Billy Tang, o dell'eccesso. Sarebbe stato difficile non sottoscrivere un'equazione del genere solo nel 1995. Da quell'anno però qualcosa deve essere cambiato e la verve estrema e spietata di un cineasta liminale quanto lui pare essersi calmata o assopita. Trascurando il suo primo film - una piece di arti marziali con Jet Li, evidentemente un lasciacondotto necessario per dedicarsi a qualcosa di più personale - tra il 1992 e il 1994 gira infatti quattro tra i Categoria III più insostenibili e spiazzanti. Un inabissarsi continuo nel pozzo oscuro delle devianze umane. Ma non si tratta solo e semplicemete di exploitation di bassa lega, quanto di un urlo nichilistico e disperato, segno indelebile della società sospesa tra due mondi in cui si ritrova a vivere. Una sorta di inferno urbano che non può per forza di cose credere nel futuro (a quei tempi il 1997 faceva ancora paura) e che quindi si limita a pensare al guadagno e al proprio tornaconto. Una società fuori asse, in cui ogni equilibrio è perso e tutto - anche le peggiori efferratezze - paiono non solo possibili, ma normali.
Ciò che per esempio fa rabbrividire - perlomeno uno spettatore occidentale - in Dr. Lamb (co-regia dell'attore Danny Lee), non sono tanto le torture e le uccisioni, quanto la perpetuazione di queste in un ambiente familiare quale quello dove il luciferino Simon Yam vive. Tra tutti gli abitanti della casa infatti nessuno viene sfiorato dal dubbio. Chiusi nella loro disperazione, gli spenti inquilini non hanno la forza né la necessità di chiedere, domandare. Un umanità allo sbando, di cui il Dr. Lamb è solo un altro esemplare. L'unione di bassa scatologia, commedia greve, splatter ornamentale e un senso malsano dell'inopportuno contribuiscono ad appesantire l'atmosfera.
Con Run and Kill la metafora viene estesa e bilanciata da una trama meno vaga. Un Kent Cheng ingenuo e sposato, scoprendo il tradimento della moglie si ubriaca e senza rendersene conto assolda dei killer perché la uccidano. Da qui prende il via una nera parabola di morte, che ritroverà ancora Simon Yam nelle vesti di sacerdote officiante. Rapito Kent Cheng, lo costringe a guardare mentre brucia viva la sua figlioletta, per poi scherzare sulle ceneri ancora fumanti. Difficile immaginare qualcosa di più esplicito. Uno scontro di mentalità contrapposte e, ciò che è peggio, entrambe perdenti. Da un lato il freddo e cinico malvivente che viene dalla madrepatria cinese, dall'altra l'affarista cieco e inconsapevole, simbolo di una Hong Kong dedita solo al capitalismo più inopinato. Ma a crescere è anche la tecnica. I primi venti minuti introduttivi sono registicamente scontati, quasi banali, con inquadrature fisse e un montaggio languido. Ma con il procedere della storia i movimenti di macchina si fanno scattanti, le inquadrature sembrano impazzire, penetrare negli spazi fino a saturarli - una schizofrenia insinuante che contribuisce a inquietare al pari della trama.
Il successivo Brother of Darkness osa forse di meno, ma prosegue senza tentennamenti la sua indagine priva di scrupoli dell'ambiente circostante. Una normale famiglia della classe media è perseguitata da uno dei figli, violento e drogato, che continua a fare avanti e indietro dalla prigione e minaccia la madre per estorcerle soldi. Suo fratello, la parte solare della famiglia, scopre invece di essere impotente e si allontana dalla fidanzata. Il confine manicheo viene totalmente sfumato (il film parte con il fratello buono che viene arrestato per omicidio) per presentare un'atmosfera sporca e degradata fatta di violenza quotidiana, rassegnazione, indifferenza e disperazione.
Red to Kill è un ritorno agli eccessi da incubo precedenti. Un maniaco stupra e uccide le donne vestite di rosso che gli capitano a tiro. Ben presto una ragazza ritardata e sola diviene il suo obbiettivo e gioco principale. Un uso ipnotico dei colori (con il rosso e l'azzurro dominanti nelle scene di interni), movimenti di macchina ancora più azzardati ed epilettici, scoppi di delirio improvvisi - tutto contribuisce a ricreare una cappa di oppressione difficilmente dissipabile.
Difficile dimenticare questi esordi, dunque. Peccato che in seguito Billy Tang abbandoni tali lidi per dedicarsi a thriller di più facile digeribilità ed assimilazione. A pellicole talvolta passabili ma ormai di routine come Street Angels, Haunted Karaoke, Dial D for Demons, il voyeuristico Raped by an Angel 5: The Final Judgement o il derivativo Sexy and Dangerous (la solita storia à la Young and Dangerous, tutto sommato) il regista alterna film pure interessanti ma fuori tempo massimo quali Chinese Midnight Express - un dramma politico-sociale sulla corruzione, le triadi e la disperata situazione di sopraffazione nelle carceri locali. Billy Tang quindi continua a saper gestire la regia con uno stile forse non inconfondibile ma personale e sentito - senza contare che con ogni probabilità i suoi film hanno una migliore nomea adesso che in passato. Rimane però sempre un rimpianto inespresso e leggermente imbarazzato per quella carica dirompente che aveva saputo dimostrare ai suoi esordi, e che ora pare irrimediabilmente persa.
Billy Tang
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- Scritto da Stefano Locati
- Categoria: PROFILI