C'era una volta la società patriarcale di matrice confuciana, cardine della società cinese, quella di Lanterne rosse. A mostrare quanto questa sia ormai dispersa in mille rivoli e appartenga al passato, è il nuovo film di Peter Chan, Dearest, una fotografia impietosa della Cina contemporanea. Un paese eterogeneo, dalle enormi contraddizioni, dalla politica demografica schizofrenica del figlio unico, dove è diffusa la piaga, anche per conseguenza, del rapimento e compravendita di bambini. Una fotografia che Peter Chan scatta partendo da un episodio reale di cronaca. Poco importa sapere quanto rimaneggiato e modificato dalla sceneggiatura. Importante è semmai il modo in cui il regista dichiara questa ispirazione, con filmati di repertorio alla fine. Un epitaffio che non lascia scampo.
Il film comincia con una mamma che va a far la spesa al supermercato con il bambino di tre anni. Si capisce che il piccolo è in affidamento condiviso, a periodi alterni, a entrambi i genitori (che quindi si presume siano separati). Potrebbe essere un primo abbozzo narrativo, ma all’improvviso una figura che si intravede a malapena rapisce il bambino e si dilegua. Cifra stilistica di questo film è l’assoluta imprevedibilità di una narrazione che sorprende perché non si capisce mai dove voglia andare a parare, incanalandosi sempre nelle pieghe più inaspettate. E allo stesso tempo i personaggi, con i loro conflitti, e i vari nuclei narrativi, sono sempre compresenti. Ci sono i due genitori di cui sopra, Tian Wen-jun e Lu Xiao-juan, separati, che si riavvicinano in nome del dolore, dell’ansia e della speranza per quello che hanno in comune, il figlio scomparso. Poi c’è l’altra coppia, Han De-zhong e Fan Yun, doppi dei primi, a cui sono accomunati dall’aver pure un figlio disperso. E poi, in questa galleria di personaggi, spicca Li Hong-qin, la madre putativa, donna rozza e istintiva, mossa da un’energia primordiale che la guida verso un figlio che ormai considera suo. E al bambino si aggiunge, ulteriore moltiplicazione, la sorellina/sorellastra di origine ignota.
Nella società post-patriarcale, Peter Chan mette in discussione i legami stessi parentali e famigliari, facendo confliggere quelli di sangue con quelli affettivi, risultato di imprinting. Non a caso il regista cita spesso nelle dichiarazioni il film Like Father, Like Son del collega giapponese Koreeda Hirokazu, che solo un anno fa, nell’ambito di un contesto di analogo sbandamento culturale, trattava la stessa tematica nell’ambito di una storia di scambio di culle. E Dearest si inserisce pienamente in quel filone cinematografico - che comprende Olivier, Olivier di Agnieszka Holland e Changeling di Clint Eastwood - sul tema del rapimento e del ritorno in famiglia. Peter Chan però, apparentemente, non pone dubbi sulla vera identità del figlio ritrovato, ormai affezionatosi alla famiglia ‘adottiva’. E il conflitto tra due famiglie diventa metafora di una Cina a due velocità, della contrapposizione tra una realtà moderna e una rurale. Scintillante la prima, fatta di grattacieli e ipermercati, di confort, di donne in carriera separate, ma dominata dal capitalismo, dall’arrivismo e dalla grettezza. Rozza e arretrata la seconda, dove albergano tanto i crimini come il rapimento quanto i genuini sentimenti di una madre. E se è dalla seconda che arriva il crimine, non è detto che questa sia peggio della prima. Peter Chan non prende posizione, limitandosi a esporre fatti e conflitti morali. Anche il momento in cui i genitori biologici riprendono il figlio è, di fatto, un altro rapimento. I punti di vista si moltiplicano e ribaltano in continuazione. Il regista poi lavora sul divario città/campagna anche in senso linguistico, con il continuo rimescolamento di mandarino e dialetto, aumentando ulteriormente il senso di spaesamento.
Si può discutere se Dearest appartenga o meno al cinema di genere. A favore di questa tesi potrebbe giocare un abbozzo di detection nella prima parte. Di contro l’assoluta mancanza di villain e l’elusione di ogni manicheismo. Rimane una celebrazione del grande respiro cinematografico del regista, capace di costruire scene madri come quella, straordinaria, con carrello all’indietro, dell’inseguimento nel villaggio.
Hong Kong/Cina, 2014
Regia: Peter Chan.
Soggetto/Sceneggiatura: Zhang Ji.
Cast: Zhao Wei, Huang Bo, Tong Dawei, Zhang Yi.