In una notte livida e deserta due amanti decidono di suicidarsi: lei è afflitta da un tumore e non ha speranza alcuna, lui è deciso a seguirla per non perderla senza perdersi. Un poliziotto accorso per un altro tentativo di suicidio li trova però prima che sia troppo tardi. Trasportati d'urgenza in ospedale - dopo una tempestiva trasfusione cui partecipano lo stesso poliziotto, un giovane architetto e una ragazza solitaria e taciturna - lei muore, mentre lui cade in un profondo stato comatoso. Separati contro volontà, lo spirito della ragazza si impossesserà dei donatori perché siano loro a portare a compimento il destino che gli amanti si erano scelti...
I melodrammi su coppie maledette che cercano la morte (definitivamente immortalati dallo Stanley Kwan di Rouge), vengono ribaltati e trasportati nell'asettico presente medicalizzato, in cui corpi e menti sono solo contenitori cui viene negato persino l'impulso fondamentale dell'amore. Ne risulta un esempio di cinema retrovirale, che rimane annidato entro l'epidermide, nella carne pulsante ed escoriata della visione. Sotto l'estatica facciata di una regia impeccabile crepita un mondo-del-meraviglioso non compromesso; tutto quanto di banale si nasconde nella trama è solo uno schema da riconfigurare in un processo continuo di messa in dubbio. La spiritata e impalpabile verità è un gioco di luci e fantasmi che preda la mente, sconvolgendola - tanto che all'apparenza non ci si discosta dalla superficie di una pedissequa riproposizione di stilemi consolidati. Gli elementi proposti non sono infatti nuovi: il tabù infranto, la maledizione, il fantasma vendicativo, le morti inesplicabili. Ma sotto le quiete acque del deja vu ciò che sfugge all'occhio si riplasma in perturbante, capace di contaminare i sensi, insinuandosi nel processo sinaptico di causa-effetto. Il reale evapora in ombre mutevoli, il tempo è annullato, la causalità ambigua: e a salvaguardare il fluire narrativo rimane soltanto l'eterea linea di confine tra sanità mentale e sogno - tra visioni, orrore e invenzione. Intrico di rimandi che segnano il superamento della struttura lineare, a cui si sostituisce una selva di richiami ancestrali - urla di spiriti inquieti che non si arrendono alla razionalità. Cheang Pou-soi prosegue nell'inabissamento prospettico prefigurato dall'inquietante ma incompiuto Horror Hotline... Big Head Monster, in un percorso personale tra surreale, commerciale e intimista già chiaro a partire da Diamond Hill; se la regia raggiunge livelli di consapevolezza sontuosi - con movimenti di macchina calibrati ma non spocchiosi, inquadrature ricercate, ma senza presunzione autoriale - c'è ancora da lavorare a livello narrativo. La sceneggiatura difficilmente regge l'urto del lungometraggio - riducendosi ad allettanti prospettive solo accennate - senza la possibilità di esplicarsi in tutta la sua endemica dissonanza. New Blood appare così attraente tanto quanto straniante. Folgora all'inizio, indispone nel proseguio (finto)banale, riemerge come incompleto nella memoria, necessitando di una seconda visione; solo a questo punto riesce completamente a fascinare - se non a convincere. Horror del corpo mutato/mutante dell'era farmacologica - tanto quanto The Eye dei fratelli Pang, cui andrebbe accoppiato - New Blood propaga un'epidemia di amore bulimico e selvaggio, nel sangue come nella mente.
Per carità, nulla di nuovo, ma con classe da vendere.
Hong Kong, 2002
Regia: Cheang Pou-soi
Soggetto / Sceneggiatura: Cheang Pou-soi, Szeto Kam-yuen
Cast: Bernard Chow, Nicky Chow, Cyrus Chow, Winnie Leung, Chow Chi-fai
New Blood
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- Scritto da Stefano Locati
- Categoria: FILM