Scelto come candidato di Hong Kong per la corsa all’Oscar per Miglior Film in Lingua Straniera, To the Fore affronta un tema sportivo quanto mai raro su grande schermo: il ciclismo a squadre, su strada e su pista, visto da dei giovani che si avvicinano a questo mondo, chi con spavalderia (Ming/Eddie Peng), chi con umiltà (Tian/Shawn Dou Xiao). Una sorprendente prova di duttilità per Dante Lam, il più ortodosso dei registi noir hongkonghesi.
Ma i segni del cambiamento si intravedevano già in Unbeatable, parabola stile Rocky di una caduta all’inferno e conseguente riscatto morale con un indimenticabile Nick Cheung. Al suo fianco c’era il belloccio taiwanese Eddie Peng, che invece si ritaglia un ruolo da protagonista in To the Fore, parabola etico-pedagogica sui classici valori da cinema sullo sport.
Tema essenziale: la competizione e la voglia di vincere sono sane ma non devono portare a dimenticare cosa sia giusto e cosa sbagliato. Con le declinazioni più varie, ossia non tradire la tua ragazza con la miss di turno (la sempre appariscente Mandy Lieu) e non ricorrere a sostanze dopanti per arrivare dove il tuo fisico non ti consente di arrivare. Ma al di là della semplificazione insita in operazioni di questo tipo, per almeno un’ora To the Fore inchioda alla poltrona ricorrendo ad altri mezzi. In primis alla spettacolare messa in scena delle corse ciclistiche: un delirio di colori sgargianti e una coordinazione di scene di massa impressionante, raggiunta da Dante Lam e crew sfruttando le angolazioni più ardite, droni inclusi.
L’approccio di Lam e della sceneggiatura di Lam Fung e Silver Hau è chiaramente quello di un action movie: la pianificazione delle corse e i momenti in cui sprintare sono decisi dal team come se si stesse preparando un blitz a sorpresa della PTU o la rapina di una gang. Così come le svolte narrative e i percorsi individuali di colpa e di redenzione, che attingono a meccanismi collaudati del cinema hongkonghese.“Ingranaggi” che risultano fin troppo visibili nella seconda parte di un film chiaramente dilatato all’eccesso (minutaggio oltre due ore), quando la freschezza dei personaggi lascia spazio a percorsi prevedibili, la naturalezza dei dialoghi cade vittima dei cliché e l’aspettativa di un finale sensazionale grava sulle ultime competizioni ciclistiche. Anziché lasciare spazio al personaggio di Huang Shi-yao (interpretato da Wang Luo-dan), esempio raro di tenacia inarrestabile virata al femminile, prevale sempre più la doppia bromance tra Ming e Tian, che si sorreggono e incoraggiano fino alla fine, e quella tra Ming e l’algido Ji-won, l’irraggiungibile campione sudcoreano che non tradisce mai un’emozione ma rispetta sempre l’avversario.
Per almeno un’ora però Lam riesce a trascinare lo spettatore senza lasciarlo pensare, con la velocità e la leggerezza di uno sprinter in volata, riuscendo a rendere credibile la dedica dell’opera “a chi crede nei propri sogni”. Tra le curiosità, da segnalare nel finale una breve (e sostanzialmente inutile) sequenza girata durante la corsa ciclistica delle Tre Valli Varesine, con cameo del campione mondiale Rui Costa e del Presidente della Regione Lombardia Bobo Maroni. L’“esotica Italia”, dopo Magic Card e Only You, è sempre più presente sugli schermi cinesi e hongkonghesi.
Hong Kong, 2015
Regia: Dante Lam.
Soggetto/Sceneggiatura: Dante Lam, Lam Fung, Silver Hau Wing-hang.
Action director: Jack Wong, Choi Kwok-ping, Zhu Ke-feng, Qiu Da-wei, Zhang Heng.
Cast: Eddie Peng, Choi Si-won, Shawn Dou Xiao, Wang Luo-dan.