Sei rimasto fedele alla storia vera?
È esattamente la stessa storia, con alcune piccole modifiche. E, in minima parte, romanzata per esigenze drammaturgiche. La vera coppia, ad esempio, non era separata. Abbiamo deciso, con lo sceneggiatore Zhang Ji, che doveva esserci una maggior varietà di coppie, come ci si aspetta dallo stile di vita delle grandi città cinesi come Shenzhen o Pechino. Quando ti trasferisci in una metropoli, ti rendi conto che i tuoi sogni sono diversi. E questo illustra ancora meglio le caratteristiche della middle class che si sta sviluppando.
L’episodio della richiesta di un certificato di morte per il figlio scomparso per avere un nuovo certificato di nascita - che nel film viene rivolta a una coppia dell’associazione dei genitori di bambini scomparsi - è capitato davvero ai personaggi principali coinvolti nella vicenda. Diciamo che l’ho diviso in più parti e ne ho distribuito i pezzi lungo la narrazione. Per quanto sappiamo, poi, la madre adottiva non conosceva effettivamente nulla della vera origine dei bambini. Rimane ignota ad esempio quella della figliastra: quasi sicuramente era una bambina abbandonata, perché l’abbandono di una figlia femmina è piuttosto comune in Cina per la politica del figlio unico, in quanto una figlia impedisce di avere un altro figlio maschio. La bambina, nell’incertezza, viene portata via perché quella rimaneva comunque una famiglia di rapitori. Certo, la donna andava a trovare la figliastra molto spesso all’orfanotrofio, ed è vero che poi si scopre incinta. Così molti hanno interpretato questa situazione come un segnale di speranza. Ma come si può anche solo pensare che quella gravidanza sia una speranza? Pensavo rientrasse in una mentalità cinese una lettura in tal senso. Sono cinese, ma non sono quel tipo di cinese - e tra l’altro sono nato a Bangkok. Ma poi mi sono reso conto che è un’interpretazione che hanno dato anche altri di diversa nazionalità vedendo il film.
Ciò che importa è il tempo che si passa con un figlio: che sia da genitori biologici o meno, per me è completamente irrilevante. Anch’io sono un padre, e non sono riuscito a entrare in sintonia con mia figlia prima dei suoi tre anni. Forse è qualcosa che mi è capitato perché sono suo padre e non sua madre, per la quale questo tipo di relazione è probabilmente più naturale.
Nel film volevi inserire anche elementi di denuncia di una piaga come quella della compravendita di bambini in Cina?
Si tratta in effetti di un problema sociale rilevante, che conta 50.000 casi all’anno. Un dato che naturalmente va rapportato con le dimensioni demografiche del paese. Il traffico di bambini è un crimine perseguibile penalmente, ma solo per i trafficanti, non per chi compra i bambini. Questo credo che sia il vero problema, perché, come dice un personaggio nel film, se c’è qualcuno che vende è perché c’è qualcun altro che vuole comprare. In Cina la psicosi del rapimento di un figlio è molto forte. Anche le mie attrici erano molto spaventate nel lavorare a questa storia. In Cina devi guardarti alle spalle ogni giorno. Il mercato clandestino principale non è quello del traffico d’organi, ma quello del traffico di bambini. Che nasce dalle famiglie delle aree rurali che cercano dei figli. Famiglie che magari hanno già una figlia, e per la politica del figlio unico non possono fare richiesta per averne uno maschio, e dunque si rivolgono a questo mercato. Inoltre, secondo la tradizione cinese buddhista, quando si muore è il figlio maschio a portare le tue ceneri, in una specie di continuità simbolica.
In Dearest mantieni un perfetto equilibrio tra cinema di genere e cinema sociale. Racconti un fatto di cronaca con grande afflato e senso narrativo. Come hai lavorato per raggiungere questa armonia?
Io non voglio presentare il mio come un film di denuncia. Ero solo stato attratto e commosso da questa storia incredibile, è qualcosa che uno scrittore di fiction non sarebbe stato capace di concepire. Una volta scelta la storia ci abbiamo lavorato, aggiungendo diversi livelli di lettura. Alla fine è probabilmente il mio film con una maggiore presa di coscienza sociale, nonostante abbia tentato di non farne un film sociale. Penso che quello che mi ha veramente attratto, al di là della storia, delle emozioni e dell’effetto che questa ha avuto su di me, è che sia dotata di una struttura davvero unica, che permette un ribaltamento di prospettiva. Lo spettatore si trova così a dover cambiare punto di vista morale.
Ci sono scene in cui cerco di non esprimere giudizi su nessuno. Per esempio, in quella ambientata alla stazione dei bus, dove la madre adottiva viene quasi linciata, ho ritratto i genitori dei figli scomparsi come personaggi davvero patetici, delle vittime. E, con il cambio di prospettiva, vediamo riproposta la stessa dinamica che si era vista precedentemente con i contadini del villaggio che inseguivano la coppia che si riprendeva il bambino legittimo. Ho rappresentato gli abitanti del villaggio in uno stato di isteria, ma si tratta di un’isteria comprensibile. Questo tipo di personaggi esiste davvero, anche se magari qualche dettaglio è stato esagerato.
Avete incontrato i veri protagonisti della storia. Com’è stato il loro confronto con gli attori che li avrebbero interpretati?
È stata abbastanza dura. I genitori dei figli rapiti volevano sempre parlare di questi ultimi, che ancora stanno cercando. Uno dei padri mi ha anche chiesto se alla fine del film potessi mostrare la foto di suo figlio, nel caso qualcuno degli spettatori lo riconoscesse.
I personaggi femminili nel film sono più forti degli uomini. È una tua scelta o è la situazione reale che hai raccontato?
È la realtà della storia che ho raccontato. È qualcosa di cui non ero completamente consapevole. È strano come, a volte, capiti di scoprire il proprio film mentre lo si sta girando. In particolare, penso al personaggio della matrigna del villaggio, quando alla fine si accorge di essere incinta. Avendo vissuto in una realtà rurale dove la donna è valutata per la sua capacità di dare figli, immaginate che tipo di vita può aver avuto, essendo stata considerata sterile sino a quel momento. E alla fine, di fronte alla scoperta della sterilità del marito, ha quella reazione disperata che ho mostrato nel film. Questa è stata la storia delle donne cinesi per migliaia di anni, non è solo una storia contemporanea.