Il cinema di Hong Kong torna a riflettere sulla leggerezza di una storia d’amore che tra alti e bassi esplora vita, morte e miracoli di una coppia di giovani (potenziali) amanti. Delicato e disincantato, I’ll Call You, esordio dietro la macchina da presa di Lam Tze-chung, conquista.
Premessa: siano lodati gli artefici del progetto Focus First Cuts, in primis il mecenate Andy Lau. Questi non è solo il più famoso attore oggi a Hong Kong ma anche il boss della Focus Films, che ha messo in cantiere una serie di lungometraggi in alta definizione digitale (HD) coinvolgendo una serie di promettenti registi emergenti del panorama panasiatico. Spulciando tra i vari prescelti, nessuno avrebbe puntato un dollaro - di Hong Kong, naturalmente - sul poco noto Lam Tze-chung. Il quale, nonostante abbia conosciuto un po’ di fama nel ruolo del giocatore di calcio ciccione e bonario di Shaolin Soccer di Stephen Chiau, ha in realtà alle spalle un curriculum di tutto rispetto, avendo fatto gavetta a non finire tra apprendistato televisivo e scuole di cinema, dove ha imparato l’arte della sceneggiatura.
I’ll Call You è un ipotetico ritratto della moderna vena sentimentale che gli innocenti post-adolescenti cantonesi ancora conservano. Al pari di Cocktail (2006), di Herman Yau e Chin Long, la pellicola sviscera un universo romantico tragicomico nel quale non stonano, convivendo, paradigmi sentimentali e paradossi demenziali. La relazione appena abbozzata tra due ragazzotti poco più che ventenni (lui impacciato impiegato, lei conduttrice televisiva alle prime armi) è solo una scusa per mostrarci quel che resta oggi dei vari mélo di un tempo, scandendo i ritmi nella salsa agrodolce e nel peperoncino piccante tipici della cucina nonché della cultura del sud della Cina. Hong Kong rimane così una cartolina illuminata a giorno anche di notte, un’eterna contrapposizione – postmoderna si soleva dire un tempo – tra progresso e anticaglie, tra passati rituali di timidi corteggiamenti in punta di piedi, degni di registi anni sessanta quali Chor Yuen o Chun Kim, e il modernismo degli effetti speciali a metà tra kitsch e genialità videoludica.
Lam Tze-chung, si badi bene, è un gran marpione e sa dosare tutti gli ingredienti con perizia invidiabile: fa sorridere con metafore stralunate (l’amore come una prigione, da cui fuggire significa liberarsi di un’ossessione formato femminile), commuove con momenti intensi, cita senza ritegno, sfruttando per esempio l’icona nazionale Andy Lau con un improbabile costume da culturista - a chi non ricorda il suo make-up in Running On Karma? - e un animo romantico da stornellatore d’antan. Perdipiù l’immaturo proto-autore ha una fortuna sfacciata dalla sua, quella del principiante probabilmente, visto che azzecca dal nulla due volti nuovi (un ex nuotatore professionista e una modella di spot pubblicitari che passano sui tram) che, senza essere né particolarmente belli né particolarmente bravi, colpiscono e rimangono impressi. Verosimilmente perché sono facce amichevoli, simpatiche, carine e soprattutto acqua e sapone, in cui riconoscersi è un vero piacere. I loro tormenti affettuosi, i loro incontri appassionati, i loro primi passi sono quelli di chiunque altro, per cui il processo di identificazione è immediato: a chi infatti non è capitato di conoscere qualcuno in un bar, di scambiarsi il numero di telefono e di suggellare un ideale accordo, salutandosi, alla fatidica promessa del «Ti chiamo?».
Ecco allora che quando torna a parlare con personalità, tecnica e professionalità di argomenti e persone normali, comuni, medie, schiette rappresentazioni dell’usualità, anche noiosa ma pur sempre realtà, il cinema di Hong Kong recupera lo smalto di un tempo e passa l’esame a pieni voti. In attesa del bis.
Hong Kong, 2006
Regia: Lam Tze-chung
Soggetto / Sceneggiatura: Lam Tze-chung
Cast: Alex Fong Lik-sun, Viann Leung, Gordon Lam, Chan Kwok-kwan, Macy Chan