Le radici di My Life as a McDull sono da far risalire all'incontro tra Brian Tse, scrittore, e i disegni essenziali e teneri di Alice Mak, nel 1991. I due collaborano alla creazione di una striscia, McMug, che in seguito, visto il successo, venne fatta confluire in una rivista tutta sua, Yellow Bus. In un brevissimo arco di tempo McMug e la sua scanzonata combricola invadono Hong Kong con una serie di gadget e spin off paragonabile per vastità alla sola Hello Kitty. Questa sovraesposizione garantisce la visibilità necessaria per tentare una strada mai sperimentata prima nell'ex-colonia britannica; una serie televisiva interamente autoctona, prodotta e disegnata a Hong Kong (siamo nel 1997). A dirigerla viene chiamato proprio Toe Yuen, specializzato in animazione al computer e con al suo attivo diversi cortometraggi. E' proprio in questo modo che Yuen ha la possibilità in primo luogo di familiarizzare con i personaggi e in seconda istanza di iniziare l'opera di sperimentazione culminante nel presente lungometraggio. My Life as a McDull è infatti un concentrato di diverse tecniche, integrate con intelligenza e sfrontatezza in un'amalgama denso e innovativo, suggestivo nelle atmosfere liminali che riesce a ricreare. Disegno classico, computer grafica, plastilina e persino riprese dal vivo si rincorrono per tutta la durata del film, inanellandosi e confondendosi in un unicuum difficilmente scindibile. Se tutto il progetto si riducesse però a una sterile sommatoria di diverse tecniche, saremmo di fronte a un ben misero tentativo; la sorpresa è allora una storia intelligente, leggera, poetica, narrata con sapienza e disincanto, capace di far regredire gli adulti in un limbo privo di età, al contempo rimanendo perfettamente comprensibile ai più piccoli. La grammatica utilizzata, nel libero concatenamento delle diverse situazioni, è infatti un connubio di sottile infantilismo e disarmante cattiveria. La trama, pretesto minimo per trascinare l'incredibile vis comunicandi di McDull e soci su grande schermo, parte dalla nascita di McDull seguendolo fino a una sorta di maturazione forzata. Dapprima è McBing, la madre, in sala parto, che credendo di vedere un disco volante (in realtà un vasino rosso ruotante per aria!), chiama il figlio Dull (ottuso) in un impeto di modestia. E tale sarà McDull, tenero e vagamente imbranato. Conosceremo i suoi sogni (un viaggio alle Maldive, che la madre inopinatamente gli promette quando lui si ammala, dovendo poi inventarsele letteralmente sotto casa per mantenere fede alla parola data), la sua vita quotidiana (la scuola, diretta da un preside smemorato, con la voce di Anthony Wong), la sua determinazione (si mette in testa di partecipare alle Olimpiadi riportando in auge lo sport nazionale hongkonghese, ormai dimenticato, il bun-snatching, seguendo un terribile maestro baffuto).
Tra accenti filosofici e autentiche cattiverie (McBing racconta al figlio delle favole della buona notte il cui finale è invariabilmente la morte del bambino), My Life as a McDull è una scoperta inebriante, una boccata d'ossigeno nel mare di mediocrità della maggioranza delle commedie contemporanee. Non un capolavoro, purtroppo, ché delle sbavature s'intravedono tra le righe, sommandosi a qualche ripetizione di troppo, ma comunque un'esperimento che si spera avrà dei seguiti.
Hong Kong, 2001
Regia: Toe Yuen
Soggetto / Sceneggiatura: Brian Tse
My Life as a McDull
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- Scritto da Stefano Locati
- Categoria: FILM