Ip ManDi Wilson Yip si ricorda sempre con piacere la doppietta che, alla svolta del millennio, lo portò alla ribalta del cinema hongkonghese: Bullets Over Summer e Juliet in Love. Due storie dolorose di persone, più che di semplici personaggi, e dell’ambiente in cui muovono i loro passi. Nello sguardo di Yip, crudeltà del destino e umanità dei suoi protagonisti venivano messi di fronte l’una all’altra, e il cinema cantonese sembrava ritornare a conciliare il racconto di genere con quello dell’individuo.

Poi, tante produzioni al soldo altrui avevano fatto rientrare il regista nel rango degli artigiani della macchina da presa, sempre un po’ bistrattati anche a dispetto del loro successo di pubblico. Una svolta nella carriera di Yip arriva con Sha Po Lang, quando il nostro inaugura la collaborazione con Donnie Yen e insieme i due si fanno carico di rivitalizzare il cinema d’azione, un tempo fiore all’occhiello di tutta la cinematografia dell’ex-colonia e poi un poco perso per strada dopo l’handover. E bisogna dire che la coppia Yip-Yen in questo è riuscita a sfornare grossi risultati, coniugando noir, triad movie e arti marziali in modo efficace e spettacolare, pur riducendo al minimo trucchi e orpelli di grafica computerizzata che già avevano allontanato il pubblico di settore più tradizionale.
Ip Man è il frutto ultimo di questa rinascita, e stavolta non si tratta di un film d’azione con scene di combattimento (come erano stati SPL e Flash Point), ma di un vero e proprio film di arti marziali, un film dedicato alla disciplina e allo stile.

Ip ManSulla scia di opere ora più ora meno biografiche come Fong Say Yuk e Fearless, Ip Man parte dalle vicende della vita del maestro di wing chun omonimo, alla cui scuola si formò per un periodo anche Bruce Lee, e porta sullo schermo la Cina degli anni ’30 e ’40, quella dell’occupazione nipponica, nella cornice (parecchio) romanzata della storia di un uomo che viene dipinto come figura quasi mitica ed eroe nazionale.
Nella cittadina di Foshan, famosa per le sue numerose scuole di arti marziali, l’aristocratico e placido Ip Man (Donnie Yen) è considerato da tutti il migliore tra i sifu del posto. Il suo wing chun, una disciplina tramandata da una fondatrice donna, fonde forza e grazia tanto che nessuno, nemmeno un brutale avversario come il Jin Shan Zhao di Louis Fan Siu-wong, può resistergli o mettere in discussione il suo primato. Gli anni trenta a Foshan sono un periodo di crescita: nuove attività industriali e commerciali crescono in numero e dimensioni, tra le quali quella dell’amico di Ip Man, il Zhou Qing Quan di Simon Yam. Ma i tempi duri della guerra e dell’occupazione giapponese arrivano a togliere la serenità e a portare la tragedia nei confini della città. E’ proprio allora che Ip Man, che si era sempre rifiutato di insegnare il kung fu, davanti alla ferocia dei giapponesi e alla prostrazione dei suoi compaesani, mette in discussione le sue scelte e il suo sguardo sulla vita, e da spettatore che avrebbe preferito essere, per indole e formazione - viene spinto nell’arena dal dramma della guerra; impara allora cos’è la rabbia e intraprende quella strada che porterà al riscatto per se e per il suo popolo oppresso.
Film di arti marziali, si diceva, questo Ip Man, che dosa bene sviluppo narrativo e scontri, a mani nude o armati, con uno o con più avversari: un repertorio ideale per le pressoché perfette coreografie di Sammo Hung e per la regia misurata e pungente di Yip, che lascia in secondo piano lo spettacolo dell'azione pura e adrenalinica (l'ultima mezz'ora di Flash Point) e permettere la contemplazione dell'eleganza e dello stile di un Donnie Yen, per una volta misurato e calzato a pennello nei panni del giovane Ip Man. E la scelta di una regia piana e semplice si ripercuote anche al di fuori delle scene di combattimento ora tambureggianti ora eleganti, dove l'orchestra suona una musica da camera che si caratterizza per l'attenzione ai particolari e alle scenografie, ma senza farsi mancare quel filo di straniante ironia quotidiana che Wilson Yip ha nelle corde sin dagli esordi. Le uniche perplessità suscitate dal film sono legate a una sceneggiatura che tocca spesso i topoi del gongfupian hongkonghese e non si risparmia parti fin troppo retoriche, cosa che, se da un lato lo lega a una tradizione consolidata e omaggiata, dall'altro risulta in un insieme che - pur avendo le carte in regola per portare un passo avanti un genere cinematografico non visitato spesso negli ultimi tempi - non si distingue per quell'originalità e mordente richiesti ai capolavori del genere. Nonostante ciò, l'atmosfera, la qualità di regia e coreografie e la prova di Donnie Yen (e non solo al menar di mani) valgono a fare di Ip Man uno dei migliori gongfupian puri degli ultimi 20 anni; pare poco?

 

Hong Kong, 2008
Regia: Wilson Yip
Soggetto/Sceneggiatura: Edmond Wong
Cast: Donnie Yen, Simon Yam, Fan Siu-wong, Lam Ka Tung, Wong You-nam



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