Molto spesso le storie riguardanti personaggi passati all'improvviso dalla povertà alla notorietà sono incredibilmente esagerate. Si sa, una storia ben gestita attrae il pubblico, crea coinvolgimento emotivo e un modello da seguire o su cui sognare.
Non sembra però essere il caso di Sam Lee. Un giorno di qualche anno fa infatti Lee Chan-sam sta andando sullo skateboard, quando il regista Fruit Chan - passando di lì per caso - nota il suo look sfrontato e vagamente goffo e gli chiede se vuole partecipare al suo prossimo film. Caso più unico che raro, la sua carriera non parte quindi né dalla televisione, né dalla moda, né dalla musica. Come nelle migliori favole, un meccanico/elettricista squattrinato che non pensava per niente al mondo dello spettacolo si ritrova proiettato sotto le luci della ribalta. Made in Hong Kong lo vede così nei panni di protagonista. Un film a basso costo, una trama neanche troppo sviluppata ma una concezione di cinema non ancora doma, e soprattutto uno sviluppo coinvolgente dei personaggi, decretano il relativo successo della pellicola e di Fruit Chan. E Sam Lee è lì, a troneggiare su tutti gli altri, in questa parte in odore da anti-eroe (non a caso quell'anno vince il premio degli Hong Kong Film Awards come migliore promessa). Un giovane sperduto in una città più grande di lui. Un ruolo che si addice al suo volto da ragazzo tormentato e tranquillamente svitato, al suo fisico magro, quasi ossuto. Uno sguardo a metà strada tra l'irascibile e il dolce, e una espressività facciale degna di un mimo in acido. Non è assolutamente difficile per lui ritagliarsi un ruolo nell'industria hongkongese. Non stupisce allora che con il tempo inizi anche a cantare. A stupire è semmai la strada che risolutamente si sceglie. Anziché seguire l'onda del pop melodico e mieloso tanto in voga, entra come rapper in una band che fa crossover, i LMF (Lazy Mutha Fuckaz). Il successo naturalmente non arride al gruppo, ma la band si crea una discreta cerchia di cultori.
Adattabile a seconda delle necessità sia alla commedia che al dramma, Sam Lee viene sempre più spesso ricercato per ruoli di adolescenti o giovani irrequieti e proditoriamente fuori di testa. Esplicatorie in questo senso le pelliccole successive. In Bio Zombie, dell'allora nastro nascente Wilson Yip - sgangherata ma intelligente commedia orrorifica - fa da spalla ad uno scatenato Jordan Chan, standogli tranquillamente dietro in quanto a carisma. La sua è infatti una presenza che difficilmente passa inosservata. Tra lo sbruffone e il supponente, riesce a far sorridere praticamente qualsiasi cosa dica. Non diversamente in Beast Cops, in cui è una giovane recluta dai metodi sbrigativi, indistinguibile dalle triadi che si ritrova a combattere. Piccola curiosità per il fatto che il buffo casco da motociclista che indossa è un suo apporto al personaggio (ricordo di una sua vacanza a Londra). Con The Longest Summer ritorna a collaborare con Fruit Chan, cui deve la notorietà, in un ruolo più misurato. E' un giovane disilluso e inconcludente che non trova di meglio che seguire suo fratello maggiore in un colpo ad una banca. Anche se poi è probabilmente con Gen-X Cops, action giovanilistico di routine colmo di star in erba, che la sua fama ha modo di crescere. Come sempre accade ad Hong Kong, da qui in poi le pellicole si susseguono incessantemente. Non sempre come protagonista, anzi sempre più spesso in ruoli secondari, ma non per questo meno significativi, riesce a lasciare tracce di sé anche nelle pellicole più scadenti («E' difficile fare un buon film ad Hong Kong. La città è piena di affaristi che vogliono solo fare soldi. Soldi, soldi, soldi... è tutto quello a cui sanno pensare. Non gli importa nulla dei film», questo dichiarava a Cannes nel 1999). Il colpo successivo lo assesta comunque prendendo parte al serial del momento, quel Young and Dangerous che è diventato un modello per le nuove generazioni. Young and Dangerous: The Prequel lo vede nei panni di Chicken da giovane. Cosa non casuale, se si pensa che nella versione adulta Chicken è interpretato da Jordan Chan. C'è sempre meno spazio per l'indecisione, ed è anche una sua precisa volontà non rinchiudersi in un cliché per poi ritrovarsi a rifare all'infinito sempre lo stesso film. Alterna quindi pellicole più spensierate ad altre un po' più sostanziose (The Rules of the Game o Metada Fumaca, per citarne solo un paio in cui il fatto di essere solo una spalla non diventa un limite). E non rinuncia neanche a ruoli un po' più rischiosi, come in The Untold Story III - terza parte della serie ispirata a fatti di cronaca per la regia di Herman Yau - in cui fa parte della banda degli spietati ragazzini protagonisti.
Sam Lee può dunque anche essere un attore per caso, ma è stato probabilmente un bene che il destino lo abbia messo sulla strada di Fruit Chan.
Sam Lee
- Dettagli
- Scritto da Stefano Locati
- Categoria: PROFILI