The ReturningSolo una regia magistrale può rendere interessante un horror accademico dove non succede praticamente nulla. The Returning deve tutte le sue fortune alle grandi capacità di Jacob Cheung. La storia è schematica, ma non è un difetto se, come accade, l'autore sa giocare sul non detto e sul non visto per creare un'atmosfera rarefatta e perennemente sul punto di esplodere, degna dei migliori gotici occidentali. Gli ingredienti al fuoco e la sensibilità degli artefici (nomi grossi, per giunta) guardano a destra e a sinistra, senza imbarazzi, ispirandosi tanto al Kubrick di Shining che al miglior Polanski (L'inquilino del terzo piano, Rosemary's Baby), senza escludere dall'elenco delle fonti il seminale The Imp di Dennis Yu e la letteratura popolare spiritica cinese.

Qui il fantasma - vero o presunto: fino alla fine l'incertezza tra inquietudini da psicopatologia e abbandono al soprannaturale regna sovrana - è quello di una scrittrice morta nel 1949. Alla sua figura è interessato un editore che coltiva l'ambizioso progetto di curare una serie di ristampe delle sue opere. Spinto dalla sua passione ai limiti della morbosità, l'uomo si trasferisce nella vecchia casa della defunta, in compagnia della fidanzata che, scoprirà più avanti, le somiglia terribilmente.
La messa in scena è poderosa e sontuosa, a tratti alta e fiammeggiante, soprattutto nei vertici melodrammatici della coppia che rischia continuamente di sfaldarsi e di allargarsi a triangolo (addirittura a quadrilatero quando entra in scena Sandra Ng, eccellente). Lo stile ricco e mai eccessivo di Cheung domina costantemente. Spalleggiato da una fotografia scura e da una colonna sonora suggestiva che utilizza archi e sintetizzatori - e che ripete all'infinito le dolci melodie di Waiting for Your Return di Bai Guang -, il regista si abbandona con tutto se stesso agli ampi movimenti della macchina da presa, che gira ovunque, esplorando lo scenario in ogni angolo, per riprendere al meglio le angosce racchiuse nell'antica magione. Vera protagonista insieme agli interpreti è proprio la casa: luogo del delitto, del mistero, carico di pathos, di rumori, apparizioni. Interamente basata su percezioni, stati d'animo, piccole paure irrazionali e flebili sensazioni, la pellicola vive e muore con i suoi interpreti principali, splendidi nel muoversi insieme alla camera, rispettandone il ritmo e adattandosi alle sue esigenze. Wu Chien-lien e Tony Leung Chiu-wai sopportano da soli gran parte del peso del film, rimanendo in scena oltre il tempo limite e evitando che l'assenza di comprimari e di dialoghi faccia calare l'attenzione sotto il livello di guardia. Si rischia di scoprire il gioco di teatralità e finzione evidenti, ma basta uno sguardo appassionato per rientrare nei ranghi e tornare a sognare la realtà che non c'è.



Hong Kong, 1994
Regia: Jacob Cheung
Soggetto: Peter Chan, Lee Chi-ngai
Sceneggiatura: Raymond To, Lee Chi-ngai, Jacob Cheung
Cast: Tony Leung Chiu-wai, Wu Chien-lien, Sandra Ng, Fredric Mao, Joe Cheung

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