un genere per esprimersi, ma, all'opposto, un modo di pensare che spazia liberamente, più o meno intensamente, a seconda dei casi particolari, nell'ambito di una filmografia variegata e multiforme. Le pellicole di Li sono arabeschi complessi, per lo più a sfondo storico, con precise velleità satiriche: anche i suoi primi lavori, le affascinanti trasposizioni dell'universo huagmei diao, non sono esenti da una comicità implicita e manieristica che applica all'operetta gli espedienti dalla farsa ad equivoci. Ne è rappresentativo l'incipit giocoso di The Kingdom and the Beauty, quando l'imperatore (in incognito) e una bella ragazza di provincia giocano liberamente, impersonando lei l'imperatrice e lui il consorte (con lei che lo rimprovera perché non riesce a calarsi nella parte con la dovuta naturalezza). L'umorismo sottile sfocia presto nella canzonatura di costume, nel paradosso caricaturale: tutto ciò a partire dal fallimento dell'esperienza taiwanese della Guolian, la casa di produzione fondata e diretta in prima persona da Li. Prima di ritornare agli (odiati) Shaw Brothers, presso cui aveva lavorato tra la fine degli anni '50 e i primi anni del decennio successivo, il regista si fa valere nel cinema cantonese, con uno sprezzo programmatico, quasi a volersi buttare in pasto alla peggiore audience possibile. Lavori come Legends of Cheating, Cheating Panorama, Cheat to Cheat o Legends of Lust sono esasperatamente popolari, bassi, senza le pretese intellettuali e calligrafiche che avevano caratterizzato sinora l'opera di Li. Il quale, prediligendo dittici e accoppiate tematiche, si butta a capofitto in un'impresa ai limiti dell'auto-umiliazione: ritrarre il mondo che lo circonda nel modo più veritierio e ingiurioso possibile, abbandonandosi ove necessario al dettaglio imbarazzante, al particolare rubato, alla demenzialità frivola. Di fatto il suo modo di dirigere, composto da piani statici, zoomate improvvise, carrellate appena accennate, scenografie rigorosamente in interni, diventa uno spietato marchio di fabbrica, una rozza esibizione anti-stilistica. I critici, che parlano a più riprese di involuzione, hanno a disposizione un bersaglio sin troppo facile; il pubblico al contrario dimosta di gradire la schiettezza grossolana delle situazioni e i ritratti ordinari di personaggi meschini che vivono sul filo del rasoio tra onestà e scorrettezza. E' questo un raro esempio di autorialità imbastardita, al servizio di una platea ben contenta di potersi abbandonare a risate sguaiate e ambiguità peccaminose. Tornato in seno agli Shaw Brothers, Li inanella una serie pressoché infinita di pellicole simili per contenuto e caratteri in gioco: ubriaconi, giocatori, prostitute, dispotici signorotti, monaci lussuriosi, imbroglioni, ladri, funzionari corrotti si susseguono senza tregua sullo schermo per schernire il mondo fatato dei wuxiapian, dei wenyi tragici o delle epopee storiche che tanto appassionano gli spettatori. La serie - tre film: The Adventures of Emperor Chien Lung, The Voyage of Emperor Chien Lung e Emperor Chien Lung and the Beauty - dedicata all'imperatore Chien Lung coniuga grande capacità di sintesi storica e gusto per la bêtise: i bizzosi duetti tra i due bracci destri dell'imperatore, l'astuto Liu Yung e il fedele Ngo Yung-an, uno invidioso dei privilegi dell'altro, rispettano il classico canovaccio a base di inganni e dispetti tipico dei personaggi della commedia dell'arte. Ben si associa a questo modo di agire il termine fengyue (una contrazione di fenghua xueye), satira decadente, morbosa, generalmente in costume: i valori produttivi elevati permettono a un profondo conoscitore del background storico-sociale una dissertazione dotta, particolareggiata e al contempo ridimensionata in negativo. Il principale motore narrativo è la sessualità, sia in ambito moderno (That's Adultery; Love Swindlers; Crazy Sex) che passato. Il nudo è costante, meglio se gratuito o sensazionalistico. E' il preludio al soft-core ironico: il classicismo di The Golden Lotus e del più spensierato Illicit Desire anticipano e costituiscono la basilare premessa alle esuberanze grottesche di Sex & Zen e Erotic Ghost Story. In questo folle decennio (1972-1982) di abbandono ai sensi e alla carne Li sperimenta ogni possibile espediente pur di disprezzare, super partes (ma non troppo: si veda l'autobiografico Passing Flickers, storia breve di tre registi, tirannici, arruffoni e con le mani lunghe nei confronti delle attrici), la sua stessa materia di studio. Non è casuale l'incontro con Michael Hui, popolare comico televisivo lanciato grazie a quattro film progressivamente sempre più spinti, dalla blanda satira bellica di The Warlord - poi rifatto in chiave ancor più scorretta: The Scandalous Warlord - alle scorribande esplicite di Scandal e Sinful Confessions. Abbandonato presto dalla sua scoperta, che pensa bene di dirigersi in prima persona e di firmare contratti redditizi con la Cinema City e successivamente con la Golden Harvest, Li continua la sua opera (a)morale di fustigatore dei mores in disfacimento. Tra le muse del regista, le poco pudiche Tien Ni, Woo Gum e Chan Ping ricorrono con maggiore frequenza ad accontentare il pubblico ansioso di ammirarne le grazie. Ma il vero protagonista di questa fase della carriera di Li, che a inizio anni '80 tornerà a dedicarsi a tempo pieno al film storico, prima su grande e poi su piccolo schermo, è il corpo, maschile e femminile, da scoprire in diretta e in primissimo piano, anche e soprattutto nei momenti più imbarazzanti, quando dà sfogo alle sue pulsioni primarie: colto nell'atto di mangiare, di defecare, durante la copula (meglio se perversa o inusuale) o nel sonno. Il cinema commerciale di Hong Kong, sia quello comico demenziale di un Wong Jing - che riprende proprio da Li, per esempio, l'amore per gamblers e truffatori, che quello scatologico di Stephen Chiau, passa in buona misura per queste medesime coordinate.
Classico irriverente: ritratto trasversale di Li Han-hsiang
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- Scritto da Matteo Di Giulio
- Categoria: LA COMMEDIA ALL'HONGKONGHESE