Ancora oggi considerato il migliore episodio della saga e una delle pellicole “esemplari” della filmografia di Tsui Hark, il secondo capitolo della saga dedicata allo scienziato-artista marziale-rivoluzionario Wong Fei-hung mescola, in maniera ancora più vorticosa rispetto al prototipo, Storia collettiva – Wong, al pari dei suoi occasionali pards Sun Wen e Lu Haodong, è un eroe nazionale della Fondazione della Repubblica Popolare Cinese – e storie individuali, azione e riflessione sui generi tradizionali e sullo stesso dispositivo cinematografico (non è un caso, forse, che il plot si collochi proprio nel “fatidico” 1895).
Alle prese con una setta xenofoba che intende allontanare dal Paese stranieri e simpatizzanti dei costumi occidentali, Wong si imbatte in un gruppo di combattenti repubblicani che intendono detronizzare i Qing e istituire un governo democratico, ma per il momento sono intenti a sfuggire alla cattura da parte di un generale dell’esercito reale.
Ancora una volta, Tsui non disdegna di confrontarsi con la complessità del reale e della Storia, con le sue contraddizioni e le numerose zone d’ombra: dunque, se da un lato sembra condannare il nazionalismo esasperato e l’isolazionismo che spesso ne deriva, dall’altro si fa narratore appassionato di alcune vicende che hanno condotto alla fondazione della Repubblica, non senza una punta di agiografia. E se da un lato la pellicola prova a riscrivere i codici del genere wuxia, aggiornandoli all’ipercinetismo del cinema d’azione degli anni Novanta, dall’altro ammicca manifestamente ai generi classici hollywoodiani: in particolare, il western e la sua mitografia (la frontiera, il treno come collettore delle Grande Provincia) rappresentano una delle fonti d’ispirazione dichiarate del regista. Per contro, non sempre il mélange fra i vari registi narrativi - con alcuni tentativi di “alleggerimento” pseudo-umoristico in verità piuttosto goffi - risulta altrettanto fluido, “tara” quasi inevitabile per un cinema che rifiutava pervicacemente ogni senso della misura in nome dell’accumulo e del sincretismo.
Erroneamente elogiato soprattutto per la lunga ed elaborata sequenza conclusiva (il celeberrimo duello tra Jet Li e Donnie Yen, mitizzato da Quentin Tarantino e ripreso da Zhang Yimou in Hero), Once Upon a Time in China II è in realtà una delle performance più “fisiche” di Jet Li, oltre a rappresentare il suo reale trampolino di lancio verso Hollywood. In realtà, dopo questo film, Li cominciò ad appesantire le sue performance in termini di solennità e a prendersi un po’ troppo sul serio, perdendo progressivamente quella leggerezza e quella spontaneità che ne avevano fatto, negli anni precedenti, una sorta di Fred Astaire del cinema di arti marziali.
Hong Kong, 1992
Regia: Tsui Hark.
Soggetto/Sceneggiatura: Tsui Hark, Charcoal Tan, Chan Tin-suen.
Action director: Yuen Woo-ping.
Cast: Jet Li, Rosamund Kwan, Max Mok, Donnie Yen, David Chiang.