In un'industria dove la prolificità è la regola un regista come Patrick Leung, con solo cinque film all'attivo nei primi sei anni di carriera, costituisce una sorta di mosca bianca. Prima di laurearsi alla Hong Kong Baptist University, Leung aveva già conosciuto il mondo del cinema, ancora studente, sul set di To Hell with the Devil di John Woo. Un nome importante quest'ultimo, visto che del regista di The Killer - ma troverà il modo di lavorare anche con gente del calibro di Stephen Shin, Ann Hui e Benny Chan - Leung diventa in breve il braccio destro, collaborando in diverse vesti (aiuto regista, sceneggiatore, assistente al montaggio). Inevitabilmente, dopo l'emigrazione di Woo, Leung si trova al bivio, con la possibilità di rimanere nell'ombra o di fare l'ultimo salto di qualità passando a dirigere per conto proprio.
Somebody Up There Likes Me, del 1996, segna l'esordio dietro la macchina da presa. Non si tratta di un capolavoro, ma il risultato finale è un melodramma intenso che testimonia una certa personalità. Non mancano riferimenti, citazioni (lo spolverino sfoggiato da Aaron Kwok; alcuni passaggi della colonna sonora firmata da Deannie Wong, che pesca dal celebre tema di A Better Tomorrow) e omaggi (Ann Hui, Clifton Ko e Lawrence Ah Mon che si prestano per brevi cammeo). La storia, diretta filiazione dell'omonimo classico con Paul Newman (Lassù qualcuno mi ama di Robert Wise, 1956), vede protagonista un pugile dal passato burrascoso che cerca di farsi strada nel difficile mondo della boxe. Come nel film americano si intravede un certo didascalismo nella recitazione - ma Carman Lee, donna dell'eroe e sorella del suo rivale, è efficace come sempre - e una pedanteria moralista. Per fortuna certi passaggi, soprattutto sul ring, sono diretti e montati (da David Wu, altro nome che rimanda all'illustre maestro / mecenate) in maniera molto lucida. E' tralaltro l'inizio di un sodalizio importante con lo sceneggiatore Chan Hing-kar e con la produttrice Amy Choi.
Stesso anno, tema diverso, per Beyond Hypothermia, prodotto (e a quanto si dice per buona parte diretto) da Johnnie To per la Milkyway. Scritto dallo specialista Szeto Cheuk-hon, è il passaggio a un noir più maturo e violento (l'epilogo nel sangue), dove una killer spietata si innamora di un venditore ambulante. Lei, alla ricerca dell'infanzia sprecata, è la taiwanese Wu Chien-lien, lui Lau Ching-wan; entrambi sono perfetti. Leung si trova a suo agio come psicologo e scava in profondità nell'anima di due personaggi differenti, giocando sugli sguardi piuttosto che sui dialoghi. E' il preludio necessario allo splendido mélo Task Force, in cui storie e caratteri diversi si incrociano, si sfiorano e si combattono. Definitiva consacrazione di un autore (il placit finale - «Well done!» - è pronunciato da John Woo in persona), la pellicola porta a compimento un'evoluzione stilistica che abbandona le residue influenze passate e guarda dal lato opposto, a Wong Kar-wai e al suo approccio partecipe a sentimenti e emozioni. Dopo ben quattro anni di silenzio e nove mesi di preparazione, Born Wild, un ritorno alla violenza cruda dei combattimenti (quelli clandestini, solo sfiorati nell'esordio), delude i più. Un clamoroso passo indietro: monocorde e noioso, il film si spegne dopo un discreto inizio e affonda definitivamente nel momento in cui prova a sintetizzare l'indole dei tre giovani protagonisti.
Molto meglio, anche ai botteghini, la commedia leggera La Brassiere, questa volta in condivisione di regia con il sempre fedele Chan Hing-kar. La sceneggiatura è spumeggiante e vivace, e pur basandosi su uno spunto non troppo originale - due designer ingaggiati per creare un reggiseno e costretti a convivere in un inferno popolato da colleghe ciniche e permalose - mette in scena una guerra dei sessi dove gag e equivoci funzionano e divertono. Merito soprattutto del lavoro degli attori - Lau Ching-wan e Carina Lau, Louis Koo e Gigi Leung: due generazioni di star a confronto - e di una regia ispirata che riesce persino a citare i duelli dei western di Sergio Leone. Il risultato commerciale porta i due colleghi Leung e Chan a ritentare subito la stessa carta, e poi di nuovo ancora. Mighty Baby è il seguito di La Brassiere: ne riprende temi e cast (ampliato con Rosamund Kwan e Cecilia Cheung), cambiando solo l'oggetto del contendere, i bisogni dei neonati al posto dei reggiseni. Good Times, Bed Times è una pellicola simile alle due precedenti, si muove sulla falsariga di un canovaccio comune, sfruttando la verve di Lau Ching-wan, Charlene Choi, Sammi Cheng e Louis Koo - più numerose guest star (Sandra Ng, Tony Leung Ka-fai) - e intessendo un tessuto romantico di sottofondo di innocente - e piacevole: pubblico e critica in effetti non disdegnano - vacuità.
Patrick Leung
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- Scritto da Matteo Di Giulio
- Categoria: PROFILI