Si torna alla tradizione dei cops & robbers sporchi e alla deriva di matrice cantonese, in cui poliziotti e criminali sono metafora dell'uomo comune medio alle prese con le complicate e non manichee scelte della vita. La formula è rinvigorita da una sceneggiatura che affastella intrecci e depistaggi, infilando una sequenza di personaggi borderline e una raffica di misteri che affluiscono nel finale.
Niente spazio per il superomismo squadrista dispiegato nel precedente The Sniper (2009), che si inscriveva nel filone dei gruppi speciali di polizia tanto caro a Dante Lam, fin dall'esordio con Option Zero (1997) e filo rosso con il mentore Gordon Chan di The Final Option (1994). Quel film, pur tormentato da problemi produttivi di ogni sorta, aveva parecchio da farsi perdonare, nella sua roboante inutilità, tanto da far pensare a una repentina, drastica involuzione dopo il furente, per quanto furbo, Beast Stalker (2008). Per fortuna Fire of Conscience parte dai personaggi e dalle loro relazioni, costruendo fin dal ricercato incipit un precario equilibrio tra estro visivo e sfrontatezza della messa in scena.
Il prologo, sfoggio di tecnica non del tutto fine a se stesso, compone dei frame tridimensionali liberamente navigabili dalla macchina da presa, introducendo ai tre principali casi e stabilendo il mood del film: in sequenza si vedono uno scontro a fuoco su una scalinata tra un killer e degli agenti, una conferenza stampa della polizia che annuncia un sequestro di droga, una prostituta a letto con il suo cliente. Sono queste tre scene che arriveranno a sfiorarsi e confondersi, quando Manfred, un poliziotto di strada dal passato tormentato, è contattato da Kee, ufficiale in carriera, perché lo aiuti a recuperare un telefonino rubato da una gang di ladruncoli in uniforme.
Nel mentre una prostituta viene trovata uccisa: Cheung-on, secondo di Manfred, è stato con lei poco tempo prima e cerca di depistare le indagini in modo da scomparire dalla scena. Sul letto dove è avvenuto l'omicidio è comunque trovata della polvere da sparo che potrebbe indicare la presenza di un assassino ricercato per l'uccisione di alcuni poliziotti. È il momento di presentare i protagonisti tramite pochi tratti essenziali, utili a renderli vivi. La morte della moglie incinta di Manfred, la contrastata relazione di Kee con una ragazza dal passato equivoco, la figlia di Cheung-on abbandonata dalla madre, la moglie di un esperto di bombe cinese emigrato a Hong Kong e rapita per farlo collaborare - sono tutti cliché piuttosto abusati, ma inseriti al momento giusto per creare tensione.
Fire of Conscience soffre di una certa voracità epilettica nell'accumulare misteri e colpi di scena: le intricate e talvolta disorientanti storie che si susseguono rischiano più volte di collassare sotto i colpi delle ripetute e sempre più inverosimili coincidenze. Ma nel complesso il film riesce a gestire ciascun rivolo con la necessaria prontezza, senza perdersi in fronzoli o lungaggini, aggiungendo un tocco di cattiveria che non guasta. Il finale è un crescendo di esagerazioni esasperate al parossismo, eppure regge l'urto e arriva con ancora fiato, fino alla chiusura amara e per niente conciliante. Il nuovo Dante Lam è dunque un regista inaspettatamente attento, capace di sfruttare gimmicks da videoclip per fare narrazione pura, abile burattinaio di una sceneggiatura sulla carta troppo arzigogolata.
Pecca ancora di ingenuità nella costruzione di personaggi che riescano a uscire dagli stereotipi, e si trastulla troppo con situazioni drammatiche tirate al parossismo, ma Fire of Conscience, pur nei suoi difetti, rimane un esempio elettrizzante di noir urbano d'intrattenimento, di quelli che un tempo Hong Kong sfornava a getto continuo con compiaciuta onestà, ma che oggi paiono purtroppo persi nel bagliore di fuochi evaporati nella cenere della rarità.
Hong Kong, 2010
Regia: Dante Lam
Soggetto/Sceneggiatura: Dante Lam, Jack Ng
Cast: Leon Lai, Richie Jen, Wang Bao-qiang, Liu Kai-chi, Wilfred Lau, Charles Ying, Tqang Yan, Michelle Ye, Vivian Hsu, Chen Kuan-tai.