Ha detto prima che non riesce a pensare a soluzioni per la situazione del cinema di Hong Kong. Provo a suggerirne una io allora: dare maggior potere alle donne. Ci sono sempre state registe di qualità sia nel cinema cinese che in quello di Hong Kong, autrici come Tang Shu Shuan, Ann Hui, Sylvia Chang, Clara Law e Mabel Cheung, ma sono sempre state troppo poche in numero e in certa misura sottovalutate o non abbastanza rispettate. Forse dare loro maggiore spazio, potrebbe incrementare qualità e quantità. Cosa ne pensa?

Non conosco molto registe cinesi, ma per quanto riguarda quelle di Hong Kong, a dire il vero, non ho mai prestato particolare attenzione al loro cinema, a eccezione di Ann Hui. Per quanto riguarda le altre nominate, hanno fatto e fanno in generale pochi film perciò le guardo raramente. Può anche darsi che i temi trattati e scelti da un film maker donna siano più delicati e che una donna possa più facilmente entrare nell’ottica di uno sguardo femminile sul mondo, rendendo il film più gentile, dolce e vicino alle emozioni del pubblico femminile. Penso che i film debbano essere vari e rispecchiare diversi punti di vista, per questo mi trovo d’accordo e penso che il ruolo delle registe sia importante e vada rispettato. Parlando in generale, però che sia un uomo o una donna, importa soltanto che il regista sia un professionista serio e capace e che possa contribuire al progresso dell’industria cinematografica. Questa è la cosa più importante.

Nel 1998, lei dichiarò: «Ben presto non esisteranno più film di Hong Kong, ma film di talentuosi registi di Hong Kong sparsi in giro per il mondo». Quindici anni dopo quella dichiarazione è ancora della stessa idea?

Non ricordo esattamente il contesto in cui dichiarai quella frase, ma ricordo di aver detto che i registi di Hong Kong più talentuosi avrebbero trovato nuove strade nel mondo. Anche se potrei aver detto che non ci sarebbero stati più film di Hong Kong, penso di sapere il motivo. Probabilmente a causa del declino del cinema di Hong Kong, il numero di film di si ridusse da 200 all’anno a 100 e finanche 50 all'anno. Conosco molto bene la gente di Hong Kong e so che è molto ambiziosa e quando ha qualche problema, se ne va in un altro posto. Molte persone sono infatti emigrate nel 1997. Più o meno a quel tempo lavoravo in una società chiamata UFO (United Filmmakers Organizations) con 5 soci, tra cui Peter Chan, Chi-Ngai Lee, e Ruan Shisheng. Tuttavia la società si sciolse, perché perdemmo la fiducia di poter girare film a Hong Kong. Dopo di che, Peter Chan andò in America a girare The Love Letter, Chi-Ngai Lee girò Sleepless Town in Giappone, e io stessi girai Intimates tra Hong Kong e la Cina. Intimates Girare film in Hong Kong stava diventando estremamente difficile, però avemmo tutti la stessa idea che non avremmo finito la nostra carriera cinematografica in quel modo e che se non avessimo potuto avere chance a Hong Kong, saremmo andati in un altro posto per avere le nostre opportunità. In realtà sono tornato in Cina per girare film in location, perché il regista Hsin-Yan Chang ebbe un infarto e fu costretto al riposo, girai alcuni film per lui e lavorai con il personale locale. Mi piacque molto quell’opportunità di lavoro perché gli uomini della troupe lavoravano all’unisono intendendosi perfettamente, anche se provenivano da luoghi diversi e parlavano lingue diverse.

Mi sentii veramente in Cina, quando ebbi a lavorare con loro. Il sogno di Peter Chan era l'America, così andò in America. Altri cineasti di Hong presero Hollywood come obiettivo, tra cui Chen Kaige, Ringo Lam e Tsui Hark; andarono tutti lì. Ognuno aveva un bersaglio diverso, ma tutti lasciarono Hong Kong. Quando gli investimenti di Hong Kong cominciarono a scarseggiare e il cinema entrò in declino, mentre il mercato diventava sempre più piccolo, molti andarono in altri luoghi per cercare il loro spazio vitale. Pertanto, fintanto che i registi talentuosi non si arrenderanno, sapranno sicuramente trovare il loro futuro. Finché conserveranno e preserveranno il loro talento, troveranno il loro spazio vitale. Credo che sia vero parlando del cinema e dei registi di Hong Kong. A quindici anni di distanza posso comunque affermare di aver fatto una previsione sbagliata (ride). Ci sono ancora film girati a Hong Kong e ci sono stati molti film girati nel 2013, sebbene il numero si mantenga sui 50 o 60 all’anno. Credo che, a meno che non vengano improvvisamente a mancare film-maker o storie da raccontare, il cinema di Hong Kong continuerà a esistere e ogni regione continuerà ad avere film caratteristici che raccontano la storia della propria terra.

Lei parla di regioni e culture regionali, ma oggigiorno i registi di Hong Kong avrebbero la possibilità di attingere a risorse in tutta l’Asia per creare film panasiatici con budget ed elementi produttivi migliori, se solo fosse però possibile superare le barriere linguistiche. Pensa che questo sia possibile? E, in particolare, cosa pensa della scomparsa del cinema cantonese a favore di quello in mandarino?

Provenendo da Hong Kong, parlare il mandarino scredita la mia prestazione, figuriamoci quando tutti i dialoghi di un film sono in mandarino. Naturalmente, i dialoghi possono essere in cantonese, che è per me più adatto per promuovere il film e il suo significato. Il mio mandarino non è molto buono. Se i dialoghi sono in mandarino, trovo difficile mostrare i vari stili di vita e i diversi modi di parlare. I dialoghi dei film hanno bisogno di molto di più tecnica di quanto io possa offrire parlando in una lingua che non mi appartiene del tutto. Hong Kong non è così grande nel sud est asiatico. E il mercato per i film cantonesi è piccolo, anche includendo il Guangzhou. Qualcuno una volta mi ha chiesto: perché non te ne vai in America a fare film? Ci sono così tanti registi che correrebbero pur di andare lì, ma non io. Penso sia a causa del mio scarso inglese. E qui trovo anche uno stile di vita e un umorismo che sono elementi per me fondamentali per comunicare con il mio pubblico. A mio parere, spero che i film con dialoghi in cantonese diventino più popolari in Asia. Per rispondere alla sua domanda su un film panasiatico devo dire che molte volte i registi cinesi o di Hong Kong hanno cercato di ovviare al problema, utilizzando le azioni invece dei dialoghi per comunicare con il pubblico.

I monologhi e dialoghi però restano estremamente importanti per illustrare le idee dei registi e possono anche svolgere un ruolo correttivo, se una performance non è esaltante o se le azioni non sono abbastanza chiare. Per il pubblico ordinario, un film come The Gods Must Be Crazy capita una volta ogni 20 anni. E bisogna aspettare 30 o 40 anni per vedere un film come To Live o un film senza dialoghi. Abbiamo quindi bisogno di una lingua parlata ampiamente in gran parte dell’Asia se vogliamo girare un film che diventi popolare. Da cinese, penso che sia probabile che il mandarino possa essere promosso nelle regioni Panasiatiche. La Cina ha 1,3 miliardi di persone che formano un grande mercato per l'industria cinematografica, ma il mercato è contenuto e raramente si proiettano film cinesi al di fuori della Cina. Dovremmo riflettere però su un altro problema: il valore di un film risiede sul riconoscimento del pubblico per i pensieri, le storie, l’amore, i sentimenti e la cultura invece che sulla dimensione del mercato. Dovremmo concentrarci sul contenuto dei film invece che sull’appetibilità del mercato o sulle lingue utilizzate.

Grazie per il suo tempo. In conclusione le vorremmo fare un’ultima domanda. Lei partecipa a questo Festival cinematografico in veste di giurato per la sezione «Giovani Talenti». Che consigli potrebbe dare quindi ai giovani film-maker desiderosi di seguire i suoi passi?

Direi che se si vuol diventare un regista, uno sceneggiatore o un attore cinematografico, è necessario sapere con chiarezza che cosa si sta perseguendo e ciò che si desidera condividere con il pubblico. Se si pensa di poter diventare ricchi e famosi facendo i registi, è meglio non provarci nemmeno. Per quanto mi riguarda, la maggior parte dei registi che conosco sono molto coscienziosi ma poco conosciuti. Il cinema è comunque come una relazione d’amore. Quando si ama qualcuno si dovrebbe sapere perché si ama il proprio partner, per esser un buon amante. Il film è per me come una linfa vitale. Sono diventato regista nel 1981 e fino ad oggi, sono ancora nel campo cinematografico e conto sulla mia professione per guadagnarmi da vivere e mantenere la mia famiglia e i miei viaggi. I film mi hanno accompagnato per più della metà della mia vita. Non posso vivere senza il cinema. Il cinema è fatto di film e i film sono composti da varie storie. Come regista, io sono il narratore di tali storie. Racconto le storie per il mio pubblico e a modo mio e sono responsabile per la loro qualità e il loro contenuto.

 

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