Il debuttante Tsui Hark rivela tutto il suo genio creativo con il suo primo film, The Butterfly Murders. Il regista rappresenta il lato più sperimentale e postmoderno del movimento della New Wave e agisce sui generi classici con intento rinnovatore. Nella circostanza prende in esame la tradizione del wuxiapian, in special modo quello di King Hu, suo maestro, permeando un modello stanco con la sua idea di cinema forte e inventivo. In nuce ci sono tutti i caratteri distintivi della futura Film Workshop: l'alta spettacolarità, la regia veloce, il montaggio snello, la volontà di divertire e coinvolgere. Il progetto iniziale, molto ambizioso, riflette il temperamento artistico di un ribelle pronto a dominare il mercato: The Butterfly Murders è un film prima di tutto politico e nazionalista. L'unico veto posto dalla Seasonal di Ng See Yuen è il limite di un budget non pantagruelico.
Bizzarra, misteriosa, con un versante avventuroso venato di grottesco che sfiora gli eccessi grandguignoleschi dell'horror, la pellicola è un insieme di generi e sensazioni con pochi precedenti. La storia è tradizionale (lo scontro tra scuole, combattenti e discipline differenti) e moderno (le farfalle assassine, il dettaglio grafico delle scene con sangue e violenza). In più si respirano un forte umore da thriller gotico (il castello e i suoi sotterrenei labirintici con stanze segrete e passaggi nascosti) e un senso di attesa degno del miglior Edgar Allan Poe. Il pessimismo anarchico di Tsui si rivela come intento programmatico solo nel finale, quando tutti i personaggi subiscono l'onta della sconfitta, secondo il vecchio detto morale per cui se il Dao si trova più alto di un piede, il Mo sarà dieci piedi più in alto. Tutte le parti che accorrono al castello maledetto, dove le farfalle si sono trasformate in micidiali assassine, sono costrette a perdere, e il solo a uscire sano e salvo sarà proprio lo spettatore imparziale (che in parte ha vinto la sua battaglia personale, svelando la natura del mistero e i volti dei colpevoli).
A dominare è la grande tecnica di Tsui, che senza timori reverenziali si muove con autorità, frammentando la narrazione e rendendola scattante. Tutto pur di stupire, a costo di dover rinunciare alla piena comprensione della storia e di dover ricorrere a trucchi scenici anche gratuiti. Il fantastico nasconde la realtà, ne cambia apparentemente le fattezze e poi svanisce per lasciare il tempo allo spettatore di riflettere. Non tanto quanto in Zu: The Warriors from the Magic Mountain, ma anche qui traspare la forte tendenza di Tsui a esagerare con i contrasti storico-politici: la metafora dei diversi popoli cinesi è esaltata da una specifica conscienza di logiche militari, tradizioni popolari e temi tipici del romanzo di arti marziali. Il confronto tra moderno (le strane e potenti armi nascoste) e antico (la tecnica per addomesticare le farfalle) sottolinea iperbolicamente la disfatta collettiva.
Hong Kong, 1979
Regia: Tsui Hark
Soggetto / Sceneggiatura: Lam Chi Ming
Cast: Lau Siu Ming, Michelle Lai, Chan Kei Kei, Chang Kuo-chu, Wong Shu Tong