C’è stato un tempo – eravamo giovani e inesperti e obnubilati dalle gemme di quel forziere che avevamo scassinato a colpi di copie di quarta mano, con o senza english subtitles importava fin lì tanta era la fame, l’eccitazione nello scoprire un paese del bengodi cinematografico che chiedeva solo di essere saccheggiato – c’è stato un tempo, dicevo, in cui pensavamo davvero che Mr. Vampire fosse un gran film.
Perché negarlo? Uno dei primi horror comici hongkonghesi ad arrivare sui nostri lidi, tramandato gelosamente dai carbonari del collezionismo, il film di Ricky Lau non aveva certo la grazia alata di A Chinese Ghost Story – e poi, certo, quelle scenette comiche non è che fossero proprio irresistibili. Però. Però c’erano i jiangshi, i succhiasangue salterini, novità amena con cui baloccarsi (anche se qualche fortunello li aveva già incrociati in Venus il Ninja), e un approccio inedito al vampirismo, con trovate esotiche quali il riso glutinato (il cibo dei poveri, quello mangiato a mani nude) come rimedio contro i morsi (o le ferite: l’infezione si propaga anche attraverso le lunghissime, appuntite unghie come il veleno di un serpente) del vampiro, le formule da appiccicare in fronte ai mostri per bloccarli come statue di sale (mentre l’idea che il vampiro sia cieco e guidato dal respiro ricorda curiosamente la tetralogia di De Ossorio sui templari).
E c’era lo stupore per l’utilizzo coreografico del wirework e delle arti marziali, con un montaggio volto a favorire la fluidità e la grazia dell’azione anziché a spezzettarla come ci avevano insegnato le pellicole occidentali. Ecco, a ripensarci oggi credo che il sense of wonder provato all’epoca fosse paragonabile a quello dei ragazzini statunitensi davanti ai film di fantascienza anni ’50 a base di viaggi nello spazio, astronavi, mostri ultraplanetari: un intero universo di segni, regole e mitologie da scoprire ed esplorare. Ma vent’anni e passa dopo, la nostalgia non basta: e il fatto che il film di Ricky Lau sia stato per la Golden Harvest e per il cinema hongkonghese una vera e propria gallina d’oro, nonché l’iniziatore di un vero e proprio sottogenere, con quattro seguiti, la serie rivale New Mr. Vampire di Billy Chan e Leung Chung e numerose imitazioni al di fuori dai confini nazionali, non sono sufficienti a farne un classico evergreen.
Innanzitutto perché la comicità funziona solo a sprazzi: se la sequenza nella prigione, con Lam Ching Ying, Chin Siu Ho e Billy Lau impegnati contro una vittima del vampiro ritornata in vita, ha i tempi del miglior cinema hongkonghese, altrove (il qui pro quo tra Chin Siu Ho e Moon Lee nell’erboristeria) il gioco degli equivoci lascia a desiderare, e le caratterizzazioni sopra le righe stancano: il Nam Choi di Ricky Hui (il meno talentuoso dei tre fratelli Hui) è un tripudio di mossette e smorfiette che culmina nell’assolo della scena in cui, vampirizzato, si tarpa le unghione da Nosferatu con le forbici e camuffa il pallore con cipria e cosmetici.
Grandioso invece il prete taoista sprint di Lam Ching Ying, un Van Helsing dagli occhi a mandorla che mantiene un’ammirevole aplomb nelle situazioni più improbabili. Lo script (cui mettono mano anche Roy Szeto e Barry Wong) opta per un’ambientazione d’epoca, gli anni ’20, che ritornerà in Mr. Vampire III. Cito al proposito Max Della Mora da Fant’Asia: «un periodo di scontri culturali tra le vecchie dominazioni imperiali, con il loro bagaglio di superstizioni oscurantistiche, e la nuova repubblica dagli ideali modernisti». Purtroppo però – a differenza di quanto fa Tsui Hark in We’re Going to Eat You – la traccia politica è solo accennata, e liquidata in fretta e furia con la gag della sala da tè all’occidentale, al pari dell’idea del passato ingombrante (il vampiro-patriarca che torna a contagiare il figlio) che aleggia sul presente con la sua carica repressiva. E le parti horror sono all’acqua di rose: la sequenza con Ricky Hui e Moon Lee nascosti nell’armadio è gestita con buona suspense, mentre il momento più sinistro è quello in cui l’ultracentenario vampiro, nascosto in una buca del terreno, si nutre col sangue di una pantegana. Per il resto il copione getta nel calderone di tutto un po’, stipando l’ora e mezza di personaggini e sottotrame, dal mercante di riso truffaldino (e con figlio scemo) al fantasma amoroso (Pauline Wong) che concupisce Chin Siu Ho, e che fa la sua prima apparizione in una carrozza fatata in mezzo al bosco, al suono di un’amena canzoncina pop.
Hong Kong, 1985
Regia: Ricky Lau
Soggetto / Sceneggiatura: Szeto Cheuk-on, Barry Wong
Cast: Lam Ching-ying, Ricky Hui, Moon Lee, Chin Siu-ho, Anthony Chan