Gimme Gimme

Attorno a una band pop in attesa di debuttare sul palco si intrecciano le vite di un gruppo di ragazzi: il dongiovanni Soda, il taciturno Lobo, il timido atleta Skid e la stravagante Fion. Finché al gruppo si unisce Pat, di famiglia agiata, attirando le attenzioni di Lobo e Skid e gettando nello scompiglio la compagnia.

Nascosto sotto la confezione modesta di una storia di ragazzini difficili a Hong Kong, si cela un incontro assai significativo per il cinema dell'ex-colonia, proprio durante uno dei suoi momenti storicamente più difficili. La poetica neorealista di Lawrence Lau - noto anche come Lawrence Ah-mon - al servizio della prima Milkyway e della sua urgenza di creatività, in un curioso contrasto ossimorico con l'immagine di una compagnia famosa principalmente per il cinema action.

Per il conoscitore e amante del cinema di Hong Kong Ah-mon necessita di ben pochi biglietti da visita: basta un titolo, Gangs (1988), a ricordare le potenzialità espresse tra gli anni '80 e '90, con una sferzata che metteva a nudo il nichilismo autodistruttivo di una generazione allo sbando, schiacciata dal male di vivere e dall'impossibilità di riscatto, a cui seguì una sorta di update con l'altrettanto sconvolgente Spacked Out nel 2000. Solo un anno dopo il regista si ritrova alla corte di To per una variazione sensibile sul tema a lui caro: ancora ragazzi e vite difficili, ancora una macchina da presa curiosa e ad altezza d'uomo, a metà tra taglio documentaristico e fiction, con accento marcato sulla componente sociale e sul quotidiano. Senza paura di mimetizzarsi tra i ragazzi e immergersi nelle loro priorità, tra i loro giochi di tenerezza e crudeltà, quando micro-drammi finiscono per assumere una portata enorme, se non tragica.

Rispetto alle opere precedenti del regista il rosa prevale decisamente sul nero, strizzando l'occhio alla commedia e privilegiando volutamente un registro leggero e velato (almeno in superficie) di ottimismo. Quasi ad allontanare gli spettri apocalittici da “estate più lunga” di Fruit Chan, (auto)convincendosi che nella nuova Hong Kong cinese la vita può scorrere libera e imprevedibile come in quella pre-1997. Qualcosa però è cambiato, se non altro da un punto di vista tecnologico, e Gimme Gimme lo fotografa alla perfezione. Mai sin qui il telefono cellulare aveva svolto un simile ruolo di primo piano, ben più che in analoghe produzione coeve occidentali, al punto tale da divenire fulcro della narrazione: è tramite una telefonata che Soda capisce di amare Suki e di aver gettato via tutto quanto, o che Fion vive la sua storia d'amore immaginaria, ingannandosi all'infinito. Sentirsi al telefono significa sentirsi vivi, in un'inattesa rivincita del più trascurato e sottovalutato dei cinque sensi (specie nell'accezione di “ascoltare”). Ancora una volta nessuna concessione allo star system, in totale contrasto con la prassi hongkonghese in tema teen, e massima la libertà a volti credibili e sinceri, estratti dalla più ordinaria delle quotidianità, così simile alla vita fuori dallo schermo da arrivare quasi a scatenare una reazione centrifuga, tanto è il rischio di immedesimarsi in quei volti e in quelle storie.

Hong Kong, 2001
Regia: Lawrence Ah-mon.
Soggetto/Sceneggiatura: Four Tse Liu-shut.
Cast:Yoyo Chen, Tsui Tin-yau, Siu Yu-wa, Yorky Yuen.