Talento prodigioso con la spada fin dalla prima infanzia, l'orfano Cho Yi Han, discepolo della prestigiosa scuola Wu Tang, è addestrato dal suo maestro per succedergli come capo degli otto clan marziali dalla parte del bene. La ribellione di due malefici gemelli siamesi, a suo tempo espulsi dal clan Wu Tang, ora spalleggiati da una micidiale spadaccina, porta le due parti al confronto decisivo. Ma i due capigruppo, Cho e Lien, si affrontano e si innamorano, si giurano eterna fedeltà e decidono di abbandonare le armi per ritirarsi a una vita da persone comuni. Se non fosse che con la guerra in corso nessuna delle due controparti può permettersi di perdere la propria miglior arma.
The Bride with White Hair è il terzo film tratto dall'omonimo romanzo di Leung Yu-sun, scritto negli anni cinquanta; probabilmente la migliore trasposizione dell'opera, la più fedele all'assunto melodrammatico del testo. Ronny Yu, fortemente voluto dai vertici della Mandarin Raymond Wong e Clifton Ko (che avevano i diritti della novella), al primo film di spadaccini dopo alcuni polizieschi accolti bene, insiste per filtrare la popolarità di un genere in pieno boom (ne ripropone tutti i topoi, fantastici e storici: onore, la lotta tra scuole rivali, il rapporto difficile tra allievo e sifu, transgendering - i gemelli sostituiscono l'ermafrodita del testo originale -, combattimenti adrenalinici, grandi sacrifici morali) con la propria idea di autorialità. Occidentalizzando il contesto formale, grazie soprattutto alle intuizioni teatrali - non solo Shakespeare ma anche tanta opera cinese - dell'art director Eddie Ma, che sceglie il blu come colore portante e gli spazi limitati (tutte le location sono ricostruite in studio) come ambiente naturale.
Tanti i punti di forza, strategici sintomi di come si possa operare a tavolino senza inficiare la spontaneità del prodotto e senza livellarne verso il basso le velleità artistiche. Il casting è una dimostrazione di acume: Brigitte Lin, magnetica e sensuale, riporta in vita una variante dell'amato (dal pubblico) Master Asia, anti-eroe di Swordsman II, perennemente costretto tra giusto e sbagliato; Leslie Cheung porta alla causa di uno spadaccino confuso e passionale volto e fisico da romantico decadente. La regia vivace, sempre sontuosamente elegante - alterna a piacimento step-framing, ralenti, velocizzazioni e momenti più intimisti -, è potenziata da un supporto tecnico talmente oliato e perfetto da poter essere citato come esempio e summa professionale. Funziona tutto a meraviglia: fotografia (di Peter Pau), costumi (del giapponese Emi Wada, chiamato dopo il lavoro svolto per Ran e accolto dalle polemiche della stampa), musiche (di Richard Yuen), montaggio (di David Wu), coreografie (di Phillip Kwok, che adatta i duelli e lo splendido lavoro di wire work alle esigenze e alle sperimentazioni della regia), sceneggiatura. Gli evidenti punti di contatto con Romeo e Giulietta aiutano anche lo spettatore occidentale a non perdersi; mentre i riferimenti all'underworld cavalleresco - da cui il titolo alternativo Jiang-Hu: Between Love and Glory - e la forte componente erotica sono ad uso e consumo delle platee orientali, ricettive e premiate con un immediato seguito diretto dal montatore, nella circostanza anche co-sceneggiatore, David Wu.
Hong Kong, 1993
Regia: Ronny Yu
Soggetto / Sceneggiatura: Ronny Yu, David Wu, Lam Kee-to, Elsa Tang
Cast: Leslie Cheung, Brigitte Lin, Francis Ng, Elaine Lui, Yammie Nam