Heavenly Sword, al secolo Mo Kake, in procinto di sposarsi con la bella Ching Sze, deve rimandare la cerimonia per sconfiggere l’acerrimo e spietato nemico (per giunta giapponese) Super Sword. Per porre fine alla minaccia, essendo le sue capacità nettamente inferiori, accetta l’aiuto di Ghost Doctor e trangugia la greatest drug, pozione in grado di raddoppiare la forza, ma dal non trascurabile effetto collaterale di portare alla pazzia (nella migliore delle ipotesi). Super Sword viene soltanto ferito, e promette di tornare entro tre anni, più agguerrito che mai; intanto Heavenly Sword cede alla follia, uccide molti amici e forse persino Ching Sze, lasciata moribonda in una casa in fiamme. Trascorrono gli anni: Ghost Doctor segue adesso le sorti di un giovane pischello di poche speranze, Ng Tung, che vuole fuggire dalle grinfie di una promessa sposa più anziana di lui. Sulla via della libertà incontra per caso la principessa Tin Heung e la sua guardia del corpo Yam Kin Fai, nerboruta e senza peli sulla lingua: Tung si innamora della principessa, facendo al contempo innamorare di sé Kin Fai. Inseguiti dalla moglie abbandonata - decisa a usare un rossetto afrodisiaco che obnubila la mente fino a far innamorare perdutamente chi riceve il bacio - il mal assortito gruppo, insieme alla fuggiasca To Col Ching, si mette sulle tracce del libro che spiega la posizione Yuen Ting, unica difesa contro il redivivo Super Sword.
Niente paura, questa è solo una minima parte di ciò che Wong Jing è riuscito pedantemente a infilare in un’ora e mezza di scatenata e buontempona furia iconoclasta - un frullato acerbo ma succoso di ogni possibile devianza wuxia. Come dire uno scriteriato miscuglio di tutti i possibili frutti fuori stagione che gli siano capitati a tiro: slapstick seriale, umorismo becero, duelli dementi (il primo dei quali a bordo di uomini-volanti dalle fattezze di avvoltoi, che per non smentirsi si scontrano in volo e finiscono con l’esplodere!), nuovi personaggi che sbucano fuori da ogni dove, spruzzate casuali di horror (imperdibile lo zombie vittima del rossetto incantato). Figlio autistico del dissacrante capolavoro The Eagle Shooting Heroes, di Jeff Lau, Holy Weapon non si pone limiti, travalicando qualsiasi tentativo di degustazione razionale.
Certo alla lunga i difetti emergono prepotentemente - l’inconcludenza di fondo, la vacuità del girovagare dei protagonisti, persino la banalità di alcune soluzioni narrative - ma una volta storditi dal meccanismo di fondo è impossibile rimanere passivi a elencarsi le magagne. Una Michelle Yeoh stranamente sensuale, una Sandra Ng priva di regole, una Maggie Cheung docile e remissiva, un Ng Man Tat semplicemente imperdonabile nel suo istrionismo malato contribuiscono ad addolcire le asperità (peccato solo per l’inconsistenza delle prove di Damian Lau e Simon Yam). E ora della fine, dopo coreografie arzigogolate e incomprensibili (gioia per gli occhi più che per gli appassionati di arti marziali, c’è da scommetterci), dopo il susseguirsi di volteggi, di stoffe animate, di tele di ragno giganti, dopo continui cambi di sesso, scambi di persone, tradimenti - dopo tutto questo - si è semplicemente troppo esausti per non ritenersi soddisfatti.
Hong Kong, 1993
Regia: Wong Jing
Soggetto / Sceneggiatura: Lam Wai Lun
Cast: Michelle Yeoh, Simon Yam, Damian Lau, Ng Man Tat, Maggie Cheung
Holy Weapon
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- Scritto da Stefano Locati
- Categoria: FILM