Far East Film 10: buon compleanno!
Dieci candeline sulla torta di compleanno del Far East Film Festival, ma un’edizione non all’altezza della ricorrenza. Nessuna grossa retrospettiva ma solo due minirassegne, interessanti ma non fondamentali, i melodrammoni anni ’50 del cineasta coreano Shin Sang-Ok e lo special focus su Miki Satoshi.
A far da padrone sono stati i giapponesi, sia per quantità, 17 film contro i 9 di Hong Kong e gli 11 coreani, che per qualità, come dimostrato dall’aver fatto incetta di award. Onore quindi a Mark Schilling che si è riscattato dalla magra figura dell’anno scorso, anche se non è riuscito a portare quella che sembra essere la pietra miliare del cinema nipponico degli ultimi anni, The Red Army di Wakamatsu Koji.
Senza infamia ne lode la selezione coreana, mentre l’apporto di Paolo Bertolin ha portato opere di cinematografie minori quali quella indonesiana e malese. Un’operazione a rischio «etnografia», cui saggiamente non si è caduti. Il folklore è stato riservato ai transformers filippini e ai divi vietnamiti. [g.r.]
Sguardo su Hong Kong
di Emanuele Sacchi
Difficile parlare di una selezione di Hong Kong quando una bella fetta se la porta via un uomo solo, ma è anche giusto così se quell'uomo risponde al nome di Johnnie To: il Far East, e noi tutti, gli dobbiamo troppa riconoscenza. Quindi vada per il regalo con le impronte delle mani (una sua e una di Wai Ka-fai, per un totale di dieci dita come le edizioni del FEF... no comment) e vada per la preponderanza Milkyway: due film suoi – uno, Mad Detective, già visto dai più tra Venezia e dintorni - e uno di un suo protetto, quel Law Wing-cheong che Johnnie insiste a tentare di lanciare. Uno che porta come dote 2 Become 1 e la co-regia di Running Out of Time 2 non dispone nel migliore dei modi e infatti Tactical Unit - The Code, pilot di una serie spin-off di PTU, conferma tutti i dubbi. L'intreccio riprende pedissequamente i momenti-chiave del capolavoro di To, ma ne smarrisce tutta l'essenza dipanando una matassa noiosissima che spreca Simon Yam e Lam Suet e non lascia nessuna traccia del suo passaggio.
Già detto e scritto di Mad Detective e Sparrow, al dinamico duo To/Wai stavolta si sono accompagnati diversi attori, protagonisti di una confusa ma proficua (ne leggerete su queste pagine) sessione di interviste: Lau Ching-wan e la sua smorfia impagabile, Kelly Lin – vi basta stupenda? – e il grande Lam Suet che, da autentico caratterista slapstick, ha steccato pure (involontariamente) ingresso e uscita dal palco del Teatro Giovanni da Udine.
Passando alla fetta di selezione non-To, il prime time è stato concesso a Trivial Matters, The Detective e al terribile Run Papa Run di Sylvia Chang, gangster comedy su un big brother padre di famiglia e timorato di Dio che strizza l'occhio ai Soprano (su un altro pianeta) ma che pare più che altro un pretesto per cavalcare l'onda lunga del fascino di Louis Koo. Sorprendentemente relegato al pomeriggio l'epos di An Empress and the Warriors, un Ching Siu-tung molto più sobrio ed essenziale del suo canone, che però non riesce a supportare l'atteggiamento sottrattivo con una storia al livello. Bene Donnie Yen, molto meno Kelly Chen e Leon Lai (ma non è una novità). Completano il quadro Magic Boy – classicissima commedia romantica teen appena sotto media – e l'intenso Mr. Cinema, che per Anthony Wong, negli insoliti panni del comunista, è un po' quello che Una vita difficile fu per Alberto Sordi.
Selezione Hong Kong
di Stefano Locati, Giampiero Raganelli, Paolo Villa
Un cast di tutto rispetto, che spazia da Leon Lai a Donnie Yen, fino a un nuovo ruolo da protagonista per Kelly Chen, per un wuxia di poche pretese e dall’andamento rapsodico. Ritorno alla regia di Ching Siu-tung dopo un periodo di sovraesposizione come coreografo in produzioni ad alto budget, An Empress and the Warriors si risolve in una sbiadita rilettura di glorie passate, con scontri corali e parentesi romantiche. Nulla di nuovo, ma ha il pregio di un ritmo sostenuto. * Happy Birthday, da lei co-sceneggiato, Sylvia Chang rimette a confronto in Run Papa Run Louis Koo e Rene Liu, attori solari capaci di improvvise svolte drammatiche. Un padre scavezzacollo, membro delle triadi, tiene nascosta la sua affiliazione alla figlia, con conseguenti conflitti intrafamiliari. I toni sono scanzonati, con sovraccarico di colori, ma il tentativo è di virare in tragedia allegorica. Il passaggio non riesce completamente e la persistenza del voice over sottrae coinvolgimento emotivo. * La quotidianità di un gruppo di borseggiatori professionisti è messa in crisi dall’incontro con una misteriosa dark lady. La persistenza di motivetti persi tra lounge, exotica e blues, ma con ritmi strettamente orecchiabili, e la ripresa di angoli rétro di Hong Kong, tra palazzi fatiscenti e vecchi bar, riduce The Sparrow a un omaggio pimpante a un’epoca che non esiste più. To si lancia in un esercizio di stile maestoso che però non riesce a nascondere la sua furba leziosità, del tutto vacua. * Aiuto regista e montatore di Johnnie To dai tempi di Expect the Unexpected (1998), Law Wing-cheong è passato alla regia attiva con 2 Become 1 (2006) e Hooked on You (2007). In Tactical Unit – The Code si presta alla produzione di To per un film televisivo - primo di quattro - ispirato alle atmosfere di PTU (2003). Nonostante la presenza di Simon Yam e Lam Suet, la messa in scena è priva di mordente, l’intreccio ricalcato sull’originale, senza inventiva, e il ritmo letargico. * * Magic Boy è una freschissima storia d’amore, protagonisti una ragazza e i due suoi pretendenti, entrambi abili prestigiatori, nello sfondo del quartiere frenetico di Mongkok. Tante trovate stupefacenti per raccontare una storia quotidiana con grande delicatezza e leggerezza. In fondo le illusioni dei mirabolanti giochi di prestigio possono essere svelate e smontate da una semplice telecamera nascosta. * In Mr.Cinema Hong Kong, prima e dopo l’handover, fa da sfondo alle vicende di una famiglia dei bassifondi. Un paese sospeso tra due mondi, con le inevitabili contraddizioni che si riflettono nel nucleo dei protagonisti; ma le tragedie private possono far dimenticare i grandi drammi collettivi. Il grande trapasso di un’epoca è raccontato senza scadere quasi mai nel bigino di storia in stile La meglio gioventù. * Dopo