Tenky Tin Kai-man è una persona comune. Non bello, né atletico, ma simpatico e con la giusta faccia tosta. Comincia in TV poi passa al cinema e trova la sua dimensione di caratterista. Lavora spesso al fianco di Stephen Chiau, che ne apprezza lo spirito popolare e cialtronesco, fino a mettersi in proprio.
Scafato, versatile, affidabile è una splendida faccia da schiaffi, in puro senso cinematografico, che accontenandosi di poche battute sa caratterizzare una scena con una classe tutta sua, da spalla irriverente. Lo abbiamo intervistato per mettere in luce e dare voce ad uno dei volti nascosti del cinema di Hong Kong.
Come ti sei avvicinato al mondo del cinema?
Quando avevo tredici anni ho visto il mio primo film di arti marziali. Mi ha fatto una grande impressione la devozione del protagonista maschile, capace di sacrificare la propria vita per proteggere, in nome di un ideale d'amore, il personaggio interpretato dall'attrice femminile. Da quel momento ho capito che ero destinato a lavorare nell'industria cinematografica. Quando ho compiuto diciotto anni mi si è presentata l'occasione di partecipare ad una produzione televisiva: ero stato scelto per fare la comparsa, sullo sfondo. A partire da quella prima chance ho proseguito a collaborare con la stazione televisiva, sia davanti che dietro la macchina da presa. Dopo tre anni ho lasciato il piccolo schermo e sono passato al mondo del cinema, dove lavoro tutt'ora.
Negli anni hai perfezionato uno stile d'interpretazione particolare: buffo, ricco di ironia ma soprattutto concreto. Se dovessi descrivere il tuo modo di recitare come lo definiresti? Pensi in questo modo di riuscire ad interpretare l'uomo medio hongkonghese?
Il mio stile viene dall'esperienza quotidiana, dalla vita di tutti i giorni. In parole povere è un modo naturale, il più realistico possibile, di recitare. Il pubblico accetta facilmente questo tipo di interpretazione, molto probabilmente perché la situazione in cui i caratteri si muovono sono le stesse in cui si trovavano poco prima di vedere il film gli spettatori stessi.
Ad Hong Kong non ci sono molti attori con uno stile di recitazione ben definito. Ogni volta che interpreto un personaggio cerco di esprimere una sensazione vera, e molte volte più l'aspetto comico è divertente più sembra realistico. Anche se non riesci a percepire il momento esatto in cui la battuta sta crescendo e sta per andare a bersaglio riesci comunque a vederla appena si è realizzata; ed è allora che scaturisce nella platea la risata, l'applauso.
Quello che posso dire riguardo me stesso è che sono un attore cui piace recitare liberamente: non ho alcun requisito, credo, per poter rappresentare Hong Kong, ma spero che prima o poi arriverà il giorno in cui riuscirò ad impersonare meglio il cittadino medio.
Com'è la vita di un caratterista nell'industria di Hong Kong?
Nell'industria, e di rimando nella società di hongkonghese, la nostra visione del caratterista non è legata ad un aspetto fisico, né al look né all'altezza. Se sei in grado di recitare puoi proporti come caratterista. La maggior parte degli attori non gode qui di una formazione professionale, visto che una preparazione di questo tipo richiede tempo e le compagnie di Hong Kong puntano molto sulla rapidità degli attori ad imparare direttamente sul set. Uno può cominciare, per esempio, prima dalla carriera musicale, quindi inizierà dopo a recitare nei film: i soldi guadagnati vendendo dischi e cantando potranno essere usati per migliorare le proprie capacità attraverso lezioni. E' un buon modo per ridurre i costi e ottimizzare i tempi di realizzazione.
Spesso a Hong Kong i caratteristi sono le star delle generazioni cinematografiche precedenti. Loro funzionano perché sono già conosciuti ed hanno la necessaria esperienza; inoltre possono godere ancora di un seguito di fan che li rende appetibili. Ogni film di Honk Kong ha bisogno, necessariamente, di un comprimario che stimoli e metta in evidenza la prestazione del protagonista vero e proprio, o che permetta all'interprete principale di recitare a proprio agio. Conoscendo l'importanza del ruolo, i produttori non lesinano troppo sulla paga dei caratteristi.
Come hai detto i caratteristi sono un fattore importante. Tra questo tipo di attori c'è qualcuno che ammiri di più?
Tra i caratteristi che mi vengono in mente credo che sia Eric Tsang che Anthony Wong siano eccellenti, per come sono in grado di esprimere la propria personalità utilizzando il copione. Sono molto bravi perché non sfruttano il loro corpo, il loro aspetto o le loro caratteristiche somatiche per emergere: per questo tipo di recitazione è un valore aggiunto, e lo è anche per una pellicola, che può beneficiare di personaggi credibili.
Hai lavorato sul set con molti grandi attori. Chi ricordi con più piacere?
In questi anni spesi nell'industria cinematografica ho lavorato con molte star. Quello con cui mi sono trovato meglio è Chow Yun Fat, che conosco da tantissimi anni, sin da quando eravamo bambini. E' una persona estremamente gentile, tratta tutti con cortesia. Possiede la grande dote di saperti mettere a tuo agio, di farti sentire vicino a lui. Quando si lavora con lui non ci si sente mai in soggezione, anche se è una delle personalità più famose a Hong Kong. Devo dire però che gran parte degli attori con cui ho lavorato sono piacevoli e stimolanti. Il confronto con loro rende interessante per me proseguire su questa strada, sono parte attiva di ciò che mi spinge a lavorare nel settore dello spettacolo.
Come hai conosciuto Chow Yun Fat? E' uno degli attori hongkonghesi più famosi nel mondo. Come giudichi la sua carriera?
Conosco Chow Yun Fat da oltre venti anni. Torno con la memoria a quando eravamo compagni di set televisivi; lui non aveva ancora trovato il suo posto nell'industria del cinema, faceva fatica ad integrarsi. In quel periodo abbiamo cominciato a conoscerci meglio. Abbiamo lavorato sempre più spesso insieme nei film - io ero ancora giovanissimo allora -, e lui mi dava una mano, mi proteggeva, mi dava diversi consigli utili. Ancora oggi, nelle occasioni in cui ci incontriamo, parliamo spesso del passato. Oggi lui è un attore di livello internazionale, ma è rimasto lo stesso di prima, non si è montato la testa: è una persona buona, onesta e rispettosa nei confronti delle persone con cui ha a che fare. E' molto importante, inoltre, la sua serietà sul lavoro, un'attitudine che insieme al suo talento per la recitazione, ovviamente, fa di lui una stella di prima grandezza. Personalmente penso che possa raggiungere livelli ancora più alti nella sua carriera. Nei suoi film negli Stati Uniti non ha avuto ancora la possibilità di mettere in evidenza la sue capacità e di mostrare al grande pubblico il suo potenziale e i suoi punti di forza. Secondo me deve ancora ricevere una sceneggiatura che si adatti a lui e gli permetta di esprimersi al meglio; e anch'io, come tanti suoi ammiratori, aspetto quel giorno.
Come è cominciata, invece, la tua collaborazione con Stephen Chiau? Come ti trovi a lavorare con lui?
La collaborazione con Stephen Chiau è cominciata nel 1992, mentre giravamo Hail the Judge, in cui eravamo entrambi attori, anche se ovviamente lui era il protagonista assoluto e io figuravo in un semplice ruolo di contorno. In una scena devo interpretare un cadavere, e lui è un giudice che sta per farmi l'autopsia. A Stephen piace divertirsi sul set, quindi prese in prestito due pinzette dai tecnici delle luci e mi pizzicò nelle parti basse mentre stavamo girando. Applicò la prima forcina ma non ottenne alcuna reazione da parte mia, quindi ne piazzò una seconda, e una terza di seguito, ma io ero immobile. Quando il regista terminò quella ripresa mi chiese se mi aveva preso con le pinzette. Gli urlai di sì! Mi chiese se mi aveva fatto male, e risposi: «Certo che sì!». Stupito, mi chiese come mai non avessi urlato. Ovviamente perché il regista non aveva decretato che la ripresa era finita, gli risposi, e visto che sono un cadavere non potevo certo muovermi. Stephen, compiaciuto della risposta, dichiarò di apprezzare la mia professionalità, e mi lodò davanti a tutti. Da quel giorno in avanti mi volle sempre con sé, e la nostra cooperazione continua fino ad oggi, con la compagnia Star Overseas.
Lavoro con lui ormai da tanto tempo, ammiro molto il suo modo di fare molto rigido e la sua continua ricerca di copioni e idee interessanti. La sua creatività è al tempo stesso complicata e semplice, ha il dono di sapere vedere qualcosa di straordinario anche nelle situazioni più banali. Forse io e lui non siamo così diversi, entrambi puntiamo alla perfezione sul lavoro, anche se lui è molto più riservato e timido nel mettere a nudo se stesso, nell'esprimersi di fronte agli altri, e nel comunicare con amici e colleghi. Ma lui è un artista nel vero senso della parola e un artista può permettersi un carattere tutto particolare; insieme stiamo ancora imparando tanto, ogni giorno di più.
Hai un ruolo stupendo in Shaolin Soccer. La parte in cui, in porta, telefoni al tuo primo amore è sia buffa che dolce. Cosa ne pensi del film? E del tuo personaggio?
Adoro tutti i personaggi di Shaolin Soccer. Tutti i fratelli emergono, e grazie a questa particolarità Wong Yat Fei (che noi chiamiamo Big Brother) ha vinto un premio come miglior attore non protagonista.
Molte persone amano quella scena della telefonata. Penso che accada perché in quel momento non ho provato sul serio a esprimere il sentimento, e l'effetto contraddittorio è delicato ma divertente. Il film e i caratteri: non li dimenticherò mai in tutta la mia vita, perché il divertimento e la gioia provati sul set, un misto di momenti piacevoli e amari, sono davvero memorabili. E il risultato ottenuto dal film, che ha fatto ridere milioni di persone in tutto il mondo, è qualcosa di cui noi che vi abbiamo partecipato possiamo solo andare fieri!
C'è un ruolo nella tua carriera che ricordi con più piacere? C'è un film cui hai preso parte che ti piace di più?
Se dovessi scegliere un personaggio tra quelli che ho interpretato in questi anni, a parte Shaolin Soccer, prenderei il mio primo ruolo, in un film che si intitola Cream, Soda and Milk, che è il mio preferito. Vi interpreto un giovane mentalmente disadattato; in tanti dopo avermi visto recitare erano convinti che avessi davvero qualche problema mentale. E' il mio titolo favorito, insieme a Shaolin Soccer.
Ricordi qualche episodi divertente capitato sul set durante la tua carriera?
Lavorando da così tanto tempo nell'industria cinematografica potrei raccontarti decine e decine di episodi divertenti, molti dei quali assolutamente esilaranti. Preferisco però parlarti del mio soprannome, Tin Gai, che in cantonese significa «rospo». Non deriva solo dal mio cognome, Tin, ma mi è stato affibiato durante le riprese di un film, mentre ero fermo sotto un riflettore, con la luce fissa su di me. Qualcuno ha visto l'ombra riflessa e ha chiesto chi si trovasse di fronte alla luce. Quindi mi sono acquattato e l'ombra somigliava ora al profilo di una rana. Così da quel giorno mi chiamano Tin Gai, «la rana», e io ho scelto da lì il mio nome inglese, Tenky.
Nei primi anni '90 hai scelto di provare altri ruoli, lavorando non solo come attore ma anche come regista, distributore, direttore di produzione, produttore esecutivo, produttore e aiuto regista. Come mai questa scelta?
Non è propriamente negli anni '90 che ho scelto questi ruoli professionali, ma occorre risalire a qualche tempo prima, quando sono passato al mondo del cinema da quello televisivo. Mi piace cambiare posizione sul set, ma non ho mai ricevuto un'adeguata formazione professionale, per cui l'unico modo per me per imparare è direttamente mentre lavoro: ho cambiato diverse posizioni prima di trovare quella giusta. La ragione principale che mi ha spinto a provare più ruoli professionali è l'aver previsto con largo anticipo la recessione del cinema di Hong Kong, e l'aver capito che senza la necessaria capacità di adattarmi e senza particolari abilità non avrei avuto chance. Ho pensato che avrei avuto un posto garantito nell'industria se fossi riuscito a imparare cose diverse una volta entrato nel mondo dello spettacolo, per poter dimostrare al pubblico la mia forza in ruoli differenti e la mia abilità nell'adattarmi, strada facendo, ai vari sistemi di lavoro delle compagnie più disparate. Ora che la crisi è in pieno corso sono contento di essermi fatto trovare pronto e di non aver subìto l'esclusione.
Quale ruolo pensi ti si addica di più?
Se c'è un ruolo che mi calza meglio? Ti direi che ci sono diversi ruoli che mi si addicono, a seconda dei periodi. Non sono ovviamente così presuntuoso da affermare che so fare tutto, ma all'inizio pensavo che mi si confacesse meglio lavorare in prima linea, come per esempio in qualità di direttore di produzione, di aiuto regista, e così di seguito. Perché ero giovane e carico di energie. Crescendo ho cominciato a prediligere la produzione, la regia ma anche il ruolo di attore e di presentatore. Una volta maturata una certa esperienza e dopo aver acquisito le giuste conoscenze nell'industria sono fiducioso sulla mia capacità di ricoprire bene queste ultime posizioni. Ho cominciato dalle basi, dal fondo, familiarizzando gradualmente con le regole del marcato, arrivando a comprendere come funzioni il sistema, e acquisendo pian piano i contatti giusti e la fiducia della gente, in crescita giorno dopo giorno. Nel panorama cinematografico ci sarà sempre bisogno di qualcuno abile e capace.
Hai diretto tre lungometraggi, Marked for Murder (1994), Little Hero on the Run (1995) e The Future Hero (1997). Cosa mi dici di queste esperienze? Sei soddisfatto dei risultati ottenuti?
Ho partecipato a questi progetti all'inizio della mia carriera, motivo per cui non li sento completamente miei, non sono del tutto un mio lavoro. Spesso ho dovuto scendere a patti e rinunciare alle mie idee, arrivando al compromesso di accettare soluzioni sulle quali discordavo. Non ho avuto la bravura di ribaltare tante idee a mio vantaggio, per cui non posso dire che si tratti di esperienze completamente positive, che mi abbiano lasciato soddisfatto. Ma attraverso questi lavori ho imparato ad essere forte e ad impormi degli standard minimi di qualità: nel momento in cui non avessi la possibilità di alzare il livello altrui, avrei lavorato sodo per innalzare il mio! Per fare un buon film ogni cosa deve quadrare. E bisogna che tutto sia quanto più possibile vicino alla perfezione. Mi sono ripetuto spesso un motto, per incoraggiarmi: «Non è il momento giusto, per cui non accettare ogni film che ti viene proposto». E così ho fatto, non accettando più di dirigere o recitare in qualsiasi copione che mi fosse stato sottoposto, non affidandomi più al caso.
In Super Model e Dragon Reloaded hai lavorato al fianco di Vincent Kok. Com'è stato lavorare con lui? Come si è sviluppata la vostra collaborazione? Trovo che sia uno dei nomi emergenti più interessanti del cinema di Hong Kong di oggi.
Vincent Kok e io non abbiamo lavorato insieme solo in Super Model e Dragon Reloaded. La nostra prima collaborazione risale a tanti anni fa, quando lui era ancora solo uno sceneggiatore. Quando è passato a dirigere pellicole, e a ricoprire anche il ruolo di produttore, voleva qualcuno che conoscesse bene i meccanismi del cinema e della televisione attorno a lui, ma a causa del mio contratto di lavoro con Stephen Chiau non ho potuto assisterlo quanto avrei voluto. Di tanto in tanto, quando i miei impegni me lo permettono, lo aiuto molto volentieri. Tra tanti nomi dell'industria devo ammettere che Vincent ricopre un ruolo molto signficativo, lavorare con lui ha coinciso con momenti importanti perché ci capiamo e ci rispettiamo l'un l'altro. Voglio ringraziarlo perché pensa a me come prima scelta ogni qualvolta ha per le mani un lavoro.
Allo stato delle cose, a Hong Kong, un regista con così tanto talento e ricco di passione come Vincent è molto difficile da incontrare.
Ti piacciono i suoi film?
Sì, sia come spettatore che come insider del mondo dello spettacolo. Mi piacciono perché hanno un appeal commerciale, sono solidi. Da un punto di vista artistico non vorrei che si discostasse troppo da quanto sinora fatto, perché nel panorama odierno sono troppo pochi i registi capaci di coniugare esigenze commerciali ma che al tempo stesso sono in grado di far ridere la platea. I suoi film sono divertenti e sanno intrattenere il pubblico.
Cosa ne pensi della situazione attuale del cinema di Hong Kong, ancora in crisi?
Come detto prima, l'industria di Hong Kong sta ristagnando. Gli spettatori hanno ancora voglia di andare al cinema purché vi siano in cartellone dei titoli in cui possano riporre la propria fiducia. Un sacco di registi e di investitori non si pongono nei panni del pubblico quando devono mettere in cantiere un film; così facendo il pubblico pagante si sente tradito, imbrogliato, e si ricorda in maniera negativa di questi registi, di questi produttori, ma anche degli attori, portando il cinema di Hong Kong allo stato di crisi attuale. Se i filmaker e le compagnie di produzione potessero ripartire dalle basi potrebbero sfruttare l'occasione, come in passato, per riportare la cinematografia cantonese allo stato di grazia dei suoi passati giorni di gloria.
Guardando a ritroso la tua carriera hai qualche rimpianto? O qualche progetto non completato o nel cassetto in cui credevi?
Se mi guardo alle spalle non ho rimpianti, visto che di natura sono ottimista e che ho fiducia in un futuro sempre brillante, anche nei momenti meno piacevoli. Non vale mai la pena di piangersi addosso. Ci sono alcuni progetti irrealizzati... non che non potessero essere completati, la colpa è più che altro di un mercato che non era ancora pronto per loro. Nel momento in cui ho iniziato a lavorarci questi progetti mancavano del necessario talento per poter essere sviluppati nel modo migliore. Spesso si tratta di un problema di produzione: troupe mal assemblate e pochi attori all'altezza. E' il motivo per cui spendo molto tempo nel reclutare e nell'addestrare nuovi talenti, aspettando il momento giusto. Una volta giunto l'attimo giusto sarà molto più facile riprendere in mano questi progetti, di cui per scaramanzia non ti confido i dettagli, e portarli a termine.
Su cosa stai lavorando ora? Quali sono i tuoi piani per il futuro?
Ci sono tanti progetti, al momento: girare dei drammi televisivi, produrre lungometraggi per il cinema e consacrare una casa di produzione tutta mia, trovando le persone giuste - tecnici e attori - da impiegare. Sono degli impegni che richiedono molto tempo. Il prossimo passo sarà creare un'opportunità di collaborazione con capitali e investimenti stranieri, dato che il tradizionale bacino del mercato del sud est asiatico non è più sufficiente a rigenerare l'industria cinematografica hongkonghese. Per espandere il mercato occorre attrarre finanziatori e spettatori non hongkonghesi, così che il margine di crescita aumenti. Ma prima devo essere certo che la direzione in cui mi sto muovendo sia quella giusta, e conquistarmi definitivamente la fiducia sia dell'industria che dell'audience.