Split Second Murders

Anno ultraproduttivo anche per gli standard di quell’adorabile stakanovista di Herman Yau, che marca al suo personale tabellino 4 film usciti in sala. Un triad movie solido e di poche pretese come Rebellion, un thriller di fantasmi godibilmente nostalgico come The First 7th Night, un poliziesco di infiltrati di buon successo come Turning Point e un film piccolo piccolo ma notevole come questo Split Second Murders.

La storia viene dalla penna sagace di Erica Li (Hong Kong Graffiti, King of Comedy, Men Suddenly in Black), che imbastisce una trama di punti di svolta e scelte chiave che i protagonisti sono chiamati ad assumere, condizionando una rete collegata di destini. Il punto di emanazione di questa rete è la figura del protagonista, il disegnatore di fumetti Luk (6 Wing del duo musicale FAMA), impegnato a cercare di farsi pubblicare il suo primo comic, anche a spese del rapporto con la propria fidanzata. Quando la ragazza, stanca di venir messa al secondo posto dietro qualsiasi altra esigenza di Luk, lo pianta in asso, l’odissea tragicomica del nostro antieroe incomincia, tra le pressioni del possibile editore (un tipaccio che puzza di triadi lontano un miglio), le crisi isterico-grottesche di normalissimi personaggi della strada che finiscono per azzuffarsi discutendo di scodelle di noodles, di traffico e altre cose banali, le vicende beffarde di una famiglia sull’orlo di una crisi di nervi, i problemi di un duo di boss triadosi molto particolari (una stupenda coppia composta da Fan Siu Wong e Maggie Siu), l’adolescenza tormentata di una signorina misteriosa (l’ormai onnipresente Chrissie Chau, nuovo teen idol locale) e qualche altro avvenimento.

Sopra o sotto questi intricati destini, lo stupore del guardiano dell’oltretomba nell’apprendere che il libro delle morti mette in lista praticamente tutti i protagonisti del film per un qualsivoglia trapasso previsto per il giorno successivo a quello dell’inizio della storia, stupore dall’aldilà che si mesce coi fatti della cronaca dell’aldiquà, in un contrasto tutto HKese (citazioni e riferimenti agli incidenti stradali, ai suicidi, ai pazzi che gettano acido sui passanti, che hanno abitato le pagine dei quotidiani dell’ex-colonia, nel 2009).

Come ci stanno tutte queste cose insieme in un film? La risposta è semplice e si chiama Herman Yau, che si dimostra ancora una volta un regista con le idee chiarissime e un tocco delicato ma deciso; dipinge una storia narrativamente esplosa, frammentata e decostruita (e forse un po’ pretenziosa) con un’ironia e un senso finissimo del grottesco che toccano il sublime, soprattutto nelle scene, e non sono poche, dove la rabbia nonsense che si aggira all’ombra dei personaggi sfocia in un'escalation di violenza e caos (magistrale l'incipit con la scena della cena in famiglia, in questo senso). Anche solo per essere stato capace di non far deragliare una storia del genere (senza considerare il fatto che il cast è composto principalmente di gente alle prime armi o quasi con il cinema), Yau meriterebbe ben più di un plauso. Per poi essere riuscito a dipingerlo con tutta l’Hkesità possibile e pure di più, si merita invece anche il bacio accademico di chi questo cinema lo ama (chi è poco avvezzo a certi film, invece, difficilmente andrà oltre il livello di giudizio che lo consideri una schiocchezzuola), a volte non sapendo nemmeno dire precisamente il perché. E il perché è in film come questo: minuscoli, anarchici, che non cercano di entrarti in testa con la filosofia o la profondità, ma lo sanno fare con la leggerezza e la fantasia.



Hong Kong, 2009
Regia: Herman Yau
Soggetto/Sceneggiatura: Erica Lee
Cast: Luk Wing-kuen, Kay Tse, Charmaine Fong, Chrissie Chau.

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