In una Cina destabilizzata e in confusione sociale e politica - quella dei Signori della Guerra succedutisi alla morte del reggente Yuan Shikai, già teatro di tante produzioni cinematografiche di lingua cinese (ultima delle quali Let the Bullets Fly, firmato da Jiang Wen) - si trovano a confrontarsi due personaggi tanto inverosimili quanto probabili: il Generale Lei (Lau Ching-wan), detto amichevolmente Bully per la sua impetuosità e apparente stoltezza, e Chang Hsien (Tony Leung Chiu-wai), un misterioso illusionista tornato in patria dall’Europa. Sullo sfondo di un balordo intrigo politico finalizzato a ristabilire la Dinastia Qing deposta dalla Rivoluzione del 1911, il loro incontro-scontro in The Great Magician, si fa farsa più che dramma storico, anche se le vittime, sul campo di battaglia, sono caduti veri e non manichini di un teatro di posa.
In aggiunta, a montare il frullato della storia, ci sono: le numerose mogli del Generale Lei, tra le quali spicca l’algida Yin (Zhou Xun) - il generale le ha rapito il padre mago al fine di convincerla a sposarlo - un luogotenente eunuco e un po’ troppo impiccione che nasconde un bizzarro segreto sotto al cappello, una locanda che ospita spettacoli di magia, una troupe teatral-cinematografica giapponese dotata di tutt’altro che buone intenzioni, un manipolo di uomini della resistenza sotterranea nazionalista decisi ad attentare alla vita del generale Lei; e infine lo stesso padre della bella Yin, nonché maestro di magia di Chang, che soffre in ceppi nelle segrete del generale, per non aver svelato ai suoi uomini il segreto delle 7 Essenze, che si dice sia in grado di avverare i sogni di chi ne padroneggia l’arte. Insomma, nel solco della più sincera e genuina tradizione della commedia più propriamente cinese, a comporre l’amalgama di The Great Magician è un divergente drappello di fili di trama, e le smargiassate che fioriscono sulle bocche dei protagonisti diventano un calderone ricolmo e ribollente che, tra movimentate scene di azione e acrobazie emotive, costituisce il tono generale del film. Non a caso, in più di un punto, si ha veramente l’impressione di stare tra l’omaggio e la riedizione della pellicola che è con tutta probabilità l’archetipo del genere (nonché uno dei più grandi atti d’amore al cinema contemporaneo dentro e fuori la Cina e l’Asia tutta), ovvero Peking Opera Blues, capolavoro di quel Tsui Hark che in The Great Magician, guarda caso, mette lo zampino con la sua compagnia di produzione e anche la faccia con uno spassoso cameo, munito di uncino alla mano.
E se, viste queste premesse, l’interesse cinematografico-nostalgico non può non destarsi nello spettatore appassionato, a fare il resto sono la stramba alchimia e le prove maiuscole del duo di protagonisti: un finto tonto nobile (e astuto) Lau Ching-wan, che per l’occasione rende omaggio in modo quasi commosso al Michael Hui di The Warlord (come aveva già fatto per un altro personaggio di Hui, la più nota macchietta stile Mr Boo, in Fantasia di Wai Ka-fai), e un ambizioso e marpione Tony Leung Chiu-wai, che torna nei panni di un personaggio leggero e soave dopo diversi anni. A questi due fa buona compagnia un cast di comprimari in forma, che comprende la già citata Zhou Xun, insieme alle due (stupendamente sopra le righe) Yan Ni e Wu Gang.
Lo spunto geniale, la scrittura frizzante, le prove convincenti dei protagonisti e la nostalgia che è capace di portare dallo schermo agli spettatori, rendono The Great Magician un film piacevolissimo, da godere passando da una scena all’altra con la levità di un trucco di illusionismo. Alla fine rimane il rammarico che se a girare questo film ci fosse stato un altro regista al posto di Derek Yee, uno con più polso, più verve, più immaginazione e sentimento, saremmo qui per primi a gridare al grande film. A volte, però, sappiamo anche accontentarci.
Hong Kong, 2011
Regia: Derek Yee.
Soggetto/Sceneggiatura: Derek Yee,Chun Tin-Nam, Lau Ho-Leung (da un romanzo di Zhang Haifan).
Cast: Tony Leung Chiu-wai, Lau Ching-wan, Zhou Xun, Yan Ni.