Ci voleva un’altra edizione della Venezia mülleriana perchè il cinema Far East ritrovasse l’importanza che gli spetta. Solo nel concorso internazionale, tre film giapponesi di grandi autori, dei quali ben due d’animazione, cosa impensabile fino a pochi anni fa per i festival più ingessati.
Takeshi Kitano, con Akires to kame, racconta di un personaggio con velleità pittoriche che insegue, per tutta la sua vita, l’opera d’arte definitiva. Beat Takeshi rielabora il paradosso di Achille e la tartaruga, per realizzare una parabola sull’arte, e sulla sua storia, e la vita, una metafora dei rapporti tra cinema e arti figurative.
Altro evento della Mostra è stato l’ultimo lavoro di Miyazaki-sensei, Gake no ue no Ponyo, con cui torna a una dimensione semplice, da fiaba infantile, dopo i deliri visivi fantasy delle ultime sue opere. Il film rielabora La sirenetta di Andersen e riprende temi wagneriani, per raccontare la storia della vita sulla terra, facendo riferimento ai pesci preistorici che conquistarono la terraferma, che è ripercorsa nello sviluppo dell’uomo. Il tutto visto nell’ottica orientale della ciclicità: l’asilo del film è anche un’ospizio. Memorabile la scena dello tsunami accompagnata da La cavalcata delle valchirie, riarrangiata da Joe Hisaishi.
La guerra come gioco infantile e la pace come un fatto di adulti è l’assunto del film di Oshii Mamoru, The Sky Crawlers, ambientato in un mondo che vive in uno stato di pace permanente, ma dove viene messa in scena una infinita guerra-spettacolo di combattimenti aerei, dove i piloti sono degli eterni bambini, i kildren (contrazione delle parole kill e children). Un po’ di guerra sembra essere un fatto fisiologico, inevitabile per la pace generale del mondo. Un film decisamente notevole, ma non all’altezza, sia dal punto di vista tematico che della sperimentazione visiva, del precedente lavoro di Oshii passato a Venezia, Tachiguishi retsuden.
Presentato fuori concorso Heshang aiqing, cortometraggio del Leone d’Oro Jia Zhangke, è l’ennesimo tassello del quadro che il regista sta facendo sui cambiamenti sociali, culturali e del paesaggio, che sta attraversando la Cina. In una città antica, percorsa da canali come Venezia, si ritrovano, dopo dieci anni, quattro ex-compagni di università e il loro professore. La cena, girata rigorosamente senza campi/controcampi, proprio come la famosa analoga scena di Città dolente, è un lungo momento di riflessione sul fallimento di una generazione, sia dal punto di vista degli ideali dimenticati sia da quello umano.
Nella sezione Orizzonti ha trionfato l’ultima opera monumentale (questa volta di sette ore e mezza) del regista filippino Lav Diaz, Melancholia. Un film ammaliante che non fa pesare la sua fluviale durata e che anzi funziona proprio in virtù di essa. Nelle prime due ore si seguono alcuni individui, una suora, una prostituta e il suo protettore, per poi scoprire che si tratta in realtà di personaggi che interpretano dei ruoli sia a scopo terapeutico che di indagine sociologica. Tutto ciò a seguito del fallimento degli ideali rivoluzionari in cui si riconoscevano, che erano incarnati dal marito della finta prostituta, un guerrigliero che fu ucciso da forze paragovernative. Il film funziona proprio sui ribaltamenti di situazioni, sul disseminare elementi apparentemente inspiegabili, che poi vengono tutti ripresi e spiegati anche a distanza di ore, cosa che comporta un’attività di ricostruzione da parte dello spettatore.
Sempre dalle Filippine, e sempre per Orizzonti, si è potuto vedere Jay dell’esordiente Francis Xavier Pasion, una riflessione quanto mai attuale sul potere dei mass media nelle nostre vite. Si racconta di un programma di reality TV, realizzato a caldo sul brutale omicidio di un insegnante omosessuale. Tutto il film è giocato su due tipi di inquadrature che riflettono due punti di vista: uno è quello, soggettivo, della telecamera della troupe televisiva che ricostruisce l’episodio, l’altro è quello, in apparenza oggettivo, di una macchina da presa fissa che alla fine svela la sua reale natura, all’interno di un gioco di scatole cinesi.
Con Müller direttore, Venezia rimane il lido privilegiato per il cinema orientale in tutte le sue forme, dagli anime a Lav Diaz. Finché durerà…