221 a.C.: il re dei Qin, Ying Zhei, forte del suo immenso esercito, sta per sottomettere l'intera Cina, mettendo fine a quei due secoli in cui il territorio cinese era rimasto suddiviso tra diversi regni in lotta per il predominio (l'epoca degli Stati Combattenti). In vista della fine, in un tentativo estremo, molti degli stati rivali finanziano assassini in grado di ucciderlo, ma uno sconosciuto eroe riesce a porre fine alla minaccia. Si tratta di No Name che, presentatosi a Ying Zhei, si appresta a narrare di come ha sconfitto i temibili avversari: Sky, esperto nell'uso della lancia, e la coppia Broken Sword/Flying Snow, che già una volta erano riusciti a penetrare fin nella reggia imperiale, tenendo a bada da soli migliaia di guardie. Il re è ben disposto a compensare il coraggioso guerriero con denaro e territori, ma rimane sospettoso nei suoi confronti. Sentita dunque la sua storia, la ribalta, mostrando quella che crede essere la verità dei fatti. Tra complotti e doppi giochi, il problema di fondo rimane comprendere perché Broken Sword, una volta avutane la possibilità, lo abbia risparmiato.
Una regia maestosa, una selva di star, un soggetto promettente (anche qualcosa di più che promettente), una fotografia limpidissima (opera non a caso di Cristopher Doyle, maestro di sguardi per Wong Kar-wai), coreografie illuminate e ipercinetiche (il veterano Ching Siu-tung, una garanzia), musiche evocative di Tan Dun. Eppure. Eppure sotto questa patina di grandeur si nasconde ben più di una perplessità. Non si tratta tanto della pacata delusione per come vengono sfruttati (poco e maluccio) volti-cinema come quelli di Tony Leung Chiu-wai o Maggie Cheung, senza contare la solita incursione volatile di Zhang Ziyi, condannata a ripetere sempre lo stesso ruolo che l'ha resa famosa, ma in tono minore (si veda anche al capitolo The Legend of Zu, di Tsui Hark). E' piuttosto che Hero si dimostra film condizionale; uno di quei film che sarebbero in grado di suscitare brividi ed emozioni, di soddisfare i sensi e il cuore, se appena si sforzassero di superare la piatta retorica, se cercassero di stringere nella loro morsa affabulatoria lo spettatore senza l'utilizzo di un simbolismo laccato e stordente quanto prevedibile nella sua sollecitudine. I richiami a Rashomon, con l'aggiunta di una fredda suddivisione in colori primari per evidenziarne gli stacchi (con vestiti e scenografie tinteggiati di fresco a incrementarne la purezza), le scelte di ogni personaggio spiegate e rispiegate con frasi inessenziali (quando ad esempio Donnie Yen e Jet Li si affrontano, stando fermi uno di fronte all'altro, e Jet Li ci spiega che stanno immaginando di combattersi!); sono segni evidenti di un simbolismo tanto timoroso che si sforza di convincere della propria profondità a costo di parlare troppo, di esporsi, di fornire sovra-spiegazioni irrisorie. C'è allora da chiedersi l'intento di questa fastosità dichiarativa, di questa coazione alla ridondanza, in cui tutto deve essere chiaro per tutti - e da subito. Non è per elitarismo o snobismo, ma il dubbio è che - se Ang Lee con Crouching Tiger, Hidden Dragon voleva ritrovare la sua cinesità in un contesto occidentale (e occidentalizzato) - Zhang Yimou con Hero voglia dimostrare la sua completa esportabilità, la sua completa fruibilità commerciale - anche per un pubblico lontano, non avvezzo alle ellissi e all'intricata libertà formale di un genere, il wuxiapian, ineluttabilmente cinese.
Un film dalla cristallina struttura circolare, immaginifico, sottilmente insinuante. Ma solo in potenza.
Hong Kong, Cina, 2002
Regia: Zhang Yimou
Soggetto / Sceneggiatura: Li Feng, Wang Bin, Zhang Yimou
Cast: Jet Li, Tony Leung Chiu-wai, Maggie Cheung, Donnie Yen, Zhang Ziyi
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- Scritto da Stefano Locati
- Categoria: FILM