In una Shanghai dall'aspetto ancora abbastanza rurale, un anziano maestro di scuola in pensione passa le giornate dando fastidio alla poliziotta di quartiere e facendo apposta un sacco di disordine in casa per far tornare motivatamente una giovane parente a prendersi cura di lui. Un bel giorno però arriva il nipote pre-adolescente, scaricato dai genitori americanizzati che si trovano momentanemente in Europa per un corso di aggiornamento. L'impatto non è dei migliori: il ragazzino non solo è spiccatamente statunitense, dalla lingua parlata al vestiario, ma è anche alquanto scostante e viziato. Troverà da solo la strada per la cooperazione con i curiosi cinesi socialisti e per il recupero dell'affetto del nonno.
Un po' brutto e un po' bello questo film di Ann Hui, che ambiziosa, fassbinderiana e tenacissima, sembra però spesso perdersi per strada volendo imporsi uno stile volutamente freddo ed essenziale, ma indulgendo in drammatizzazioni dalla lacrima facile. Il risultato purtroppo, in più di un caso, è un qualcosa di mal amalgamato, tra il noioso e il melenso. Per esempio in My American Grandson la rappresentazione della vita di città nella Cina socialista è perfetta, sebbene molto standard: la ginnastica al mattino, i vecchi palazzi patrizi pensati per una sola famiglia e divisi alla meno peggio in pressati accampamenti umani poco decorosi, i vicini di casa origlianti, curiosi, giudicanti e spioni, e la vita scolastica dei bambini, a casa condannati a ricalcare e riempire all'infinito le formine con gli elementi grafici dei caratteri cinesi, e in classe costretti a stare col fazzolettino rosso al collo e le braccia dietro la schiena, a leggere favolette mitologico-cretine sugli eroi della grande Cina socialista (in cui il buon senso c'era, ma era mascherato in trame grossolane, perché Mao Tse Tung in fondo si sentiva aristocratico dentro, e credeva che la plebaglia andasse istruita con trucchetti dialettici, fatti linguaggi e contenuti popolari altamente idioti...). Il ragazzino, in giubbotto, jeans, skate-board e walkman giustamente si sente spaesato e protesta, e un bel momento è quando contesta apertamente davanti al direttore della scuola un compito nel quale c'è la storia di un uomo gettatosi nel fuoco per salvare della gente: un esempio così non può veramente essere istruttivo per un bambino, è semplice fantasia di propaganda, dal momento che un bambino non può niente contro un incendio. Un altro bel momento è quando il nonno lo porta a fare la fila ai bagni pubblici, sudici e intasati di gente. C'è insomma un minimo di critica al sistema socialista e alla sua arretratezza. Però anche l'americanità del piccolo nipote viene messa in discussione, come eccessiva e ridimensionabile. Tutta la parte della rinnovata amicizia tra nonno e bambino è molto molto buona, ed è un peccato che duri poco, quasi quanto un videoclip. Meno buoni invece certi episodi inverosimili e pesanti, come quello del semi-annegamento, della famigliola di campagna che generosamente sfama, veste e quasi adotta il ragazzino fuggiasco, e per ultimo il pianto notturno nelle braccia del nonno, totalmente imbarazzante. Ottimo Wu Ma nei panni del nonno, mediocre Wong Kwan Yuen nei panni del bambino, e irrilevante Carina Lau, che si limita a comparire di tanto in tanto. My American Grandson non è che un filmetto, e non c'è niente da guadagnare e niente da perderci, a vederlo.
Hong Kong, Taiwan, 1991
Regia: Ann Hui
Soggetto / Sceneggiatura: Wu Nien-jen
Cast: Wu Ma, Wong Kwan Yuen, Wang Lai, Carina Lau, Suen Pang
My American Grandson
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- Scritto da Valentina Verrocchio
- Categoria: FILM