The White Storm

C’erano una volta i film di John Woo, quei film in cui uomini che stavano da parti diverse della barricata, poliziotti e criminali, potevano liberamente condividere un comune rigido codice etico fatto di onore, stima e rispetto per la persona, prima ancora che per il ruolo ricoperto. In questi film - non sono solo quelli di John Woo, anche alcune storie di Patrick Tam, con il sublime My Heart is That Eternal Rose in cima alla lista – i protagonisti opposti eppure così simili partivano distanti, spesso nemici, anche quando condividevano lo stesso sangue (ma storie diverse), per finire, per un motivo o per l’altro, ad allearsi contro qualcosa di comune, a stringere il proprio legame in un’amicizia più forte della distanza che li separava, infine a morire fianco a fianco, in un bagno di sangue di toni spettacolarmente melò. C’erano una volta e forse ci sono ancora.

Nonostante John Woo ormai non sia più quello degli A Better Tomorrow e dei Bullet in the Head, e nonostante il cinema di Hong Kong non sia più quello dei ruggenti anni tra metà degli ’80 e metà dei ’90, qualcosa invariabilmente resiste di quello spirito romantico, di quell’approccio sanguigno al poliziesco. The White Storm ne è un esempio, un ottimo esempio. Certo, il controllo di una censura da Repubblica Popolare (invero ogni anno sempre più lieve, a giudicare dall’impressione esterna) sempre animata da paletti morali, chiaramente ostili a storie in cui gangster e sbirri collaborano, non permette di vedere il gaglioffo uomo delle Triadi lottare al fianco di un uomo dello Stato e allora il trio di protagonisti si configura in due poliziotti e una talpa dei loro infiltrata nel traffico di droga. Ma lo spirito dell’heroic bloodshed è ancora vivo e vegeto. Così, tra attriti e vite rubate agli affetti per sacrificarle alla protezione della società, i nostri tre eroi (i volti sono quelli di Lau Ching-wan, Louis Koo e Nick Cheung) vengono coinvolti nella difficile ricerca di un narcotrafficante cantonese di stanza nel Triangolo d'oro. Quando la missione per stanarlo in Thailandia, finisce male, con la scomparsa di uno dei tre, le vite dei due rimasti cambieranno radicalmente, ai limiti dell'inversione: cinque anni dopo il boss della coca finisce per fare capolino proprio ad Hong Kong e arriva il tempo del riscatto e della vendetta, non senza qualche amara sorpresa sulla strada.

Benny Chan, che per un film sembra tornato il promettente ragazzo degli esordi, che aveva folgorato molti con A Moment of Romance per poi dedicarsi all’action più commerciale, sforna un film intriso di nostalgia, fatto di personaggi tagliati con l'accetta e di rovesciamenti karmici clamorosi, senza mai staccare il piede dall’acceleratore del melò; quel melò gonfio, schematico, di buon cuore, che da sempre ha caratterizzato la scrittura del poliziesco hongkonghese, ben prima dell’arrivo di Woo, e che a quanto pare anche nel cinema di genere post Infernal Affairs sembra non essersi (ancora) perso. Ciliegina sulla torta: un finale da bei vecchi tempi, come non se ne vedevano da Exiled di Johnnie To.

Hong Kong, 2013
Regia: Benny Chan.
Soggetto/Sceneggiatura: Benny Chan, Manfred Wong, Ram Ling, Wong Chun, Tam Wai-ching.
Action director: Li Chung-chi.
Cast: Lau Ching-wan, Louis Koo, Nick Cheung, Yolanda Yuan, Lo Hoi-pang.


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