Human Pork ChopUna produzione minima per cercare di rinverdire i fasti ormai sopiti dei Cat. III. La storia, la stessa di There Is a Secret in My Soup, è ispirata a un fatto di cronaca nera, come spesso avveniva, anche se i legami paiono talmente labili e la sceneggiatura tanto vacua che potrebbe derivare da qualsiasi cosa. Tutto sommato, poco importa; al fruitore interessano altri particolari, l'eccessivo e il macabro - il resto scivola volentieri in secondo piano. Una donna squattrinata e con nessuna voglia di lavorare, brutte frequentazioni e una passione innata per gli artificiali e momentanei paradisi della droga; questa è Grace. Hok è invece a capo di una squinternata banda di malavitosi di basso profilo (due in particolare i suoi riscuotitori preferiti, Kei e Joe), abita in uno squallido appartamento con la sua ragazza e gestisce un giro di prostituzione. Sarà la ragazza di Kei, Gigi, a fargli conoscere Grace, spinta ai soldi facili e pronta a tutto pur di guadagnare. Indotta in tentazione, lei non esiterà a rubargli dei soldi, ma Hok non ha certo voglia di essere preso per il naso e una volta catturata la segrega nel suo appartamento, impassibile al fatto che il denaro servissero per crescere il figlio e mantenere la nonna. Inizia un raccapricciante viaggio nella degradazione più assoluta, in cui l'umiliazione diventa il minimo comun denominatore di ogni giornata. In un crescendo di bassezze, la situazione sfugge di mano agli aguzzini e il senso di onnipotenza dato dal poter disporre di una vita umana degenera nell'omicidio. Per la polizia non sarà difficile risalire ai fatti, soprattutto mettendo per la prima volta i carcerieri di fronte alle atrocità compiute.
Filmato svogliatamente al contrario (si parte dalla cattura degli assassini), Human Pork Chop è privo di qualsivoglia guizzo creativo che possa redimerlo dal piattume cui pare destinato sin dalle prime inquadrature. Narra senza fronzoli una storia disperata e cinica, ma come spesso succede in casi del genere il confine tra una ricostruzione di povertà e una povera ricostruzione si fa labile. Scenografie ridotte all'indispensabile (pochissimi esterni, sostanzialmente un appartamento come set), scarsi movimenti di macchina e una colpevole sciatteria tecnica condannano la pellicola all'inguardabile. Eppure, sotto la filigrana del fallimento, permane una qualche traccia di resa drammatica degna di nota. La recitazione, in particolare del cast femminile - su tutte Emily Kwan, in più di un'occasione degna di nota nel suo ruolo di martire stonata dalla droga -, è su livelli accettabili, con le punte più accentuate nei momenti di sadismo corale tra i fumi dell'alcool. La sceneggiatura risulta compatta, priva degli sfilacciamenti compiaciuti che colpivano There Is a Secret in My Soup, stranendo persino per il grado di lucidità con cui ritrae la sussistenza al limite della soglia di povertà assoluta, in quel limbo in cui l'amicizia dura lo spazio di uno sgarro e la compassione è un prezzo troppo caro da pagare, nella lotta quotidiana per la sopravvivenza. Quanto a nefandezze, Human Pork Chop non esagera; niente squartamenti, niente sangue, poche esagerazioni. Si tratta di un'ordinaria storia di follia urbana, e le prevaricazioni sono più subdole e pulsionali. Grace viene costretta a mangiare gli avanzi, a pulire un cesso ingorgato con la faccia, a urinare di fronte a tutti dopo aver bevuto sei birre di fila; la fanno entrare nel frigor per gioco, le versano plastica fusa addosso, diviene un sacco umano pronto a essere colpito.
Una fiera della disperazione a basso costo.

Hong Kong, 2000
Regia: Benny Chan Chi Shun
Soggetto / Sceneggiatura: Leung Po On
Cast: Wayne Lai, Emily Kwan, Amanda Lee, Samuel Leung, Helena Law