Patrick Tam Kar-ming, nato il 25 Marzo del 1948 (e da non confondere con il suo omonimo attore, classe 1969), è senza ombra di dubbio uno dei padri della New Wave del cinema di Hong Kong. Da molti addetti ai lavori è ritenuto il mentore di Wong Kar-wai, benché lo stesso regista abbia più volte sottolineato di non meritare questo titolo. Tam fa parte di quella schiera di registi proveniente dalla televisione (Tsui Hark, Ann Hui, Ringo Lam) che sono stati in grado di rivoluzionare il cinema dell’ormai ex colonia britannica; registi che si sono formati all’estero (Europa oppure Stati Uniti) portando avanti un processo di contaminazione di genere estraneo ad Hong Kong.
La carriera di Patrick Tam inizia nei primi anni ’70 e lo vede impegnato a dirigere diverse serie televisive per la TVB, tra cui il poliziesco CID (il nome riprende l’acronimo del dipartimento della squadra anticrimine di Hong Kong). Siamo nell’età dell’oro della televisione hongkonghese: la censura, seppur presente, non viene sempre applicata e i produttori lasciano moltissima libertà ai registi, i quali a loro volta si dimostrano talentuosi quanto intraprendenti e lungimiranti. Tam non ha paura di osare e realizza prodotti estremamente interessanti e innovativi, attenti alla realtà sociale: al centro dell’obiettivo tematiche relative alla quotidianità dapprima ignorate, come disagio giovanile, droga, prostituzione. Inoltre si comincia a conferire maggiore importanza alla città di Hong Kong (da lì a breve diventerà vera e propria protagonista di molte pellicole). Le serie televisive realizzate durante i primi anni ‘70 ormai sono un lontano ricordo: lo spirito dei prodotti firmati Tam per le varie emittenti locali (TVB) è difficile da ritrovare nella moderna tv di Hong Kong, sia per logiche di mercato differenti sia per una censura ancora più opprimente – la madre patria Cina è sempre dietro l’angolo, con occhio attento e vigile a ciò che si produce a Hong Kong.
Dopo aver acquisito rilevante notorietà per i lavori svolti alla TVB, il colosso Shaw Brothers offre nel 1980 a Tam la possibilità di cimentarsi nel suo primo lungometraggio destinato al cinema, The Sword: la prima opera del regista è un wuxia in cui è già possibile intravedere uno stile personale. Il regista tende quasi a destrutturare la figura epica dell’eroe per concentrarsi sull’aspetto umano e autodistruttivo del protagonista. Tuttavia, i primi capolavori sono i due film immediatamente successivi, Love Massacre del 1981 e Nomad del 1982, opere che probabilmente rappresentano il maggiore contributo di Tam alla New Wave. Love Massacre inizia e finisce con due sequenze memorabili, in cui è possibile analizzare un linguaggio tecnico-stilistico ben preciso, unico e personale. Il film si apre in maniera spiazzante, con un campo lungo in cui è possibile individuare una donna che vaga solitaria per un deserto vastissimo e senza fine. Già con questo film assistiamo ad un utilizzo innovativo del colore – in particolar modo Tam opta per un uso insistito di alcuni colori primari – e a riferimenti espliciti alla nouvelle vague e al cinema di Godard (tra i registi che Tam ama e omaggia, oltre a Godard, ci sono Bresson, Hitchcock e Rossellini: “Non so se posso parlare di influenze, ma i registi che ho apprezzato di più nella mia vita sono Robert Bresson e Jean-Luc Godard. E anche Hitchcock e Max Ophuls. Potrei parlare di molti grandi artisti, ma il più importante tra loro è Bresson”). La violenza, esplicita e brutale, è invece tutta hongkonghese e il percorso delle influenze avverrà in direzione opposta: sarà Quentin Tarantino in Kill Bill vol. 1 a omaggiare una delle più truculente uccisioni di cui si macchia il protagonista di Love Massacre. Come per Love Massacre, anche Nomad offre una sequenza iniziale meravigliosa in cui panoramiche orizzontali, lenti movimenti di macchina e colonna sonora si amalgamano alla perfezione. In apparenza il regista opta per un approccio più vicino al cinema commerciale, strizzando l’occhio agli “youth movies” di moda in quel periodo, prima di svoltare improvvisamente, per concentrarsi su quattro giovani di Hong Kong e sul loro incontro con un’ex-terrorista giapponese.
Tam prosegue con il suo percorso autoriale e ritroviamo anche in Nomad un tono alquanto straniato, un finale tragico e un utilizzo particolare del colore. È la prima grande performance di Leslie Cheung, attore formidabile e versatile, che si dimostrerà in grado di interpretare qualsiasi personaggio donandogli un background unico e personale. In Final Victory del 1987, tratto da una sceneggiatura di Wong Kar-wai, la consueta cura per i dettagli si mescola al registro della commedia. Un curioso divertissement, dallo studio delle singole inquadrature ai movimenti di macchina (bellissima l’obliqua dall’alto su Eric Tsang, che ricorda molta la stessa tipologia di inquadratura presente all’inizio di Nomad su Leslie Cheung) alla scelta del cast, con protagonisti due registi, il già citato Tsang e Tsui Hark. Molto più tormentata la realizzazione dell’intenso Burning Snow l’anno successivo: una cruda vicenda di violenza domestica che vira verso il revenge movie, realizzata a Taiwan con un budget striminzito. Dopo aver diretto il suo settimo lungometraggio, lo scintillante noir-melò My Heart is That Eternal Rose del 1989, con Joey Wong e Tony Leung Chiu-wai, Patrick Tam decide di prendersi una lunga pausa dall’attività di regista.
Non abbandona definitivamente l’universo cinematografico, però, curando il montaggio di diverse pellicole (tra cui Ashes of Time di Wong Kar-wai e Election di Johnnie To) e dedicandosi all’insegnamento presso l’Università di Hong Kong. Un silenzio interrotto solamente nel 2007 da After This Our Exile, dramma di una famiglia disagiata e della loro selvaggia lotta per la sopravvivenza in un mondo ostile. Questa volta i punti di riferimento sono il connazionale Allen Fong e soprattutto, inaspettatamente, Roberto Rossellini: il film fa incetta di premi in patria e non solo (Tam vince il titolo di Miglior Regista agli Hong Kong Film Awards). Da allora si spera in un suo ritorno dietro la macchina da presa, che porti con sé una brezza vitale per il cinema di Hong Kong e aggiunga un altro tassello a una filmografia priva di punti deboli.