Il sorriso di Barbara Wong è una delle più belle sorprese che l’industria cinematografica di Hong Kong abbia saputo produrre. Regista e autorice poliedrica, è uno dei nomi nuovi più interessanti. Emersa a cavallo tra vecchio e nuovo millennio con un documentario sperimentale sulla sessualità delle donne cinesi, è poi approdata, con buoni riscontri anche se sempre a modo suo, al cinema commerciale, rivelando un istinto naturale per la commedia generazionale e un’attenzione non comune alle tematiche giovanili.
Con Wonder Women parla di Hong Kong con accorata partecipazione emotiva, riuscendo nel difficile intento del mélo per tutti i gusti, commovente e dedicato ad ogni tipologia di pubblico. Ora che alla qualità alterna anche la quantità si pone come potenziale nome di punta del panorama cinematografico cantonese.
Come ti sei avvicinata al mondo del cinema?
Ho cominciato come attrice. Ho frequentato l’Hong Kong Academy for Performing Arts, studiando recitazione. Dopo il diploma ho trovato lavoro, per un breve periodo, come deejay presso la Commercial Radio di Hong Kong. Non ero però soddisfatta delle limitate possibilità di esprimere me stessa fornite dal solo uso della voce.
Successivamente mi sono innamorata del cinema e ho voluto approfondire l’argomento iscrivendomi alla New York University. Dopo la laurea sono rimasta a New York per qualche anno: lì ho girato il mio primo film indipendente, A Carburator for Suzy, per il quale ho vinto anche un premio istituito dal New York Film Archive.
Nonostante tutto non è stato di grande aiuto per la mia carriera. Per cui è derivata la decisione di ritornare a Hong Kong. Una volta rientrata ho scritto una bozza di sceneggiatura per Women’s Private Parts. Raymond Wong della Mandarin Films ha visionato il progetto e lo ha preso in considerazione. Questo è stato il mio inizio vero e proprio.
Il tuo film d’esordio, Women's Private Parts, è un documentario atipico sulla sessualità femminile. E’ stato addirittura bollato come Cat. III. Come hai scelto un soggetto così particolare?
L’idea di Women's Private Parts è nata nel periodo in cui mi trovavo lontano da Hong Kong e dall’Asia. Se fossi rimasta a Hong Kong, invece di espatriare per così tanti anni, probabilmente avrei fatto un film molto diverso. Ero stupita del modo in cui i miei amici occidentali erano soliti vedere le donne cinesi, servili e estremamente pudiche. Dopo essere tornata in patria da New York e dopo aver incontrato di nuovo le mie vecchie amiche di un tempo, ho potuto ricredermi e sbugiardare quella convinzione. Le donne hongkonghesi sono molto più aperte, mentalmente, di quanto gli occidentali pensino. Per questo motivo ho deciso di focalizzare il mio documentario su questo argomento.
Come ha reagito il pubblico al film? Che tipo di audience speravi di conquistare?
Il pubblico è rimasto colpito. Sono riuscita a impressionarli, ad ottenere una reazione forte; non solo per via dei contenuti che potevano essere considerati controversi, ma soprattutto grazie all’approccio diretto, schietto. Ha giovato molto la naturalezza con cui le persone intervistate hanno risposto, la loro attitudine positiva ha evitato possibili code scandalistiche.
Quando sono venuta in diverse città in Occidente per promuovere il film presso vari festival cinematografici le proiezioni erano sempre piene. Le spettatrici sono venute spesso da me per complimentarsi e confermarmi quanto sia interessante scoprire che tutte le donne del mondo condividono le stesse convinzioni in tema di amore, sesso e uomini.
A Hong Kong la reazione è stata ancora più amplificata, visto che per la prima volta un documentario ha avuto il coraggio di affrontare un tema di questo tipo. Anche le vendite del film in DVD sono state superiori alle aspettative, e subito nei primi giorni si è registrato un boom di copie acquistate: nessuno lo avrebbe immaginato! La gente mi diceva che è un ottimo film da guardare con gli amici per poi confrontarsi e discutere attivamente. Ovviamente parliamo di dibattiti anche divertenti, sopra le righe, magari aiutati da qualche bicchiere di vino durante la visione!
La cosa più curiosa è che grazie al film sono stata soprannominata dai giornali con nomignoli del tipo «Hong Kong Sex Expert» e «La regista dei Cat. III»… assurdo!
Truth or Dare: Sixth Floor Rear Flat è arrivato diversi anni dopo il tuo debutto. E’ un film molto differente, con aperture al commerciale e con giovani cantanti nel cast. Cosa ti ha spinto a cambiare?
Mi ci sono voluti cinque anni per arrivare a Truth or Dare: Sixth Floor Rear Flat. In realtà non ha un cast molto più mainstream del mio primo lavoro, sono all’incirca sullo stesso piano. La ragione per cui ho preferito aspettare così tanto prima di rimettermi al lavoro è che ero troppo presa e troppo innamorata della mia prima creatura e non volevo arrivare alla seconda troppo in fretta e solo per motivi commerciali. E’ accaduto lo stesso con Happy Funeral [è il seguito di Truth or Dare: Sixth Floor Rear Flat, ndr.]: l’idea era già in cantiere da un anno ma ho pensato fosse meglio aspettare un po’. E’ uscito proprio adesso, a cinque anni di distanza dal primo. Pensavo fosse il momento giusto visto che un lustro corrisponde quasi a una nuova generazione di gioventù.
Mi ricordo di averti vista recitare in The Runaway Pistol, al fianco di un altro regista, Wilson Yip, anche lui impiegato come attore. Ti piace il film? Come sei stata coinvolta nel progetto?
The Runaway Pistol... uhm… è un film che mi piace moltissimo. Penso sia parecchio differente dai soltii film mainstream di Hong Kong. Sono entrata a far parte del progetto grazie a Lam Wah Chuen, il regista, che è un mio amico molto caro. Conoscendo lui i miei inizi come attrice mi ha chiesto di prendere parte. Anche Wilson Yip è un buon amico di Lam, che lo ha aiutato sul set lavorando con lui più volte come assistente regista.
Visto che The Runaway Pistol è un film sperimentale e con un budget molto limitato Lam ha pensato che fosse meglio ricorrere ad attori che non fossero affermati. Ci siamo divertiti molto a recitare nella pellicola, Wilson e io eravamo convinti di poter lavorare seriamente e di poter fare un ottimo lavoro, ci siamo impegnati duramente per soddisfare Lam e garantirgli una buona performance.
Se in futuro si ripresentasse un’occasione degna di nota non avrei problemi ad accettare di nuovo di vestire i panni da attrice. Ci ho pensato per i miei due ultimi film, Wonder Woman e Happy Funeral, ma ero troppo impegnata per la regia per poterlo fare davvero.
Protégé de la Rose Noire è una sfida difficile: un mix di cultura pop che rimescola gli anni d’oro del cinema cantonese. Sei soddisfatta del risultato?
Personalmente devo dire di essere totalmente insoddisfatta di come Protégé de la Rose Noire sia venuto. Avrei voluto inserire più messaggi nel film, per avere un risultato con maggiori significati. Ma come sicuramente potrai immaginarti, co-dirigere con un altro regista è molto differente rispetto a quando si ha la possibilità di girare il film da sola. Ho dovuto accettare qualche compromesso ma ad ogni buon conto sono stata felice di avervi preso parte, è stata un’esperienza molto diversa rispetto a quanto ero abituata.
Infatti hai diviso la sedia del regista con Donnie Yen. Come è andata? E come ti sei trovata a lavorare con star del cantopop come le Twins e Ekin Cheng?
Donnie si è occupato principalmente delle scene d’azione, mentre io cercavo di prendermi cura del resto. Si è trattato soprattutto di trovare un equilibro tra le varie competenze, sia io che il resto della troupe abbiamo cercato il modo migliore per collaborare positivamente.
Per quanto riguarda gli attori… Ekin, le Twins… sono stati davvero grandi. Anche se non erano abituati a sequenze d’azione di questo tipo, e forse non erano esattamente nelle loro corde, si sono impegnati a fondo e non hanno mai mollato. L’ho apprezzato molto.
I personaggi di Six Strong Guys mi hanno colpito profondamente. Hanno una personalità agrodolce che lascia il segno. Cosa ne pensi? Sei soddisfatta di come gli attori li hanno resi su grande schermo?
Le psicologie dei caratteri di Six Strong Guys derivano da storie vere combinate insieme, sono in gran parte ispirate ai miei amici maschi. E’ per questo, immagino, che riescano a trasmettere la loro personalità dolceamara e a renderla così credibile. Mentre stavo girando, durante le singole scene, ho sempre dedicato del tempo a discutere con gli attori su come avrebbero reagito loro in prima persona se si fossero trovati, nella vita reale, nella stessa situazione, così che potessero dare una loro impronta ai personaggi.
Penso che si siano comportati tutti molto bene, in particolare Andy Hui e Hacken Lee, visto che i loro caratteri non hanno grandi connotazioni positive ma sono soprattutto ai confini della cattiveria. Nonostante ciò loro sono stati bravi ad accattivarsi il pubblico, a portarli dalal loro parte grazie alla loro simpatia.
Wonder Women celebra in maniera nostalgica il decimo anniversario del ritorno di Hong Kong alla Cina…
Wonder Women è una pellicola che rispecchia bene Hong Kong. Si può dire che il personaggio di Gigi Leung vive esperienze simili a tutti gli alti e i bassi che la gente di Hong Kong ha sopportato sulla propria pelle durante gli ultimi dieci anni. E’ stato davvero difficile scrivere la sceneggiatura e la prima fase di pre-produzione è stata molto complicata.
Siamo incappati in tante difficoltà nel tentativo di rendere realistici gli eventi terribili che succedono alla protagonista, una donna dal cuore d’oro, e alle persone attorno a lei. Se devo essere sincera potrei raccontarti di storie anche peggiori accadute veramente a persone che conosco: talvolta la vita è molto più drammatica dei film.
Penso, comunque, che la pellicola sia una riflessione interessante, soprattutto perché dà il giusto peso al coraggio dei cittadini di Hong Kong, sempre molto forti e capaci di non perdersi mai d’animo. La gente si è mossa attivamente contro la SARS e ogni altro inconveniente successo negli ultimi anni. Il personaggio di Gigi ne è la testimonianza.
Come vedi la situazione attuale del cinema di Hong Kong?
Il panorama cinematografico hongkonghese sta migliorando, ma stiamo ancora cercando la nostra strada, quella giusta per trasformarci da quando la Cina ha aperto le sue porte. Ora non costituiamo più, come prima, un ponte tra Oriente e Occidente; è il momento di trovare e costruire la nostra identità. L’industria cinematografica sta trasformandosi in un mondo sempre più in salita. E’ sempre più difficile e complesso; penso che l’unica strada per proseguire sia affidarsi alle coproduzioni. Arriveremo ad un punto in cu il film per un pubblico tipicamente locale andrà a scomparire, purtroppo il box office di Hong Kong non è più sufficientemente grande per poterselo permettere.
Pensi che l’industria sia troppo al maschile? E’ stato difficile per te trovare un tuo posto nello star system?
L’industria del cinema è decisamente troppo orientata verso valori maschili. Non importa dove, accade lo stesso anche ad Hollywood. Per cui non mi faccio di certo il sangue amaro, non è un gran problema. Molto più importante è essere una regista con delle idee e con una linea di pensiero, che è qualcosa che all’industria manca e che i produttori cercano e di cui hanno continuamente bisogno. Poco importa, allora, se tu sia un uomo o una donna.
Il tuo nuovo film, Happy Funeral 2, è uscito da poco. Puoi dirmi qualcosa di più in proposito? Che aspettative hai?
Happy Funeral 2 è un film che parla di giovinezza, ma di una nuova generazione di giovani. Qui non si parla più di ragazzi che vogliono sbronzarsi o giocare tutto il giorno. Ora vogliono avere il loro business, vogliono diventare miliardari, come gli ideatori di YouTube, vogliono lasciare la loro impronta sul mondo intero.
I miei personaggi, quindi, nascono con l’idea di lanciarsi nel mercato dei funerali, per renderli un’esperienza più serena. Ovviamente nel processo scopriranno cosa vuol dire crescere, un’esperienza importante, finché non capiranno in profondità l’essenza di come vanno le cose, la vita, la morte, e tutto quello gira intorno.
Come al solito non ho grandi aspettative. Spero che il pubblico si diverta e apprezzi il mio lavoro. Magari potranno essere ispirati dalla pellicola e riflettere sulle loro vite.