Herman Yau con Erica Li

Tra alti e bassi, tra produzioni rivoluzionarie e titoli dimenticabili, Herman Yau resta una cartina di tornasole indicativa dello stato di salute del cinema di Hong Kong. La sua sensibilità innata per gli svantaggiati, i reietti, i dimenticati è quanto di più lontano dalla tendenza sino-centrica a produrre blockbuster sempre più acefali nei contenuti e sempre più estrogenati negli effetti speciali. Immaginate un film come The Untold Story (1993) oggi, nell’era del politicamente corretto, e vi risulterà chiara la pregnanza del lavoro di Yau in termini di steccati abbattuti. Il suo sguardo resta puro e impavido, anche quando i dubbi morali si fanno insormontabili, là dove molti si tirerebbero indietro. Anche solo per queste ragioni oggi c'è più che mai bisogno di Herman e del suo piccolo grande cinema.

Abbiamo incontrato diverse volte Herman Yau (un'intervista a lui la potete recuperare su Il nuovo cinema di Hong Kong: voci e sguardi oltre l'handover, Bietti Heterotopia, 2014), ma l'occasione di Sara era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Un'opera fragile e vulnerabile come la sua protagonista (l'ex-Twins Charlene Choi, in uno dei suoi ruoli più ambiziosi), da osservare con attenzione nonostante i macroscopici difetti per non smarrire il filo del discorso di un (non-)autore rimasto tra i pochi a salvaguardare il cinema in lingua cantonese.

Ti sei occupato più volte del mondo della prostituzione, in Whispers and Moans (2007) prima e in True Women for Sale (2008) poi, con una comprensione e una sensibilità uniche per la prigionia di questo mondo. In Sara (2015) si nota un differente punto di vista rispetto al passato, il sesso a pagamento è il tessuto connettivo della storia ma la prospettiva di Sara è inusuale…

"In realtà questo mio soffermarmi sul tema è più una specie di coincidenza: come filmmaker trattare un argomento specifico non è solo una mia idea, è anche una questione che riguarda gli investitori. In Whispers and Moans ho trattato il tema delle professioniste del sesso in una maniera più convenzionale, attenendomi al pensiero corrente sul tema e sul loro sfruttamento. In True Women For Sale ho scelto un approccio differente, semi-documentaristico, concentrandomi su una donna della Cina continentale che sposa un uomo anziano e concepisce un figlio per poter avere il permesso di residenza a Hong Kong. Infine arriviamo a Sara, in cui la definizione di prostituzione è da interpretare ancor più in senso lato. Non penso che “prostituzione” abbia necessariamente lo stesso significato della definizione utilizzata dalle Nazioni Unite; nella nostra vita quotidiana avviene che delle donne scelgano di concedere il proprio corpo per ottenere qualcosa o per sopravvivere. È una sorta di baratto, che può riguardare il tuo corpo o la tua integrità o la tua anima, in un certo senso. Anche questo potrebbe rientrare nel termine “prostituzione” in senso lato".

Forse volevi anche sottolineare una tendenza generale della Hong Kong successiva all’handover e della sua mercificazione crescente?

"A livello di metafora ci sono riferimenti a quello che dici. La prostituzione è un concetto che riguarda il morale e l’immorale secondo i nostri standard. In Sara non do risposte da un punto di vista morale, le lascio allo spettatore. Lei vive con un uomo più anziano come se fossero marito e moglie, e gli cede il proprio corpo… Il sesso può essere uno strumento di piacere, può avere come scopo la riproduzione, ma può anche essere qualcosa da utilizzare per esercitare una sorta di possesso, non necessariamente unidirezionale. Sara cerca di sottolineare questo punto per stimolare la gente a elaborare una propria opinione e interrogarsi su questo problema".


Sara

Per Charlene Choi è stata l’interpretazione più audace della carriera, che ha richiesto un grande cambiamento rispetto ai precedenti personaggi interpretati (in genere nell’ambito delle commedie romantiche). Come è funzionata la vostra intesa, ci sono stati momenti di tensione o di difficoltà durante le riprese?

"Per lei è un film molto particolare, ma per me non esiste il concetto di convincere a fare qualcosa. Non ho bisogno di farlo, io do le mie istruzioni e lei, che è un’attrice, le esegue, ovviamente aggiungendo delle sfumature in base alla propria creatività".

La sua interpretazione ha riscosso grandi consensi e il film è stato in successo in patria. Quindi c’è ancora una richiesta e c’è ancora un pubblico per il cinema in cantonese, lontano dai blockbuster e dai budget stratosferici che sembrano dover soppiantare definitivamente il cinema di Hong Kong?

"Penso che ci sarà sempre spazio per questo. E il successo di Sara lo dimostra. Ci sono ancora molte possibilità per il cinema di Hong Kong nel suo complesso. Il mercato è molto importante e spinge in una certa direzione ma il mercato cinese non è l’unico mercato. Il cinema di Hong Kong potrebbe e dovrebbe anche guardare altrove".

Sara 3

Grazie a te o a Ann Hui sopravvive un cinema che racconta la quotidianità di Hong Kong nella lingua della quotidianità di Hong Kong, il cantonese. Ti senti orgoglioso di appartenere a questo club ristretto?

"Certamente [ride]".

Ip Man - The Final Fight (2013), pur essendo una coproduzione, incarna questo tipo di spirito cittadino, no?

"Direi di sì. E forse con Ip Man non ho ancora chiuso. C’è una parte della vita di Ip Man a cui sono molto interessato, la sua vita prima di arrivare a Hong Kong: gli anni a Foshan e poi a Macao. Furono anni drammatici per la situazione politica ed economica di quella regione, perché in quegli anni avvennero molti cambiamenti. Non è casuale che né Wilson YipWong Kar-wai con The Grandmaster (2013) abbiano colmato quel gap nella storia di Ip Man, anche perché si tratta di raccontare la guerra tra il Kuomingtang e il Partito Comunista, i torti e le ragioni da una parte e dall'altra, e non è esattamente un tema facile da affrontare oggi in Cina [ride]".

Avevi già lavorato con Simon Yam? È un attore poliedrico, che può interpretare qualunque ruolo, da Dr Lamb (Danny Lee, 1992) a Echoes of the Rainbow (Alex Law, 2010). Come mai proprio lui per Sara?

"Come direttore della fotografia ho avuto a che fare con lui in 4 o 5 film, come regista è la seconda volta che lavoro con lui. L’ho scelto innanzitutto perché caratterialmente lo trovo affine al personaggio che interpreta qui; in secondo luogo perché mette a proprio agio le attrici con cui recita, specie nelle cosiddette scene “sensibili”. Un po’ come in Ip Man - The Final Fight ho scelto Anthony Wong per non creare disagio nelle scene di combattimento. Probabilmente se avessi scelto Donnie Yen e la sua tecnica sopraffina, l’effetto non sarebbe stato quello desiderato. L’interazione tra gli attori è fondamentale per le loro performance. Per Sara se Donnie Yen mi avesse detto che lo avrebbe interpretato anche gratis avrei dovuto comunque dire di no [ride]".

 

 

(Udine, 27 aprile 2015)

 

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