The God of CookeryChow, che ama farsi chiamare God of Cookery, è uno chef a capo di un impero a base di instant noodles e cibo preconfezionato; ma al di là delle apparenze geniali è un burbero schiavista che sfrutta il talento di cuochi giovani. Uno di questi, Bull Tong, stufo di rimanere in silenzio nell'ombra, ridicolizza in pubblico il maestro che, sconvolto dalla vergogna, scompare. Ritornerà in incognito nei bassifondi, frequentando una schiera di venditori ambulanti, che aiuterà ad arricchirsi ideando con loro un prodotto vincente, le Explosive Pissing Beef Balls. Ritrovato il successo e il rivale, ormai a capo del suo vecchio impero, Stephen viene sfidato a una gara culinaria che assegni lo scettro di dio della cucina.
Con The God of Cookery Stephen Chiau compie l'ultimo passo verso la consacrazione della propria personalità artistica: il definitivo approdo alla regia, condivisa con il fidato Lee Lik-chi come in From Beijing with Love, si sposa con la maturazione dell'attore capace di limitare la quantità e migliorare la qualità delle proprie apparizioni. A poco meno di un anno di distanza da Forbidden City Cop, la farsa si fa introspettiva, pone questioni morali non indifferenti e intavola una satira sociale sul denaro e i rapporti impari di lavoro. Chiau non rinuncia a mettere alla berlina miti comuni, cinematografici - 18 Bronzemen, Bruce Lee, Michael Hui (di cui riprende il personaggio tipo, il capetto sbruffone ridimensionato), God of Gamblers (e King of Beggars: da cui ruba l'idea della prova di bravura): tutto sulla stessa lunghezza d'onda, spettacolarizzata all'ennesima potenza, di The Chinese Feast di Tsui Hark - e non - la televisione, i noodles, i fast food, le gare di cucina -, con la prepotenza, e per contrappasso con l'efficacia comica, di un elefante in un negozio di cristalli1. Tutto sommato, si può dare ragione a chi lo definisce un film sui media (e sulla cultura pop) e non (solo) sull'universo culinario cinese: le esagerazioni da manga, le coreografie spettacolari, la bravura degli interpreti - in special modo Vincent Kok e Karen Mok -, la demenzialità di piatti e ricette sono splendidi orpelli che mascherano le velleità ironico-caricaturali. Jim Carrey ne ha acquisito i diritti per farne un remake americano: annunciato ai quattro venti, il progetto pare ormai definitivamente naufragato.

Note:
1. «L'ego di Chiau si espande in misura direttamente proporzionale alla imprevidibilità del suo cinema»: Alberto Pezzotta in Tutto il cinema di Hong Kong (Baldini & Castoldi, 1999) sottolinea anche il «ritmo impazzito, sempre tra virgolette, attraversando una varietà di generi [...] con una competenza e uno spirito innovativo che vanno al di là della parodia parassitaria».

Hong Kong, 1996
Regia: Stephen Chiau, Lee Lik-chi
Soggetto / Sceneggiatura: Tsang Kan-cheung, Stephen Chiau, Vincent Kok, Liu Man Sang
Cast: Stephen Chiau, Karen Mok, Ng Man Tat, Tats Lau, Vincent Kok