Alla vigilia del suo secondo sbarco nel cinema mainstream statunitense - dopo quello sostanzialmente fallito degli anni Ottanta - e alla soglia del compimento del quarantesimo anno di età, Jackie Chan si cimenta nuovamente con il personaggio di Wong Fei-hung, tramite il quale colse uno dei primi consensi plebiscitari della sua carriera cinematografica.
Era il 1978 quando, con il primo Drunken Master, l'allora ventiquattrenne Chan diede una lettura coraggiosamente "contropelo" di uno dei totem delle arti marziali cinesi, già fattosi personaggio di celluloide in decine di pellicole che ne narravano la vita e le gesta. Meno ideologo e più avventuriero dall'indole ribelle e sprezzante del pericolo, rispetto alla vulgata che ne informava le biografie, il giovane Fei-hung di Jackie Chan entrò nell'immaginario collettivo degli amanti del gongfu pian in quanto "veicolo" iconico e simbolico di quella che diverrà negli anni la cifra più autentica del cinema di Jackie: la commistione di una comicità di matrice slapstick all'esecuzione di elaborati numeri di arti marziali, la cui tracimante estensione in termini di durata - unita a un rifiuto sistematico di controfigure - da cui deriva l'abiura di un montaggio frenetico e spesso straniante in favore di un montaggio interno all'inquadratura che permettesse di godere al meglio le acrobazie del protagonista e dei suoi dirimpettai - stava divenendo, a sua volta, una precisa impronta stilistica.
A dispetto dei sedici anni di distanza dal primo film, in Drunken Master II Chan non presenta un Fei-hung maturo: al contrario, il suo eroe è ancora un giovane spocchioso, attaccabrighe e intollerante alle regole (proprio quest'ultima sua prerogativa rappresenta lo start-up dell'intreccio), colto probabilmente - anche se il film non lo specifica con chiarezza - poco tempo dopo il suo apprendistato presso il maestro Sua Hua-chi. In viaggio con suo padre, si imbatte casualmente nel traffico sottobanco di antichi manufatti cinesi a opera di uomini del Consolato Britannico. Segue uno sviluppo in verità alquanto avaro di eventi significativi, in cui dapprima i britannici tentano di riappropriarsi del più prezioso dei reperti trafugati, rimasto nelle mani della famiglia Wong, e in seguito divengono a loro volta bersagli della vendetta di Fei-hung e dei suoi amici in una lunghissima sequenza di combattimento.
Ben poco interessato a conferire spessore al racconto e indifferente ai pericoli del miscasting, Jackie Chan si permette di tutto: dall'ingaggio di Anita Mui, di nove anni più giovane, per la - sacrificatissima - parte della matrigna di Fei-hung, al licenziamento del regista/attore/martial arts director Lau Kar-leung, con il quale non riuscì a riprodurre la chimica instauratasi sedici anni prima con Yuen Woo-ping. Le cronache dell'epoca parlano di un Lau maggiormente interessato allo sviluppo dell'intreccio (eventualità, quest'ultima, alquanto singolare, vista l'esilità dello stesso) e di un Chan più propenso a centrare il film sull'esibizione dello Zui Quan, lo stile di lotta "degli otto dèi ubriachi" che fu prerogativa del vero Wong Fei-hung e contribuì, con il suo innegabile appeal coreografico, al successo del prototipo. Di qui, forse, la struttura dicotomica del film, prolisso e persino inconcludente nella prima parte (fatta eccezione per la prima, tonitruante, macrosequenza in treno), forsennato e debordante nella seconda, quella presumibilmente diretta da Chan in prima persona, in cui questi dà sfogo a tutte le sue abilità di performer in numeri di combattimento ai confini delle leggi di gravità. A lungo andare, è stato sufficiente questo (come se fosse poco…) a imprimere Drunken Master II nell’immaginario collettivo non meno del primo episodio, e a farne uno dei paradigmi del percorso artistico del suo protagonista.
Hong Kong, 1994
Regia: Lau Kar-leung.
Soggetto/Sceneggiatura: Edward Tang, Yuen Kai-chi, Tong Man-ming.
Action director: Lau Kar-leung, Jackie Chan's Stuntmen Association.
Cast: Jackie Chan, Anita Mui, Ti Lung, Felix Wong, Lau Kar-leung.