Lord of East China Sea è un progetto a dir poco ambizioso, che come il precedente To Be Number One deve la vita a un'idea di Johnny Mak: il quale ricicla cast e troupe del precedente successo e confeziona un kolossal di proporzioni sbalorditive. Anche in questa circostanza soggetto e sceneggiatura - stesa a quattro mani da Mak con il solito fedelissimo Stephen Siu - prendono in esame un personaggio realmente esistito, sotto molti aspetti progenitore del Limpy Ho cui sempre Ray Lui prestava volto e fisico. La pellicola colpisce subito per la sua struttura allungata: diviso in due parti, una continuazione dell'altra e difficilmente fruibili come entità separate, il film richiede allo spettatore uno sforzo due volte superiore alla norma, sottoponendolo a quasi quattro ore di visione. Al cinema le due parti sono uscite a circa una settimana di distanza ma questa soluzione non ha evitato il tremendo flop, che è costato caro soprattutto a Ray Lui, attore di origine vietnamita che vive questo tipo di personaggi, li consuma e con essi si spegne quando scompaiono dallo schermo.
Primo attore e unico agitatore è Lu Yun San - nella realtà il nome di famiglia è Du -, mercante di pere di discreto appeal. Coraggioso, tenace, ambizioso, il pover'uomo è disposto a giocarsi senza garanzie fino all'ultima carta pur di cambiare il suo destino. Farà un sacco di strada: prima contrabbandiere in società con due potenti criminali arriverà a controllare, da vero magnate, la zona francese di Shanghai. La guerra metterà in luce il suo nazionalismo e il suo spirito da eroe popolare - ma nella realtà era un ammazza-comunisti al soldo del KMT - e alla fine solo la delusione di un tradimento interno lo spingerà al ritiro a Hong Kong. In mezzo due amori forti, tanti omicidi, vendette incrociate, figli e concubine a non finire, amici, servitori e compagni più o meno fedeli di scorribande.
La messinscena è sontuosa, ricchissima, accurata e puntigliosa. Capace di riportare in vita la Shanghai dei primi del secolo e di accompagnare i suoi abitanti fino al fatidico 1952, attraversando conflitti locali, guerre mondiali, repressioni e rivoluzioni. Quasi una soap opera, per chi fosse poco avvezzo al substrato storico trattato. Affrontato con ardore politico e con grinta apologetica dagli artefici, il narrato è un susseguirsi di colpi di scena, di cambi di posizione, di strategie commerciali e criminali. Pane per i denti per un regista come Poon Man-kit. Eccedendo nella forma, nelle ricostruzioni, parlando una lingua chiara, ben comprensibile, non perdendosi mai in autorialismi inefficaci, il regista può permettersi di andare oltre la schiettezza in quei momenti alti in cui trasmette un messaggio più profondo, un sottotesto emotivo, sociale e politico che esula dal pathos del contingente. Piccoli ritocchi che sottolineano stati d'animo non facilmente condivisibili, vittorie morali e delusioni insanabili. Inevitabile, vista la mole, una certa stanchezza nel proseguio, ma è tutto sommato un peccato venale, che non toglie sostanza all'assunto di partenza: narrare una storia complessa, prendendo in esame tutti gli aspetti in essa compresi.
Aiutano splendidamente il loro direttore d'orchestra tutte le parti in causa, dai tecnici - in special modo il direttore della fotografia Horace Wong, il musicista Lo Tai-yau e il direttore artistico Ho Kim-seng - agli attori coinvolti. Tsui Kam-kong e Kent Cheng sono tanto efficaci che in coppia riescono spesso e volentieri a oscurare l'aura caratteriale di un Ray Lui davvero convincente. Aggiungono pepe le prime donne Cecilia Yip e Carina Lau, che si sfidano apertamente sul piano del fascino e dell'eleganza.
Lord of East China Sea
Hong Kong, 1993
Regia: Poon Man-kit
Soggetto / Sceneggiatura: Johnny Mak, Stephen Siu
Cast: Ray Lui, Kent Cheng, Tsui Kam-kong, Cecilia Yip, Carina Lau
Lord of East China Sea II
Hong Kong, 1993
Regia: Poon Man-kit
Soggetto / Sceneggiatura: Johnny Mak, Stephen Siu
Cast: Ray Lui, Kent Cheng, Tsui Kam-kong, Cecilia Yip, Isabella Chow